Libertà espressiva, innanzitutto. È questo il profumo che emanano le pagine degli scritti di Luigi Malerba. Libertà fatta di capacità di introspezione, come nel romanzo Salto Mortale. Libertà di giocare con il presente e con il passato, con i miti e con la storia, come in Itaca per sempre. Libertà di chi sembra aver scelto la letteratura come l’occasione più efficace per sondare gli ambiti reconditi della vita degli esseri umani e le caratteristiche della loro natura sociale.
Per questo Luigi Bonardi, in arte Luigi Malerba, si conquistò abbastanza velocemente il ruolo di esponente di spicco del gruppo della neoavanguardia denominato anche Gruppo dei 63. Un movimento che accumunava autori teatrali, poeti e scrittori – tanti scrittori – nella critica al capitalismo e alle posizioni intimiste della produzione artistica e letteraria. Il Gruppo emerse negli anni Sessanta e annoverava nelle sue fila figure come Umberto Eco, Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti, Elio Pagliarani, Walter Pedullà, Angelo Guglielmi, Alberto Arbasino e diversi altri. Tra questi Luigi Malerba si distinse forse come il più eccentrico, libero e conseguente. Esprimeva curiosità verso le lingue e i dialetti, era interessato ai linguaggi televisivi e della pubblicità. Lavorò in entrambi i settori e si distinse come sceneggiatore e, insieme a Romano Petri, nella scrittura di libri per ragazzi. Vinse molti premi letterari in Italia e all’estero.
In questa grande quantità di lavori, Malerba scrisse anche molti racconti. In tutto il periodo della sua attività dal 1963 fin quasi alla sua morte, avvenuta a Roma nel 2008, Malerba affidò alla forma del racconto i suoi spunti più felici, le suggestioni più efficaci. Vera campionatura delle scelte culturali fatte dal Gruppo 63 fino alla diaspora di alcuni e ai cambiamenti di altri.
Oggi, la casa editrice Mondadori, nella collana Oscar Moderni, di Luigi Malerba pubblica Tutti i racconti, un volume elegante e prezioso che si avvale di una ponderosa introduzione, completa e approfondita, di Gino Ruozzi, docente di Letteratura Italiana presso l’Università degli Studi di Bologna.
Nel ricostruire le vicende editoriali dei racconti, il loro successo in ambito letterario, Ruozzi ci spiega con chiarezza come per Malerba mai la “narrativa breve” ha rappresentato un genere minore. Anzi ha significato qualcosa di più di una espressione artistica: è stata un’occasione rilevante di introspezione.
Tra gli elementi distintivi di questa narrazione si trova senz’altro una forte predisposizione al non sense. Una scelta programmatica con un valore etico che in poche battute smaschera la prosopopea di uomini e istituzioni, la retorica di ambienti cittadini, industriali, di campagna, le pretese e le preoccupazioni di donne e uomini devoti al successo e alla carriera.
Scritti per prendere posto sui quotidiani e sui rotocalchi con cui Malerba collaborava, i racconti sono portati avanti sempre con cura, costanza e attenzione. Nella lettura mostrano un legame fortissimo con l’attualità e, per noi oggi, sono l’occasione per rivederci come italiani ottusamente impegnati a inseguire ricchezze e gratificazioni materiali, durante gli anni del miracolo economico e poi disorientati, man mano che il sistema dava cenni di cedimento e progressivamente affioravano istanze e necessità che mai si sarebbero credute possibili.
Vicina compagna di strada del non sense si trova in tutta evidenza una buona dose di ironia e di senso del gioco, con le parole e con i dialetti, ma anche con le ossessioni piccole e grandi dei personaggi raccontati. L’ironia imprime una leggerezza e una distanza partecipata alle cose che Malerba racconta. Qualcuno ha voluto interpretare questo approccio come freddezza ma invece si tratta di delicatezza.