Parafrasando nel titolo il canto anarchico di Pietro Gori (“Nostra patria è il mondo intero”), Lorenzo Marsili – filosofo-attivista e co-fondatore del movimento transnazionale Diem 25, assieme a Janis Varoufakis – chiarisce dalle prime righe la tesi del suo libro: l’insostenibilità dei confini nazionali come dimensione dell’azione politica non è una novità dei nostri giorni ma una consapevolezza che riemerge come il Kraken dalle profondità della coscienza occidentale, ogni volta che il mondo decide di dare una scossa al nostro eurocentrismo. La prima volta forse, oltre un secolo fa, con la guerra russo-giapponese. Oggi sicuramente con la prospettiva del sorpasso tecnologico cinese. Ecco come abbiamo aggirato il problema fino a oggi.
La prima globalizzazione, la globalizzazione 1.0 della Belle Epoque e delle cannoniere si schianta e si dissolve definitivamente nel massacro della Grande Guerra (in due tempi, 1915-18 e 1939-45). È la fine di quell’Europa Universale celebrata avant la guerre da Stefan Zweig e dagli intellettuali del tempo, una pace perpetua che controllava i sette mari grazie alla Marina Imperiale Britannica e che da Parigi regalava uno status cosmopolita alla borghesia bianca di Rio, Buenos Aires, Macao.
Con il compromesso capitale – lavoro nelle economie avanzate, nasce nel secondo dopoguerra la mondializzazione a trazione statunitense delle istituzioni di Bretton Woods, che riconoscono alle ex colonie un facsimile di sovranità e indipendenza. I Trente Glorieuses, come è noto, finiscono con il gold exchange standard, schiacciati tra il conflitto sociale interno e la pressione che, dopo la crisi petrolifera e il Vietnam, la decolonizzazione comincia a esercitare sull’egemonia del Primo Mondo.
Scaricato il costoso modello keynesiano si cambia nuovamente schema, ripescando questa volta le idee di due economisti austriaci, Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek. Il mondo di von Hayek separa alla radice imperium da dominum: da una parte lo “stato minimo” governa il corpo sociale, dall’altra l’economia-mondo regolata dagli automatismi del mercato e della finanza. Scompare così la distinzione tra “interno” e “esterno” che scandiva il vecchio universo patriarcal-keynesiano: ogni umano può competere con qualsiasi altro umano, ogni metropoli ha il proprio Terzo Mondo nelle periferie, ogn inazione del Nord o del Sud può diventare da un momento all’altro colonia del Fondo Monetario, ogni élite si assomiglia dappertutto perché parte della stessa superclasse globale. Come ideologia che pretende di succedere alla fine delle ideologie, il neoliberismo funziona alla grande per qualche decennio finché con la Grande Recessione del 2008, il banco salta per le indebitate economie occidentali.
Noi oggi siamo qui, senza che ci venga servito il livello successivo ma nemmeno che sia ancora comparso il game over. Con buona pace di stati nazionali sempre meno rilevanti siamo alle prese con problemi di scala planetaria come disuguaglianze parossistiche, crisi climatica, rivoluzione delle AI. Per noi europei, avverte Marsili, la scommessa è anche doppia perché l’Unione Europea che ha dato vita a tante piattaforme di integrazione economica e commerciale, ha anche portato lo sdoppiamento neoliberale alle sue estreme conseguenze, separando il controllo democratico dalla cabina di regia. E se sotto l’impulso della crisi i contenuti minimi e le piattaforme politiche (green new deal, lavoro, reddito, diritti di mobilità..) possono apparire persino scontati, meno facile è immaginare soggetti e percorsi in grado di aprire una breccia nell’Europa dei trattati. L’internazionalismo di Marx, Bakunin o Mazzini creava ponti tra comunità operaie nazionali ma oggi per Marsili servirebbe una cosmopolitica in grado di illuminare la complessità del sociale e di interagire a più livelli, dal locale al globale. Per restare in Europa comunque, in futuro solo movimenti transnazionali potranno probabilmente influire sulla governance continentale e solo grandi mobilitazioni, come per esempio un’assemblea europea autoconvocata, potranno avviare un processo di democratizzazione dal basso. O, almeno, provarci. Dopotutto come diceva Von Hayek dei socialisti “è stato il coraggio di essere utopisti che rende ogni giorno possibile ciò che solo recentemente appariva del tutto improbabile”. La tua patria è il mondo intero è una guida insolita e piacevolmente non distopica del nuovo mondo che, dopotutto, potrebbe anche non caderci in testa.