I molti universi di Lem

In un genere letterario come la science fiction, dominato da modelli narrativi americani o inglesi, è importante mantenere viva la memoria di come la fantascienza si sia sviluppata in via autoctona in una serie di paesi, in particolare oltre l’ex cortina di ferro, senza influenze dirette di modelli anglosassoni; anzi — è il caso di Stanisław Lem — stampando un’impronta indelebile nell’immaginario di più generazioni di scrittori occidentali.

Con la pubblicazione di Universi (pp 1580 euro 35,00 stampa, euro 9,99 ebook) meritoria (e ponderosa) iniziativa editoriale, pubblicata in accordo con Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency, Mondadori colma numerosi buchi nella bibliografia italiana del grande scrittore polacco scomparso nel 2006. Lem è conosciuto anche fuori dai confini degli appassionati di science fiction soprattutto per quel romanzo, Solaris, ripubblicato da Sellerio, dal quale nel 1972 ha tratto un indimenticabile film il regista russo Andrej Tarkovskij.

Va detto che numerosi altri titoli di Lem sono presenti sui cataloghi di collane di fantascienza, e anche presso editori non specializzati (per esempio il bellissimo La voce del padrone, 1968, per Bollati Boringhieri). Piuttosto irregolare, e anche incompleta, era invece finora la traduzione delle raccolte di racconti, in parte colmata negli anni scorsi da alcune iniziative di Marcos y Marcos.

Il grande volume di Universi copre finalmente l’intero periodo creativo di Lem, dagli esordi, cioè dalle Memorie di un viaggiatore spaziale (1957) che contiene le avventure di Ijon Tichy, a L’enigma del 1996. L’imponente volume è diviso in due parti: la prima raccoglie cinque antologie di fantascienza, fiction pura; la seconda, intitolata “gli apocrifi”, raggruppa altri cinque insiemi di testi diversi ed è, in certo senso, persino più interessante della prima parte.

Il lettore abituato alla science fiction contemporanea, che in massima parte proviene da paesi di lingua inglese (ma anche quella italiana si è ormai inserita nella medesima tradizione), potrebbe trovare ostici, poco familiari i racconti di Lem. Questo non soltanto perché l’estetica della fantascienza occidentale ha cominciato a divergere in maniera significativa con gli anni Ottanta — e dunque in questa ottica Lem potrebbe essere considerato un autore classico — ma soprattutto perché l’autore polacco si è lasciato influenzare solo marginalmente dall’estetica del cinema, con le sue ricadute spettacolari sul ritmo della trama, e la continua rincorsa dell’idea originale e mirabolante non ancora battuta da altri autori.

Grande è infatti la distanza tra Lem e la science fiction prodotta oggi, al punto che potremmo essere indotti a considerare quella dell’autore polacco una letteratura di tipo didattico, veicolo di un messaggio positivista che ci fa sorridere con un po’ di tenerezza. In realtà dobbiamo tenere presente che l’estetica della science fiction si è fatta sempre più “esoterica”, comprensibile solo dagli iniziati, al punto che un lettore non abituale si ritrova davanti a un muro difficile da scalare, fatto di stereotipi e tópoi stratificati.

Sappiamo che la grande trappola per lo scrittore di fantascienza è l’infodump, quel “rigurgito d’informazioni” che serve a chiarire il paradigma dell’ambientazione, e che se gestito in modo maldestro allontana il potenziale lettore.

Ecco, da una parte occorre dire che Lem ha costruito in Solaris un infodump talmente evidente (occupa un capitolo intero) da rappresentare la classica eccezione alla regola (anche perché quel capitolo è di fondamentale interesse per il lettore attento, anzi è lì una parte non secondaria del fascino del romanzo); dall’altra invece, paradossalmente, nella sua produzione breve Lem non ha bisogno di “importunarci” con eccessive informazioni perché la sua scrittura non è assolutamente “esoterica”. È noto che Lem è considerato tra i maggiori scrittori del suo paese non malgrado sia schedato come autore di fantascienza, ma proprio per questa ragione.

La fantascienza infatti non è per Lem un fine, un’estetica la cui padronanza tecnica di scrittura è già un successo — bensì un mezzo, uno strumento mai rinnegato, malgrado negli ultimi anni di attività ne senta chiaramente i limiti, così come i limiti della fiction, fino a estendere la “volontaria sospensione dell’incredulità” alla costruzione di raffinati apocrifi letterari.

Sarebbe dunque un peccato se la sua scrittura sembrasse aliena, démodé al lettore che prende in mano questo volume di grande valore, da custodire con cura nella biblioteca domestica.

Le raccolte contenute sono di carattere e  contenuto molto diverso.

“Memorie di un viaggiatore spaziale”, scritto in prima persona dal protagonista, l’esploratore spaziale Ijon Tichy, contiene storie paradossali, sarcastiche, anche umoristiche, che ricordano le Cosmicomiche di Italo Calvino: sono costruite intorno a spunti letterari offerti su un piatto d’argento dalle scienze esatte. Scritto negli anni Cinquanta e ampliato fino agli Ottanta, è molto distante dalla coeva produzione anglosassone. Più che il realismo dell’ambientazione o la costruzione di personaggi a tutto tondo, Lem si interessa alla singolarità della scienza; il suo materialismo si confronta anche con preoccupazioni religiose, ma senza la gravità dei colleghi americani. Paradossi temporali, spaziali e esistenziali caratterizzano questa prima raccolta.

“Fiabe per robot”, più breve, abbandona la narrazione paradossale per recuperare il ritmo e i tópoi della fiaba classica: un libro che farebbe la felicità di Vladimir Propp, e che sembra scritto dopo un attento studio delle funzioni evidenziate nella sua Morfologia. Anche qui lo psicologismo è superfluo, soprattutto perché i personaggi sono tutti esseri meccanici o cibernetici-biologici. L’inventiva è sfrenata, i personaggi davvero reagiscono come ci si aspetterebbe da esseri artificiali, ma il meccanicismo delle loro esistenze non impedisce una profonda riflessione filosofica.

“Cyberiade” è forse l’antologia di Lem più conosciuta in Italia; i racconti sono costruiti sull’amicizia/rivalità tra due inventori, Trurl e Klapaucius, e anche qui il tono ricalca la leggerezza della fiaba, o dell’apologo. I problemi scientifici/tecnici che Lem mette al centro delle sue storie non sono pretesti per quella “letteratura di idee” in cui spesso si identifica la natura della fantascienza: sono la storia stessa, e i personaggi umani sembrano semplici testimoni di una vita meccanica che si accorge dell’umano solo quando interagisce con i protagonisti per l’inerzia del racconto. Inoltre, sembra di capire da alcuni cenni che entrambi i protagonisti umani siano in realtà macchine intelligenti. I quindici racconti delle precedenti edizioni in lingua italiana (Mondadori e Marcos y Marcos), tradotti da Riccardo Valla, sono integrati da altri cinque, in precedenza omessi e tradotti direttamente dal polacco.

Il tono della narrazione cambia completamente in I viaggi del pilota Pirx, in cui dal registro della farsa o della fiaba si passa a quello strettamente realistico; il primo racconto, Esame di volo, è un ricapitolo dettagliato del modo in cui si poteva al tempo immaginare una missione spaziale dalla Terra all’orbita lunare, con una profusione di dettagli assolutamente entusiasmante per gli appassioni di astronautica. Anche i successivi coniugano il realismo dell’azione e della trama, con problemi legati all’esplorazione dello spazio esterno, con paradossi chiaramente ignorati, come le dimensioni dell’universo e i limiti della velocità della luce.

L’enigma, pubblicato nel 1996, racchiude racconti realistici (nel senso che non sono ironici né paradossali) pubblicati sino dagli anni Cinquanta, a partire da Il ratto nel labirinto (1956), non compresi in altri cicli narrativi: è forse l’esempio migliore dell’età più feconda di Stanisław Lem, quella che dal disgelo dopo la morte di Stalin arriva fino ai primi anni Sessanta, e che ci regalerà anche Solaris oltre ai cicli più famosi. Non è un caso che nei racconti di questa antologia, che raccontano un “primo contatto” con una civiltà extraterrestre, già compaiano dei simulacri di esseri umani che sembrano rappresentare un tentativo di comunicazione tra razze; Solaris porterà in seguito a perfezione questo topos caratteristico di Lem, in equilibrio tra empatia possibile e totale incomprensione.

 

Lem raccontò di aver scritto Solaris, pubblicato nel 1961 per la casa editrice del Ministero della Difesa polacco, durante un periodo trascorso alla foresteria dell’associazione scrittori a Zakopane, località turistica sui monti Tatra al confine con la Cecoslovacchia: pressato da una serie di impegni editoriali dopo la traduzione in tedesco di due suoi romanzi, vi si era volontariamente ritirato per una serie di sessioni di scrittura intensiva. Sostenne di aver scritto il romanzo, che diversi anni più tardi gli avrebbe dato fama e visibilità in tutto il mondo, mentre era in preda a una sorta di “trance ipnotica” durante la quale non sarebbe stato in completa padronanza di ciò che produceva — come se Solaris si sia scritto di propria spontanea volontà, al punto che l’autore non sarebbe riuscito in seguito a interpretare l’enigma da lui stesso creato, al pari dei suoi personaggi che si struggono nel disciplina della solaristica per spiegare l’enigma dell’oceano-pianeta senziente.

Un autentico salto di prospettiva rappresenta il passaggio alla seconda parte di Universi, che occupa solo le ultime 350 pagine del volume e che rappresenta, come scrive Lorenzo Pompeo nell’introduzione, “una crescente insofferenza nei confronti della ‘fabularizzazione’, ovvero, della faticosa trasformazione della concezione originale in narrazione”. Così, da autore di fiction reale, Lem si trasforma in autore di fiction potenziale, saltando la fase della scrittura per concentrarsi sulla trama e sul significato, sull’interpretazione piuttosto che sulla rappresentazione.

Le due raccolte Vuoto assoluto (1971) e Grandezza immaginaria (1973) sono variazioni intorno a un artificio letterario che nel nostra paese è conosciuto soprattutto grazie a Jorge Luis Borges: mi riferisco al magnifico L’accostamento ad Almotasim contenuto in Finzioni. È risaputo che lo scrittore argentino non ha mai scritto un romanzo intero, mentre ha architettato recensioni di libri inesistenti, dei quali racconta la trama che contiene anche una critica che dice molto della letteratura dei suoi tempi.

Vuoto assoluto è per l’appunto una collezione di recensioni apocrife di libri che esistono solo nella mente di Lem, ma che fioriscono incredibilmente nella testa del lettore grazie a recensioni sarcastiche, brillanti, profonde e dettagliate, un tour-de-force di bravura che, come per Borges, arriva a rendere inutile la scrittura del libro perché tutto è già racchiuso nella sua critica.

E così l’ultima parte del volume, Biblioteca del XXI secolo, che comprende solo due testi, è una raccolta di conferenze in pubblico che in realtà sono a loro volta apocrifi.