Inutile negarlo, il termine semiotica disturba.
Disturba il lettore comune, che di solito alza gli occhi e si chiede “la semiotica era…?” con annesso schiocco di dita e l’espressione falsamente pensosa di chi finge di avere la definizione sulla punta della lingua. E disturba spesso l’accademico, anche se non lo ammetterà mai perché Eco era il genio indiscusso che tutti hanno letto e apprezzato.
Resta il fatto che, quando affermo di occuparmi di letteratura “da un punto di vista narratologico e semiotico” non è raro ottenere in cambio sguardi di sincera commiserazione. La semiotica la si ama o la si odia, ma in genere la si odia. È spesso associata, non a torto, a un eccessivo tecnicismo e a terminologie astruse che rendono pressoché impenetrabili i concetti espressi. La si accusa di allontanare il piacere della lettura sezionando, tagliuzzando il testo fino a renderlo irriconoscibile dietro a schematizzazioni e diagrammi. È sicuramente il caso di alcuni autori ma, chiariamolo subito, Barbieri non fa parte di quella schiera.
Dei tre capitoli che compongono il volume, i primi due forniscono le nozioni fondamentali per comprendere il terzo, vero nucleo del testo e sicuramente la sezione più interessante e originale. Questo non significa che due terzi del libro siano solo una lunga introduzione: Barbieri alterna sempre con il giusto ritmo teoria, storia del fumetto ed esempi. Mettendo in pratica quel gusto dell’analisi evocato nell’introduzione, riesce a mostrare in concreto come la consapevolezza delle strutture testuali, lungi dal togliere piacere alla lettura, possa invece amplificarne il godimento.
L’affascinante ultimo capitolo ruota attorno alla domanda: “perché ci piace quel che ci piace?”. Cosa ci catturi e ci coinvolga in un testo estetico è una questione tutt’altro che banale e Barbieri risponde con competenza di esperto, mettendo in campo la propria teoria del ritmo e delle tensioni, già sviluppata nei suoi lavori precedenti e qui adattata al racconto per immagini. In gioco ci sono il piacere della sintonia e quello della sorpresa, che il testo deve modulare per mantenere alta l’attenzione del lettore.
Semiotica del fumetto è un libro dal linguaggio snello e accessibile che riesce a condensare in poche frasi concetti anche piuttosto complessi e, pur mantenendo la precisione analitica tipica della materia, non cade mai nel facile errore di nascondersi dietro alla terminologia. Ogni nozione viene definita con rigore, ma allo stesso tempo spiegata in termini comprensibili e corredata di esempi chiari e sempre significativi. Il risultato è una lettura sicuramente densa e impegnativa, ma mai frustrante, adatta anche a chi è quasi digiuno di semiotica. Da questo punto di vista, forse, al discorso avrebbe giovato un’introduzione appena più ampia, dedicata proprio a chi si affacciasse per la prima volta a questo genere di analisi. Per il resto, il libro presenta volta per volta gli elementi teorici di cui ha bisogno, costruendo per il lettore una vera e propria visita guidata all’interno della semiotica. Non un percorso fine a sé stesso, ma mirato a esaltare una forma testuale – il fumetto – che viene mostrata in tutta la sua ricchezza espressiva.