Ian Cheng è un artista teorico, ma soprattutto un artista visivo con un prestigioso curriculum internazionale, le cui opere sono esposte tra l’altro al MOMA, al Whitney Museum, alla Fondazione Louis Vuitton di Parigi. La simulazione, l’immersività e l’agentività dei mondi interattivi, desunte dalla tradizione dell’artificiale life digitale, sono temi al centro degli interessi e della ricerca che l’artista americano trasferisce anche in questo breve ma illuminante saggio, curiosamente, e forse anche significativamente, omonimo di un testo pubblicato da due filosofi italiani, Franco Berardi e Franco Bolelli, diversi anni orsono (Fare Mondi, Progettoario, 1990).
Fare Mondi. Vademecum per Emissari non è infatti un manuale di world building per giovani scrittori e creativi ma una riflessione molto chiara e centrata sulla necessità di aggiornare la narratologia del nostro futuro, inteso come habitat artistico ma, in prospettiva, sempre più spesso, come contesto comune di socializzazione e soggettivazione, alla portata di tutti. A questo proposito del resto, per Cheng “arte” e “comunicazione” sembrano anche più o meno coincidere. I Mondi (con la maiuscola) di cui parla sono infatti universi narrativi che sono andati oltre la linearità dello storytelling e il viaggio dell’eroe di Campbell & Vogler, per dare vita a realtà sempre più autonome e vitali, virtualmente senza limiti come “un videogame in grado di giocarsi da solo”.
Il world building – o worlding, restando nel lessico dell’autore – rappresenta del resto oggi il cuore di franchise multimediali esperiti da miliardi di spettatori come Star Wars o il Marvel Cinematic Universe, entrambi confluiti in pancia alla Disney, ma anche dei valori e della user experience di grandi brand a tema tecnologico come Apple o SpaceX. Da un lato George Lucas (Star Wars), Stan Lee (Marvel) e George Martin (Game of Thrones) sono stati i founders, i creatori di Mondi che, a un certo punto della loro evoluzione – creativa, tecnica, produttiva – hanno accettato di passare la mano. Al lato opposto della tavola siedono ora Katherine Kennedy, Kevin Feige, Benoit & Weiss, cioè i loro spregiudicati continuatori, i demiurghi rivoluzionari o riformisti che hanno portato il gioco al livello successivo in termini di immersività, di innovazione e non ultimo di incassi. Non sfugge, per inciso, che proprio alcuni dei Mondi citati nel libro, dopo anni trionfali, sembrano da qualche tempo girare a vuoto, prigionieri di una formula ripetuta fino alla nausea: ebbene la morale di Cheng è che potrebbero effettivamente scomparire se non sapranno emanciparsi e sopravvivere ai loro Emissari.
Con il termine “Emissario”, dal nome di una delle opere più note dell’autore, il saggio indica infatti la figura chiave, predestinata nel DNA a “fare mondi”, che svilupperà di concerto con le altre presenze “psichiche” e simboliche che, come nella mente bambina di Inside Out, si fronteggiano dentro al subconscio dell’Artista, riuscendo occasionalmente anche a collaborare. Tali sono il Direttore, orientato verso i format narrativi tradizionali (romanzo, film, ecc.), e impegnato a ricercare significati da attribuire al contenuto dell’opera; Il Fumettista, preoccupato soprattutto della risposta immediata del pubblico, con metriche più da Social Media Manager che da Grande Scrittore Incompreso. E infine l’Hacker, interessato esclusivamente all’effetto speciale, al trucco inedito e senza precedenti, alla rottura dei codici espressivi, e sospettoso verso qualsiasi metafora gradita al Direttore. Nell’esploso dell’Artista questi profili, seguendo regole semplici – di attinenza e di affinità reciproca – possono dare vita a Mondi complessi, crescentemente autonomi, interattivi e giocabili da parte di un pubblico sempre meno passivo.
Nell’ultima parte Cheng chiarisce anche come, in futuro più simile a un multiverso partecipato da infiniti attori umani, “fare mondi” permetta anche, obbligatoriamente, di riconoscersi, tra demoni creativi ed entità virtuali, come soggetti sociali, in un habitat ormai accessibile se non inderogabilmente riservato, a tutti noi. «In questi giorni è difficile vedere una persona come una persona, nel senso classico del termine. Meglio pensare alle persone come a Mondi emersi dal sostrato dei corpi biologici. Il Mondo Che Siete».