Allen Ginsberg, Le migliori menti della mia generazione. Lezioni sulla Beat Generation, tr. Sarah Barberis e Leopoldo Carra, Il Saggiatore, 2019, pp. 479, euro 38,00 stampa
Questo prezioso libro, a cura e con una Introduzione di Bill Morgan, si apre con una interessante Prefazione della poetessa Anne Waldman. Leggendo la Prefazione si capisce che il volume è il frutto di un lavoro enorme di trascrizione di decine e decine di lezioni sulla Beat Generation tenute da Allen Ginsberg presso alcune università. Da alcuni mesi Il Saggiatore ha pubblicato anche in Italia Le migliori menti della mia generazione, un’opera che consente di ricostruire la lunga attività di insegnamento svolta da Ginsberg presso la Jack Kerouac School of Disembodied Poetics (Scuola di Poetica Disincarnata Jack Kerouac), da lui fondata nel 1974 a Boulder, in Colorado, presso il Naropa Institute, la prima università buddista in Occidente, insieme alla stessa Waldman e a un’altra poetessa, Diane di Prima, cui si aggiungono le lezioni tenute dallo stesso Ginsberg a partire dalla fine degli anni Ottanta presso il Brooklyn College, lezioni che riguardarono soprattutto i suoi colleghi beat e alcuni aspetti della sua stessa poetica. Tutte queste lezioni venivano sistematicamente registrate. Soltanto una discepola devota di Ginsberg come Anne Waldman avrebbe potuto intraprendere questa impresa impossibile di sbobinare decine e decine di ore di registrazione, seguendo l’ondivago ragionamento di Ginsberg che si avvolge su se stesso e sembra quasi perdersi nei vari episodi della vita dei beat che vengono rievocati, eliminando le ripetizioni e condensando il tutto in un manoscritto di circa 2000 pagine. La revisione e la risistemazione di queste lezioni in base ai contenuti, agli argomenti e agli autori trattati, ha prodotto questo testo ora tradotto in Italia, che è di circa 500 pagine.
Il Naropa Institute e la scuola a esso collegata nacquero dall’incontro fortuito tra Ginsberg e il guru buddista tibetano Chogyam Trungpa Rinpoche. La leggenda vuole che i due si incontrassero del tutto casualmente davanti a una cabina telefonica, e da questa miscela esplosiva nacque uno dei più originali tentativi di unire la poetica della Beat Generation con la spiritualità buddista. Nel corso di più di vent’anni di attività come insegnante (1975-1997, praticamente fino alla morte), Ginsberg ebbe modo di ripercorrere le principali tappe del Movimento Beat in vista della sua definitiva canonizzazione, ripercorrendone le origini fin dai suoi primi sviluppi a Manhattan, tra la Columbia University e Times Square, con frequenti escursioni anche nella cosiddetta lower Manhattan, a Chelsea e nel Greenwich Village. In queste zone di Manhattan si aggiravano come squali, negli anni Quaranta, i primi eroinomani come Herbert Huncke, un amico di William Burroughs che ebbe un ruolo determinante nello sviluppo della filosofia Beat. Con il suo tipico linguaggio da tossico, Huncke continuava a ripetere “I’m beat”, che significava “sono rimasto senza soldi, sono rimasto senza droga, sono a terra, sono a pezzi, sono finito, fatto, sconvolto”, e a furia di ripetere questa espressione, i suoi amici più acculturati decisero di adottare quel termine per denominare il movimento culturale e spirituale di cui erano portatori.
Questo libro aiuta a capire ancora meglio quale è stato il ruolo di Allen Ginsberg come promotore delle carriere dei suoi amici beat Kerouac e Burroughs, arrivando negli anni Cinquanta addirittura a rieditare i loro testi e a metterli in contatto con gli esponenti dell’editoria più coraggiosi e sensibili alle novità, come Carl Solomon, che Ginsberg conobbe in manicomio, reduce da un esaurimento nervoso provocatogli dalle accidentate vicende editoriali dei romanzi Junkie e Queer di William Burroughs. Tra i tanti aneddoti gustosi raccontati da Ginsberg nel corso delle sue lezioni, vi è anche quello di una lettera delirante che lui e Solomon scrissero a T. S. Eliot, per fortuna mai spedita.
Il libro fornisce dei veri e propri sprazzi d’illuminazione che aiutano a chiarire la grandezza dei beat come scrittori, una grandezza che qualcuno ancora oggi mette in discussione. Ma ciò dimostra quanto vitale sia ancora oggi il Movimento Beat, quanti dei loro slogan e delle loro battaglie politiche e spirituali siano ancora attuali, quanto del loro messaggio stilistico, quanto del loro ritmo sia ancora oggi presente nell’opera degli scrittori e dei poeti contemporanei, anche se è indubbiamente vero che negli ultimi anni della sua carriera Ginsberg era diventato ormai la caricatura di sé stesso, la parodia di un guru….
Ginsberg nel corso delle sue lezioni al Naropa Institute citava pagine e pagine degli scritti di Kerouac per far comprendere agli studenti le affinità tra la scrittura del ragazzo angelico di Lowell e lo stile del jazz, e in particolare del bebop, lo stile di Lester Young, Dizzy Gillespie, Charlie Parker (per la cui morte Gregory Corso scrisse il bellissimo Requiem per “Bird” Parker, jazzista ) e Thelonious Monk con il suo “‘Round About Midnight”, per far capire quanta importanza avesse il ritmo, ma soprattutto il respiro nella frase di Kerouac, quando se ne usciva con queste frasi lunghissime che facevano di lui il Proust statunitense, anche per il ruolo che i ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza avevano nella sua scrittura. Oppure quando condensava le sue riflessioni in frasi brevissime che ti colpivano come un pugno in faccia: “Scrivo questo libro perché moriremo tutti”. Ed è anche la dimensione spirituale e insieme stilistica dei beat, che emerge da queste pagine, a rendere questo libro così prezioso.
Un altro grande protagonista di queste lezioni è William Burroughs, che ha sempre rappresentato il lato oscuro e criminale del Movimento Beat, con interesse spasmodico per il mondo delle droghe, dei tossicodipendenti e dei fuorilegge in generale. Anche in questo caso, le lezioni di Ginsberg chiariscono alcuni aspetti fondamentali della poetica di Burroughs. Troviamo conferma in queste pagine del fatto che Burroughs, se non fosse stato aiutato dai suoi colleghi beat, sarebbe rimasto soltanto un originale e bizzarro intellettuale di Saint Louis irresistibilmente attratto dalla droghe, completamente perso nei suoi paradisi artificiali. Non sarebbe diventato insomma quel grande scrittore che ha intuito e forse addirittura creato alcuni aspetti inquietanti del nostro futuro. Senza l’aiuto di Kerouac, che ribatté a macchina il manoscritto di Naked Lunch, e senza l’aiuto di Ginsberg, che si trasformò in diverse occasioni in un vero e proprio agente letterario, il suo capolavoro e le celebri Lettere dello Yage non sarebbero mai stati pubblicati.
Anche in merito allo stile di Burroughs, Ginsberg ci offre alcune inedite importanti indicazioni, come, per esempio, l’influsso del Chelsea Record Shop di Lower Manhattan che i beat cominciarono a frequentare a partire dal 1944 e di uno strano personaggio che ci lavorava, Jerry Newman, proprietario dell’etichetta discografica Esoteric Records. Newman, oltre a registrare Monk, Parker, Gillespie e altri musicisti bop, aveva in archivio moltissime registrazioni che avrebbero avuto un ruolo determinante nella elaborazione della tecnica del cut up da parte di Burroughs. La celebre routine burroughsiana dell’annunciatore sbronzo, a quanto pare, nasce grazie a Newman, da una sua registrazione di un vero annunciatore della BBC che, in preda a una sbornia colossale, comincia a parlare a vanvera. Il Dottor Benway – ci ricorda Ginsberg – è nato così.
Nel capitolo 18 Ginsberg ritorna su quello che è stato forse l’episodio più importante, l’episodio che costituisce una sorta di mito fondativo del gruppo (insieme alla tragica morte di Bill Cannastra nel 1950 e al tragico “incidente alla Guglielmo Tell”, durante il quale Burroughs uccise la moglie Joan nel 1951): l’omicidio perpetrato da Lucien Carr, un bellissimo ragazzo amico dei beat, una sorta di Rimbaud newyorchese, che presentò per la prima volta Kerouac a Ginsberg. Carr, in una notte del 1944, interamente passata a bere alcool, a discutere e a vagabondare in giro per Manhattan, uccise il suo amico ed ex insegnante Peter Kammerer che si era follemente innamorato di lui e lo perseguitava con le sue continue avances. Un omicidio a sfondo omosessuale che avrebbe ispirato il romanzo scritto a quattro mani da Kerouac e Burroughs, E gli ippopotami si sono lessati nelle loro vasche (titolo “rubato” da un articolo di giornale su un incendio in uno zoo), che sarebbe diventato con il tempo un vero e proprio patto di sangue tra i vari aderenti al Movimento Beat, rievocato anche a distanza di decenni dai vari protagonisti della sanguinosa vicenda. Da tutti tranne l’assassino, Lucien Carr, che dopo aver scontato la sua breve pena per l’omicidio Kammerer (gli vennero riconosciute numerose attenuanti), si trovò un posto fisso alla United Press International, diventò un marito modello e cercò di far dimenticare il suo passato.
Anche nel caso di Burroughs, Ginsberg riesce a condensarne la poetica in una frase in cui il vecchio Bill fa il verso al poemetto “The Love Song of J. Alfred Prufrock” del suo concittadino T. S. Eliot: “io ho imparato molto ricorrendo alla droga: ho veduto la mia vita misurata in pompette contagocce di morfina in soluzione.” Tra l’altro Ginsberg rivela, forse qui per la prima volta, che Burroughs fu molto influenzato nella sua poetica dalla traduzione di Eliot dell’Anabase di Saint-John Perse, un libro che Burroughs lesse più volte e consigliò ai suoi amici di leggere. Un libro che andrebbe riletto anche oggi molto attentamente per comprendere meglio i Beat e la poetica dello stesso Eliot.
In queste sue riflessioni ad alta voce Ginsberg mostra spesso anche una notevole dose di autoironia, soprattutto quando cita il giudizio di un altro grande del Modernismo, Ezra Pound, cui aveva inviato una lettera piena di ammirazione e di speranze. Nella sua risposta, il “miglior fabbro” liquidò l’intero Movimento Beat con un suo tipico commento sprezzante:
“Caro AG
Nessuno tra voi ha presente il benché minimo concetto di FATICA. L’ho detto chiaro in stampatello, cioè tutte le risposte alle tue – i Cantos non servono a niente a gente che scrive brevi componimenti.
E.P.”