Il genere letterario delle graphic novel è di nascita piuttosto recente. L’atto di raccontare disegnando, di raccontare per immagini e per frasi non lunghe, solo negli ultimi decenni incontra il gusto e la sensibilità dei lettori. Eppure, a volte, capita di leggere, tra i libri di questo genere, opere che rappresentano una sorta di radice profonda o anche solo di fase preliminare della scrittura. Tutta la scrittura. Quella dei romanzi, quella per il cinema e anche quella per il teatro. Questo avviene quando appare evidente che si procede raccogliendo immagini, foto e quadri. Quando si rileggono lettere e documenti oppure si ricordano storie collettive e vicende personali. Si prendono appunti. Si assembla il tutto con cura e attenzione e si costruisce una storia.
È la sensazione che ci restituisce Heimat, pubblicato nella collana Stile libero, un testo di Nora Krug molto interessante e molto toccante.
Nel 2018, Heimat è stata giudicata la miglior Graphic Novel per il New York Times, il Guardian e Comics Beat. Ha vinto il premio come miglior autobiografia del National Book Critics Circle Award nella categoria Autobiografie, mentre Nora Krug è stata definita miglior illustratrice dell’anno per il Moira Gemmill Prize del Victoria and Albert Museum.
Eppure Nora Krug non è certo il genere di autrice che frequenta salotti mondani e sgomita per mettersi in luce. Fin da molto giovane, all’età di diciannove anni lascia la Germania, dove nasce molti anni dopo la fine del nazismo, per trasferirsi in Gran Bretagna dove studia Graphic and Stage Design e si laurea nel 1999 con un documentario sui pazienti psichiatrici in Bosnia, dopo la guerra civile. Ritorna a Berlino per completare gli studi e poi si trasferisce a New York dove vive e lavora per diversi quotidiani e periodici. In Italia l’abbiamo conosciuta al Festival delle Letterature di Mantova, proprio nel settembre dell’anno in corso. La sua sensibilità artistica e culturale la porta ad andare verso le zone di confine spesso incontro a situazioni di dolore e sofferenza.
Con un atto di coraggio e di forte consapevolezza civile, la giovane illustratrice decide di misurarsi con la sua biografia, quella della sua famiglia e soprattutto con la storia del suo popolo e della sua patria d’origine, heimat, appunto. Per farlo usa tutto quello che ha per le mani, tutto quello che trova nelle sue ricerche, tutto quello che le può sembrare utile a rappresentare un momento di vita e di storia vissuta. E allora spesso non sono solo i disegni né i testi a raccontare in modo più espressivo, ma l’immagine dei cimeli, le foto degli oggetti di uso domestico e della vita quotidiana. Ne risulta un libro al primo approccio un po’ spiazzante ma di una forza espressiva che ha pochi uguali. Superato il pudore e un senso di violazione della riservatezza che le prime pagine possono indurre, la lettura diventa avvolgente e si riempie di interesse per le storie raccontate. Come se si leggesse il diario personale di qualcuno, come se si sfogliasse una raccolta di fotografie che non è la nostra ma ci riguarda nel profondo.
In Heimat la storia personale e familiare si interseca con le vicende della terribile Storia con la esse maiuscola. La Storia del Nazismo. E in questa misura il racconto riesce a interrogare anche le coscienze individuali, non solo quelle tedesche. Un libro da non perdere.