A quasi dieci anni dal primo romanzo Mary B. Tolusso affonda tutte le definizioni della sua scrittura negli strinamenti adolescenziali che, nella nostra epoca, da avventura sperimentale del pensiero si trasformano in qualcosa di lucida verità. L’incanto della felicità assoluta si avvia fra le mura, nelle stanze e nel giardino – la “platz” rettangolare mai ricoperta dalle fronde arboree perché immancabilmente potate e mutilate più volte in una stagione – di un collegio posto nello spazio arcaico e depistante di una frontiera.
La Trieste dell’autrice mantiene la sua immobile distanza, le sue algide segretezze, mentre a pochi passi avvengono mutazioni etniche e geografiche nel groviglio dei Balcani. Identiche cose si compiono nelle stanze, nei corridoi e nei cortili dove tre ragazzi associano gli studi scolastici alle seducenti visioni interiori. Immersi in un ordinamento scolastico in cui musica e poesia danno spasmi e godimenti distanti dalle regole monastiche del luogo, le tre anime (e i tre corpi) dell’io narrante (femminile), di Emma e di David, scuotono il privilegio seminaristico con scalcianti e apparentemente divisive relazioni elettive.
I rapporti tripartiti sono imbevuti di una vertigine giovanile che trova ampio spazio nella composta e pertinente ricerca lessicale di Tolusso. Capace di seguire le proprie creature al pari di una cinepresa in mano a Bertolucci regista (senza dimenticare il padre Bertolucci poeta). La protagonista ha dentro di sé l’incanto delle ricognizioni, le sfide racchiuse nella crescita corporale confrontata con i “vizi” esuberanti di Emma e le punte predestinate del cuore di David. Le affinità e le dissomiglianze svoltano e riappaiono secondo tormenti, cerimonie notturne e appuntamenti sul filo logico del tempo che scava, invade, comprime e sobilla future cicatrici. La crescita porta sempre oltreconfine, attraverso la mente vibratoria della protagonista le mura del collegio diventano facilmente attraversabili fino a far apparire sul fondo la realtà in trasformazione. Il destino sbuca improvviso nelle luci liberatorie di un night club, nel gustoso pollo fritto preparato dal giovane anarchico incontrato durante lo sconfinamento.
Il tempo diventa sempre più nitido nella seconda parte del romanzo, quando spaesamento e nodi esistenziali manifestano il loro senso viscerale, ultimo. Dell’amore incondizionato quel che si vede è il mutamento affogato in questa strana miscela di rivoluzione e restaurazione, dove la macchina mondiale stringe e spesso stritola ogni cosa. La protagonista, ritrovatasi non casualmente a studiare Fisica e a interrogarsi sulle apparenti sfasature spazio-temporali, svela soltanto nella conclusione il proprio nome, conoscendo d’un colpo il senso del distacco, l’ondata che tutto comprime in un raffreddato magma. Lì appaiono picchi di anime disperse e recuperi (la suor Sara del “tempo ritrovato”) di cuori contigui oltre ogni supposizione. E la “platz” antistante il collegio si trasforma nella grande piazza affacciata sul mare di Trieste, luogo levantino come levantine sono le menti di questi ragazzi trasportati nel futuro.
In L’esercizio del distacco troviamo la perfetta scrittura di cui occorre dotarsi, in prosa e in poesia, affinché si senta il flusso del sangue. Quello che, se non è dato, abbatte il mondo intorno a noi. Poeti e scrittori da nulla se si è incapaci di scrivere così. Mary B. Tolusso ha costruito un alveare di poche api, che controllano il tempo e il tempo, indifferente, le trasporta avanti e indietro. “Il passato appare quando vuole, vive come vuole, riesce solo a non morire”. L’adolescenza è l’unica vita possibile, le sue tracce meglio lasciarle sui banchi di un mercatino, solo così altri sapranno della nostra esistenza. La legge di questo romanzo, scritto come quasi tutti ci sogniamo, confluisce interamente lì.
E la ragazza del racconto sa che il confine tra il suo Est geografico e un Est ancora più profondo esiste nel gioco delle particelle cosmiche che fanno funzionare la realtà, perfino l’amore perfetto di adolescenti il cui destino imperfetto l’autrice segue fintanto che vita c’è. E la scrittura con essa.