Federico Fellini / Il cinema del non sapere

Federico Fellini, Sul cinema, Il Saggiatore, pp. 188, euro 22,00 stampa

“Vedrai, sarà un tormento questa intervista. A molte domande non risponderò, ad altre mi sottrarrò con i soliti raccontini più o meno inventati, e quando avrai messo insieme il libretto vorrò rivederlo tutto, correggerlo, cercherò di impedirne la pubblicazione, cancellerò le domande, le risposte, tenterò di riscriverlo. Ci aspetta una stagione grama, delusioni, rabbie, avvocati”.

Basta questa citazione da Sul cinema, libro riproposto da Il Saggiatore da qualche settimana, per capire l’ironia, il gusto per l’invenzione, il paradosso, la complessa atmosfera che si creava ogni qualvolta Federico Fellini parlava a un microfono. Le sue risposte erano sorprendenti e affascinanti, direi ammalianti, anche se le domande non lo erano altrettanto.

Tra tutte le voci dei registi del mondo, credo che quella di Fellini sia stata e sia la più bella, dolce, incantatrice, leggera, femminile, bambinesca, elegante e precisa, talvolta entusiasta, talvolta svogliata, ma mai capace di pronunciare una singola parola banale. Una voce che ascolterei per ore (e moltissime ne durava Fefè, la trasmissione capolavoro di Tatti Sanguineti sul regista riminese andata in onda su Radio3 nel 2003) e che si riesce a sentire, talvolta, anche nelle interviste pubblicate a stampa. Come questa, lunga intervista con il critico Giovanni Grazzini (vi ricordate i suoi libri di recensioni dell’anno pubblicati da Laterza? È stato per molti un riferimento critico importante in era pre-dizionari e pre-Internet). Tra i molti libri intervista (pensati in vita o pubblicati postumi) questo è forse il più prezioso e ricco, dove la capacità affabulatoria di Fellini si dispiega in maniera sbalorditiva. Se è vero che l’elemento “felliniano” è costruibile solo con il cinema, è vero anche che in questo libro ci sono momenti in cui l’autore riesce a evocarlo con una sola risposta, con una divagazione, un vagabondaggio della memoria, un aneddoto bizzarro.

Solo brevemente interrotto dalle domande del critico, Fellini si lascia andare a una sorta di monologo, a volte perfino interiore, e parla di tutto, di sé, di politica, di terrorismo, di musica e di letteratura, di amici e di amore, di infanzia e di fascismo, di sentimenti e di dubbi. E lo fa senza reticenze, con la semplicità e la trasparenza che hanno le persone che non fingono di avere le idee chiare.

Ma soprattutto Fellini parla di cinema: “un modo divino di raccontare la vita, di fare concorrenza al padreterno”. C’è il cinema sempre, soprattutto quando si ha l’impressione che non ci sia. Il cinema di Fellini, infatti, è qualcosa che trova la sua unicità proprio nel tentativo di raccontare l’irraccontabile, e addirittura di non raccontarlo ma di metterlo sullo schermo, portarlo in primo piano (la scena in senso teatrale non c’è, in Fellini, c’è piuttosto un mondo, interiore e sentimentale).

Si tratta di dare sostanza ai sogni. Una sostanza che è sempre fantasmatica, ma non meno potente, non meno viva e forse più duratura della dimensione onirica. Alcune delle più celebri e indimenticabili invenzioni felliniane, “Asa nisi masa” su tutte, sono veri e propri regali che il regista ha fatto al nostro inconscio, che oggi è più ricco.

Il piacere di un’intervista di questo genere viene dall’atteggiamento dell’intervistato che, nonostante non rifiuti nessuna domanda e risponda sempre a tono, nello stesso tempo è incapace di celare la truffa che rappresenta ogni dialogo di questo genere.

“Mi accorgo che a ogni tua domanda chiacchiero a ruota libera per mezz’ora… In verità io non so mai cosa rispondere perché non so chi è che stai interrogando; voglio dire che l’aspetto più imbarazzante e schizofrenico dell’intervista è che chi la subisce deve accettare di essere un altro, uno cioè che sa, che ha idee generali, una visione del mondo, e dice la sua sull’esistenza, la religione, la politica, l’amore, le bretelle…”.

È proprio in questa sincerità che sta la grandezza di Fellini, nel coraggio di dichiarare la crisi, nella lucidità di un artista che mostra il proprio dubbio e lo trasfigura in momenti, immagini, suoni, dialoghi, situazioni ed atmosfere che fanno parte di chiunque sia qui, a vivere nel mondo contemporaneo. Questo libro è una delle porte da cui entrare per avvicinarsi a un autore che dichiara di non conoscersi e proprio su questo non sapere ha fondato il suo cinema.