I pantaloni dei morti

Irvine Welsh, Morto che cammina, tr. Massimo Bocchiola, Guanda, pp. 432, euro 16,57 stampa, euro 10,99 ebook

Un po’ dispiace che Guanda abbia scelto una traduzione non letterale del titolo di Dead Men’s Trousers, l’ultimo romanzo di Irvine Welsh e quinto capitolo della grande saga scozzese di Trainspotting (quinto perché Colla è collaterale). Immagino che in italiano I pantaloni dei morti funzioni meno dal punto di vista commerciale, ma è come se si perdesse una pennellata, soprattutto verso la fine del libro.

Ad ogni modo, Morto che cammina è uscito un anno fa nel Regno Unito, quindi è inutile eludere la questione: Welsh uccide uno dei protagonisti principali. Non si tratta di un vero spoiler, considerato che in patria la notizia è stata usata come traino per il lancio del libro, ma non aggiungerò altro perché ogni particolare farebbe facilmente intuire l’identità del personaggio ai lettori affezionati. La prima criticità, dunque, risiede in questo: se i quattro testi precedenti, nonostante siano inseriti in un quadro più grande e coerente, possiedono una certa autonomia, nel capitolo finale l’autore deve tirare le fila e risolvere le questioni in sospeso. Per tale motivo, a mio avviso, il romanzo non è indicato per chi non ha letto i capitoli precedenti. Ma procediamo con ordine.

La storia di Marc Renton, giovane tossicodipendente di Leith (sobborgo di Edimburgo) e dei suoi amici Sick Boy, Spud e Begbie, si dipana quindi in cinque libri. Se i primi due (Trainspotting e Porno) definiscono l’universo narrativo e stilistico della storia, con al centro il peccato originale del protagonista e le sue conseguenze (la truffa ai danni dei compagni), nel terzo romanzo (Skagboys) Welsh si concentra sulla prima giovinezza dei suoi eroi e dipinge un affresco potentissimo della Scozia (e dell’Europa tutta) negli anni Ottanta: un vero pugno allo stomaco fruibile anche da chi non abbia letto, o non voglia leggere, i testi precedenti. Francamente credevo (o auspicavo) che Skagboys fosse il commiato finale di Welsh ai personaggi che gli avevano regalato fama.

Invece, a una distanza rapidissima – due libri in un lustro, rispetto al ventennio che separa Trainspotting da Skagboys – pubblica due nuovi romanzi, forse sull’onda dell’uscita di Trainspotting 2 nei cinema (mediocre sequel del primo adattamento cinematografico). Nel primo dei due romanzi, L’artista del
coltello, le ambizioni “alte” di Skagboys cedono il passo a un’opera media e nel complesso godibile, in cui l’autore ridefinisce le coordinate di Begbie, sottoponendolo a un restyling radicale e approfondendone la personalità. L’esperimento di per sé sarebbe stato interessante se ci si fosse fermati lì, ma in questo solco si inserisce anche Morto che cammina, il quale sembra più un seguito de L’artista del coltello che la degna conclusione dell’epopea di Leith.

In breve, Renton e gli altri sono ormai sulla cinquantina: Marc è un affermato manager di DJ che vive fra gli Stati Uniti e l’Europa e Begbie è, per l’appunto, un famoso scultore. Un incontro casuale li porterà a riallacciare i rapporti e a incrociare di nuovo le strade con Sick Boy e Spud, in un intreccio di situazioni tragicomiche ambientate nell’anno della Brexit (e della vittoria degli Hibs nella coppa di Scozia dopo 114 anni). Lo stile della narrazione è caratterizzato dall’usuale plurilinguismo di Welsh, un autore in grado di incastrare nella pagina quanti più livelli sociolinguistici possibili dello scots e dell’inglese, tutti perfettamente funzionali ai personaggi. Il libro è divertente da leggere (il filone più esilarante è quello che vede coinvolti Spud, Sick Boy e suo cognato, sullo sfondo del mercato nero di organi), però è sottotono nel ritmo rispetto ai primi due e, pur dimostrando ambizioni superiori a L’artista del coltello, non raggiunge le profondità di analisi e le emozioni laceranti di Skagboys. Il tono
crepuscolare è apprezzabile, ma non trova pieno equilibrio con gli aspetti grotteschi del romanzo, convincendo solo in parte. Anche i brani più coinvolgenti (come l’orazione funebre) si incastrano in maniera non sempre felice in una struttura che presenta alcuni punti deboli, soprattutto nella risoluzione dei nodi narrativi.

Se per i lettori di vecchia data è sicuramente un appuntamento da non perdere, l’impressione generale è quella di essere davanti a un’occasione non sfruttata a dovere: siamo certo lontani dalla sciatteria di Trainspotting 2, ma confesso che talvolta, durante la lettura, mi è capitato di accostarli.