Il mistero Ageev

M. Ageev, Romanzo con cocaina, tr. Vittorio Bonino, GOG Edizioni, pp. 210, euro 16,00 stampa

Emerge dal sottosuolo di dostoevskijana memoria Vadim Maslennikov, inquietante protagonista del Romanzo con cocaina di M. Ageev. Si narra che il manoscritto del libro sia arrivato all’inizio degli anni Trenta nella redazione parigina di Čisla (Numeri), rivista curata da emigrati russi, in un plico proveniente da Costantinopoli. La pubblicazione ha vita travagliata. Solo alcuni anni dopo il progetto editoriale viene concluso, e va ad affiancarsi all’unica altra opera nota del misterioso autore, un racconto dal titolo Un lurido popolo, pubblicato anch’esso su una rivista chiamata Vstreči (Incontri). Le tracce dello scrittore si perdono nei tormentati percorsi dell’Europa coeva, e ogni tentativo di identificazione non ha superato il livello ipotetico. Il critico Nikita Struve[1] pensò riconoscere una scrittura stilisticamente affine a quella di Nabokov, il quale fra l’altro amava celarsi dietro innumerevoli pseudonimi.

La tesi più accreditata, emersa negli anni Novanta, identifica Ageev con un certo Mark Levi – ma il nome estremamente comune insospettisce –, uno scrittore dalla biografia incerta e contraddittoria che parrebbe essere morto a Yerevan nel 1974. La leggenda del libro prosegue autonomamente negli anni Ottanta, quando Lydia Chweitzer trova, su una delle tante bancarelle che costeggiano il lungo Senna, una copia dell’edizione originale del romanzo. Decide allora di tradurlo in francese e di proporlo all’editore Pierre Belfond[2], il quale nelle sue pagine riconosce subito l’impronta del genio. La letteratura russa non è nuova a simili misteri. Pensiamo al più recente caso di Dmitri Bakin[3], pseudonimo di Dmitri Ghennadievič, figura isolata e indecifrabile, autore di un’unica, folgorante raccolta di racconti dal titolo Terra d’origine. Chi lo ha incontrato lo descrive come un giovane moscovita robusto e dalla voce profonda, per un certo periodo della propria vita impiegato quale autista di camion lungo le strade che costeggiano la Transiberiana. Bakin ha un volto, mentre Ageev ne è privo. L’unico indizio certo per identificarne la statura letteraria è la sua opera. Vadim Maslennikov è un uomo superfluo, come l’abitante del sottosuolo di Dostoevskij, e in quanto tale autorizzato a muovere la propria implacabile critica al mondo contemporaneo. Vadim Maslennikov è lacerato da una insanabile dicotomia. Come il dottor Jekyll è abitato dal male e dal bene, che si costringono ad interminabile disputa. Il desiderio di abbracciare il mondo si scontra con la volontà, ancora più pressante, di distruggerlo. L’antinomia lo domina, come accade all’Ivan dei Karamazov. Per questo è capace di enormi crudeltà verso la madre, salvo poi provarne struggente pietà. Vadim Maslennikov è un cocainomane, ma la sua dipendenza è solo un simbolo, una maniera per esplicitare e rendere tangibile l’abisso che minaccia l’essere umano.

In Romanzo con cocaina le traiettorie del romanzo di formazione vengono distorte e invertite. La prima parte, ambientata nel Ginnasio, richiama le atmosfere del Giovane Törless di Musil. Il collegio militare descritto dallo scrittore austriaco segna la fine dell’adolescenza. Il protagonista non si limita ad assistere alla crudeltà dei suoi compagni, ma si abbandona egli stesso al sadismo. Törless, come Maslennikov, percepisce ogni cosa nella sua ambivalenza. Il linguaggio stesso perde la propria capacità di spiegare il reale, non ha presa alcuna sulle sensazioni. Tutto è possibile, quando le coordinate morali si sgretolano. Ageev stigmatizza il sistema educativo nella disputa fra lo studente Burkevic e il prete; quest’ultimo si scandalizza per aver udito una bestemmia, ma nulla dice riguardo una società che insegna il fratricidio. Il delirio si introduce a poco a poco nella narrazione. I tetti delle case si deformano come vele al vento, mentre le ombre degli alberi si dimenano come code. Immagini da cinema espressionista. Maslennikov vede la propria angoscia, non la percepisce, quasi a renderla tangibile e inamovibile. “Mi succedeva una cosa strana. Provando felicità, mi bastava solo pensare al fatto che questa felicità fosse breve, e nello stesso attimo essa svaniva”. Il presentire che le condizioni che rendono viva la felicità presto cesseranno di esistere, rende impossibile la felicità stessa. La condanna dell’uomo non potrebbe essere più implacabile. Per questo Vadim si vergogna di manifestare i propri sentimenti. Le parole d’amore che pronuncia suonano sincere proprio perché assolutamente false. La proustiana poetica della passante, derivata da Baudelaire, è fonte di amaro disincanto. Colei che si è vista una volta e che non si incontrerà più è il sogno di perfezione che non è dato raggiungere. Maslennikov la segue facendosi largo nella folla, che lo confonde impedendogli di raggiungerla. Quando incontra una ragazza reale, l’intimità desiderata si trasforma presto in orribile ostilità. L’ingresso nel mondo della cocaina esalta le capacità narrative di Ageev. Tutto rimbomba, mentre la città sembra pendere dal cielo come una gigantesca lampada. Le descrizioni dei deliri indotti dalla droga spingono il lettore in un abisso di orrore. È l’orrore di Conrad, quel cuore di tenebra annidato all’interno dell’uomo che può risvegliarsi in qualsiasi momento. Maslennikov sente che dentro i suoi occhi si nasconde un qualcosa di terribile che prima non c’era. Tutto appare interminabile e penoso. Il dolore non ha via d’uscita. L’uomo superfluo di Dostoevskij, nella sua acrimonia, conserva un’irrefrenabile esigenza di assoluto. L’espiazione della colpa porta con sé una speranza di riscatto. In Maslennikov questo non accade. Il suo perturbamento è assoluto. L’ossessione allucinatoria lo conduce a una morte senza possibilità di redenzione alcuna. Maslennikov si lascia andare quando comprende la vera natura dell’animo umano. Per farlo ricorre a un esempio. Lo spettatore in teatro si commuove e parteggia per i buoni, solo perché si trova di fronte a una finzione che non investe il proprio tornaconto personale. In realtà, nella vita reale è corrotto, vile, avido e assolutamente malvagio. Ogni spinta verso la nobiltà d’animo si trasforma nel suo contrario, ovverosia nella furia bestiale. Una volta compreso ciò, non è più possibile vivere. Il sottosuolo sommerge Maslennikov. L’autoannientamento rappresenta la sua inevitabile fine.

[1] Nikita Struve (1931-2016), scrittore, saggista e traduttore, specializzato negli studi sull’emigrazione russa.

[2] Pierre Belfond (1933), editore, fondatore delle Éditions Belfond.

[3] Dmitri Bakin (1964-2015), scrittore russo.