Racconti edizioni presenta in italiano l’esordio di Chinelo Okparanta, nata a Port Harcourt, Nigeria, ed emigrata negli Stati Uniti a dieci anni. Le sue storie sono dense di senso ben distribuito, che si infonde lentamente nella mente di chi legge. È così dall’inizio: il primo racconto della raccolta, pubblicata nel 2013, “Su Ohaeto Street”, ci porta al di là dell’alto muro di un complesso residenziale di Port Harcourt, nel sudest del paese. Dentro un luogo, quindi, edificato in modo tale da proteggere da sguardi esterni e da mani indiscrete. L’avvicinamento prosegue in tutto il volume, entriamo nelle case, nelle vite, diventiamo prossimi di storie individuali. Tale prossimità è la chiave preziosa che Okparanta ci conferisce. L’autrice costruisce questo percorso dal fuori al dentro – delle case, delle ideologie, delle persone – attraverso gli strumenti narrativi: la terza persona dei primi racconti lascia il posto a una prima plurale e, poi, singolare. Siamo sempre più vicini all’io narrante e alla sua particolare versione della storia.
“Il suo consenso rese felice la madre”, “Che diritto aveva di opporsi alla versione collettiva? In fin dei conti erano molti a pensarla così”, “Si sa che”, “La propria vita era incapace di conformarsi alle speranze dei genitori”, “Papà se n’era andato e dovevamo cavarcela da sole in un mondo in cui per una donna era difficile mantenersi in modo onesto”.
A volte, una falla tra le parole mostra ciò che tende a mantenersi invisibile, sebbene diffuso ovunque, tanto attorno ai personaggi di questa magnifica raccolta di racconti quanto nella realtà. Come aria, la società è lì, sempre presente. I suoi portavoce sono padri e madri, nonne e dibia, vicini, colleghi, compagne di studi, mariti. Quando improvvisamente scoppia il dolore e si viene lasciate con esso, irrisolvibile, innominabile e normale, perché si è femmine, il dubbio che il sistema sia pieno di anomalie che causano ingiustizia a metà della popolazione si fa strada tra le parole della narrazione.
Il dolore, la maternità, l’omosessualità, partire o rimanere in Nigeria, la religione, la violenza domestica, la questione energetica sono alcuni dei temi narrati con maestria. Sebbene Okparanta racconti vicina ai corpi e ai cuori di queste donne e uomini, non monta mai il paraocchi dell’univocità e la narrazione rimane sempre multipla, aperta sulla società nigeriana e americana. Se per il realismo nelle descrizioni del paese africano – bambini lucenti di greggio, spazzatura – nelle recensioni negative si è parlato di povertyporn, il presunto eden statunitense è decostruito e le sue falle sistemiche messe a nudo.
Okparanta ci fa scivolare dentro le maglie del patriarcato e del sessismo, esponendo il meccanismo del dominio – delle persone, dei nostri pensieri reconditi, delle nostre aspettative – e di ciò cheda questo viene costretto nella sua ombra, tra silenzio e mancanza di diritti. Tramite il ponte dell’empatia, nasce, lento, questo bisogno di solidarietà con le vicende umane di cui leggiamo. La loro risoluzione non è intra folia: chiuso il libro, le domande restano ai lettori. L’esperienza del dolore chiede l’urgenza dell’azione.