Chi ha letto Andre Dubus non avrà difficoltà nel riconoscerlo anche in questi ventidue testi autobiografici che coprono un arco di tempo che va dal 1977 al 1990. Lo scrittore statunitense ha sempre scritto racconti, a parte un’eccezione, perché in questo modo – affermava – si sentiva libero da vincoli editoriali che gli imponevano tempi di consegna troppo pressanti. Solo così riusciva a dare il meglio di sé, letterariamente parlando, e anche questi quadri della sua vita mantengono intatte le sue qualità. Lo stile è quello dei racconti e la forza di Dubus è quella di immedesimarsi nei personaggi come fossero parte di se stesso, riuscendo a rappresentare emozioni che ne scavano la psicologia.
Lo scrittore ci parla della sua vita e delle persone che l’hanno accompagnata, per periodi più o meno lunghi, e che hanno avuto un ruolo importante anche per la sua scrittura: nei momenti più tragici e di sofferenza, soprattutto quando racconta del terribile incidente che lo ha privato dell’uso delle gambe, non c’è mai autocommiserazione. La fede, soprattutto il momento dell’eucarestia, è stato sempre il modo per dichiarare il suo perdono e l’amore verso il mondo, un amore universale che racchiudeva tutte le persone a prescindere.
In questi scritti si possono individuare situazioni a cui l’autore si è ispirato per alcuni suoi racconti, e danno ancora di più il segno di come la sua esistenza sia stata sempre un elemento unico con lo scrivere: il suo stile è come sempre potente, evocativo, riesce a far sentire il lettore protagonista e a farlo commuovere, a farlo sentire parte della storia. Come nella migliore tradizione letteraria, Dubus ci parla di lui per parlarci di noi: le sue sconfitte, le sue difficoltà, le sue aspettative e le sue vittorie sono anche le nostre. Per superare un dolore o una perdita c’è bisogno di amore, darlo e riceverlo, ed è il solo sentimento a cui l’uomo può rivolgersi per redimersi.
L’amore per il baseball, le riflessioni sulla condizione femminile, l’arruolamento nei marines, le mogli e i figli, la religione, gli abbandoni e la solitudine, l’aiuto degli amici dopo l’incidente sono alcuni dei temi che Dubus ci racconta con una lucidità impressionante: è sorprendente come ricordi nei minimi particolari ogni scena che descrive, dall’ambiente circostante alle persone presenti, il loro stato d’animo e le sue emozioni. Ne esce il ritratto di un uomo innamorato della vita e dell’amore, che seppure vittima di un terribile incidente trova in esso una motivazione. E la sensibilità che mette nello scrivere questi testi è la stessa che troviamo nei racconti, dove i personaggi sono sempre una parte se non una protesi di sé stesso, tanto da affermare “Li penso come persone, mi fanno piangere quando fanno cose che non vorrei facessero”.
Vasi rotti è un testo imperdibile per gli amanti di Dubus, amico fraterno di Kurt Vonnegut, Richard Yates e E. L. Doctorow, ammirato da Raymond Carver e preso per esempio da Stephen King, e sicuramente utile a tutti quelli che volessero accostarsi a uno degli scrittori più importanti della short story americana. Con una copertina che, nella migliore tradizione della casa editrice di Fidenza, è un capolavoro.