L’inchiesta di Claudio Gatti pubblicata per Chiarelettere è un libro fondamentale da leggere, in particolare in questi mesi in cui gli inaspettati cambiamenti governativi potrebbero aver illuso gli ingenui benpensanti che l’incubo sovranista sia stato, un po’ fortunosamente, scongiurato e la minaccia salviniana disinnescata. È invece una lettura determinante per non commettere l’errore di sottovalutare l’avversario, supinamente dandolo per sconfitto, e avere invece ben chiaro quanto subdolo e pericoloso sia il personaggio, ma, soprattutto, quanto perniciose e pandemiche siano le forze oscure che gli stanno dietro.
Ma procediamo con ordine. Gatti, da vero giornalista investigativo, traccia un preciso percorso che prende le mosse dall’humus putrescente della destra radicale degli anni Sessanta: Ordine nuovo di Rauti e Avanguardia nazionale di Delle Chiaie. Falliti i tentativi golpisti e la strategia della tensione sotto le ali protettrici della CIA, i “soldati politici”, riscopertisi tardivamente antiatlantisti, compiono un aggiornamento strategico e, sempre guardando al tradizionalismo “ghibellino” del Barone nero Julius Evola, al “nazi-maoismo” di Freda e alla Jeune Europe di Thiriart, si ripresentano in modo meno esplicito, meno circoscrivibile e identificabile con un passato da dimenticare e – come spiega Gatti – lavorano “sottotraccia per dare continuità storica all’essenza dell’ideologia nazionalsocialista, cioè la sua anima tradizionalista, gerarchica, razzista e, ovviamente, antigiudaica”. Emerge infatti, nella rinnovata mistica delle “piccole patrie” e del “sangue e suolo”, ancora più che la matrice fascista e “statalista” italiana, quella nazista teutonica delle Waffen SS di Himmler, il mito consunto dei volontari europei non tedeschi, della Divisione Charlemagne e della difesa di Berlino contro la barbarie sovietica e il meticciato statunitense. Gli esponenti di questa vera e propria falange dell’ordine nero sono nomi ben noti a chi abbia anche solo sfiorato il greve microcosmo dell’estrema destra, un’intricata rete di ambigui personaggi, tutti collegati fra loro a comporre un demi-monde,di rivistucole, centri studi, infime case editrici, librerie “specializzate” e altro. Il bieco fantasma che vuole reincarnarsi cerca un “corpo senz’anima” – come lo chiama Alberto Sciandra, ex camerata pentito e solido informatore di Gatti – da animare come uno zombie per rivestire di nuove spoglie le vecchie idee, e lo trova già molto prima di Matteo Salvini, nel maestro e mentore, fondatore della Lega Nord, Umberto Bossi. Intorno alla metà degli anni Ottanta, Bossi sta cercando un’identità per il nuovo movimento: la sua impalcatura culturale è abbastanza fragile da lasciarsi permeare acriticamente da qualunque idea presentabile o impresentabile che sia, e abbastanza cinica da voler usare spregiudicatamente qualunque concetto facilmente svendibile ai suoi sprovveduti elettori.
Tutt’altro che sprovveduto è invece il burattinaio segreto di questa infiltrazione politica: Gatti dimostra, prove alla mano, che lo stregone vudù ad animare lo zombie padano è l’ex sanbabilino e terrorista nero Maurizio Murelli, già sodale carcerario di Tuti e Concutelli sulla rivista clandestina Quex, in seguito direttore con la moglie Alessandra Colla della casa editrice Barbarossa e della rivista post-nazista Orion. L’agente infiltrato, l’agitprop embedded nel neomovimento leghista, sarà il fido Mario Borghezio, a lui si uniranno Alberto Sciandra e, più tardi, Gianluca Savoini. Progressivamente queste frange infiltrate favoriscono l’estendersi, in dosi sempre più massicce, all’interno della lega e delle sue milizie beote, della deriva etnoidentitaria, antiglobalista, comunitarista, razzista e antisemita che va a sostituire le troppo banali battaglie per l’autonomia fiscale e amministrativa o i tramontati entusiasmi secessionistici; Alberto da Giussano cede il passo al celtismo precristiano, al simbolo del “Sole delle Alpi”, fino all’apoteosi della buffonata del 1996, con la celebrazione völkisch della raccolta delle acque alle sorgenti del Po: siamo nel pieno di una pantomima pseudosacrale che Evola, il mago Otelma neonazista – come lo apostrofava Umberto Eco – non avrebbe potuto che approvare.
In quegli stessi anni muove i primi passi il futuro delfino di Bossi, Salvini, fin dal liceo in fraterni rapporti con compagni di classe fasci (debitamente taciuti nell’autobiografia Secondo Matteo, ma facilmente rintracciati da Gatti) e l’attività di “giornalista” per La Padania affianca in redazione il promettente giovane proprio a quel Savoini che tappezza l’ufficio, nella tacita perplessità degli altri membri dello staff, di simboli runici, foto di Hitler e stemmi della Gestapo. Nei primi anni Novanta avviene anche l’avvicinamento agli antimondialisti russi nella persona di Alexandr Dugin all’epoca cofondatore con lo scrittore Eduard Limonov (con cui avrebbe in seguito litigato) dei Nazional-Bolscevichi e promotore – a fianco dei soliti camerati italiani tuttofare, Maurizio Murelli, Claudio Mutti, Carlo Terracciano – del programma Eurasia: “un impero euroasiatico che si estenda dall’oceano Pacifico a quello Atlantico… uno ‘stato-impero’ formato da ‘regioni nazionali’ a conduzione organica i cui confini rispettino non gli interessi del mondialismo ma quelli delle etnie…”. La connessione russa si rivelerà in futuro utile e redditizia per il rampante Matteo.
L’opera di contaminazione ideologica di Borghezio e Savoini procede su due fronti: ”quello personale con Bossi e quello professionale sulle pagine de La Padania”, dove si spalancano le porte ai contributi “metapolitici” di tutti i possibili esponenti del pensiero post-nazista, dall’ex attore pornografico, divenuto pensatore della Nuova Destra, Guillaume Faye, ad Alain De Benoist, a membri vari del Grece, Groupement de recherche et d’études pour la civilisation européenne. La Lega si troverà nel 1998 a raccogliere firme per il referendum abrogativo della legge Turco-Napolitano sull’immigrazione a fianco di Forza Nuova e del Movimento Sociale-Fiamma Tricolore e, durante la guerra del Kosovo, avverrà un ulteriore avvicinamento alla Russia, schierandosi Bossi & C. a difesa di Milosevic.
Nel 2001 però il processo subisce uno stop: Bossi si allea con Berlusconi, il movimento si appresta a far parte di un regime e deve normalizzarsi, il suo capo diventa Ministro delle riforme istituzionali; l’11 settembre sbaraglia le carte in gioco e Borghezio passa dall’antisemitismo all’antislamismo (Murelli e Mutti scuotono la testa con riprovazione); nel 2004 un ictus mette Bossi in pensione d’invalidità e il suo sostituto Roberto Maroni conduce il Carroccio a “un vuoto ‘emotivo’ oltre che politico”; i “lupi mannari” postnazisti torneranno alla carica nel 2013, quando Salvini diventerà segretario federale del Carroccio e, oltre alle pubblicazioni “padane”, tutto il pattume giornalistico destrorso, Libero, Il Giornale, e le trasmissioni televisive collegate, iniziano allora il bombardamento mediatico: superare la dicotomia fascismo-antifascismo, abolire le “leggi liberticide” (legge Scelba e analoghe…), seminare diffidenze, ansie e paure xenofobe, alimentare il complottismo (la riproposizione della minaccia giudaico-massonica: Soros, la sostituzione dei popoli, ecc.). Aver piazzato Marcello Foa, vero e proprio teorico del cospirazionismo, alla presidenza della Rai (è ancora in carica al momento, ma pare stia fortunatamente per fare le valigie) è un colpo da maestro da parte di Salvini e dei suoi ispiratori: enigmatici personaggi che non hanno mai oltrepassato i margini della lunatic fringe, come Enrica Perucchietti, Maurizio Blondet, Diego Fusaro, passano improvvisamente al rango di maître à penser.
Gli ultimi episodi del romanzo d’appendice (o forse d’appendicite) salviniano sono il gemellaggio con Casa Pound, prima sdoganata e poi rimessa in cantina dal prode Matteo secondo le convenienze, e il passaggio a libro paga dell’élite leghista (con tangenti monetizzabili in favori “petroliferi”) ad “agente d’influenza” dei servizi di intelligence del regime di Putin. Ma su questo lasciamo al lettore il piacere della scoperta negli ultimi capitoli del libro. Crediamo invece più utile citare, quasi per esteso, alcune significative riflessioni finali di Gatti: esistono ancora post-nazisti stupidi che con azioni dirette e violente continuano a percorrere la “via del guerriero”. Ma ben più pericolosi sono i postnazisti intelligenti, “quelli che hanno scelto la ‘via del sacerdote’ e lavorano dietro le quinte per creare l’humus culturale desiderato. I Murelli, i Savoini, i Borghezio. Ma la categoria più pericolosa di tutti è una terza: quella dei cinici calcolatori che pensano di poter usare i postnazisti intelligenti senza attivare i postnazisti idioti. È la categoria di Matteo Salvini”. Possano gli italiani riflettere profondamente su queste parole quando dovranno tornare alle urne.