Eugenio De Signoribus, Stazioni (1994-2017), Manni, pp. 128, € 14,00 stampa
recensisce ELIO GRASSO
La ricerca di Eugenio De Signoribus prosegue, dopo alcuni anni di silenzio editoriale, in questo libretto dove egli raccoglie poemetti (e “quasi poemetti”, secondo la definizione dello stesso autore) e poesie sparsi in poco più di vent’anni in riviste e pubblicazioni d’arte. È figura paziente di poeta marchigiano, Eugenio, la cui storia attraversa la poesia italiana degli ultimi decenni arricchendosi a ogni uscita di un sentire toccato dalla lingua dei maestri, dal progressivo disfacimento di un mondo ormai senza memoria. L’elemento poetico principale resta nello studio della resa, di fronte ai muri segreganti e agli istmi che rallentano e soffocano anime e sguardi.
Il suo è un controtempo dello spirito sollecitato, quasi distillandola con sommo amore, dentro la poetica di Giorgio Caproni. I richiami allo studio ininterrotto di Paolo Volponi e Giovanni Giudici si fanno sentire, distribuiti in una veglia che consente alla poesia di sopravvivere. La concretezza umana di De Signoribus si avverte ancor più leggendo le svariate note di accompagnamento ai testi. Vi si leggono non soltanto le occasioni tipografiche ed editoriali, ma prima di tutto eventi, di vita e di morte, sottesi agli scritti poetici. Poesie intessute di casi per così dire “biblici” quali gli esodi, le rimostranze planetarie, la visione della natura diroccata in rovine circostanti.
Pensare a questo poeta vuol dire pensare alla frontiera, geografica e esistenziale, dei tempi in cui insieme all’amico Remo Pagnanelli si mettevano in campo forze umane e letterarie che dovrebbero essere ricordate dai più, ma che sono travolte dalle ondate per niente discrete del “centro” dove siamo sommersi. Un vasto campo elettronico, espanso a dismisura, dove ogni cosa si confonde fino a annegare in acque torbide.
Le intenzioni di questi poeti, negli anni Ottanta considerati giustamente “giovani”, erano affidate a riviste come Marka, Verso, e successivamente Hortus e Istmi. Le zone frequentate non sono quelle metropolitane, ma i luoghi della frontiera da varcare ogni volta per ritrovarsi al cospetto di maestri voluti, cercati, e studiati senza sosta fino ai giorni nostri da chi ha potuto restare in vita. Non Pagnanelli, purtroppo, ma De Signoribus traccia la sua particolare “eredità dei padri” in opere dove evidenza epocale, sfrondamento del superfluo, consapevolezza dei tempi storici, trovano un piano di ricerca ben concreto. Per lui è necessario “refertare” le risultanze dovute ai graffi temporali, e, senza negare la consistenza del proprio territorio, toccare con strumenti sensibili quanto oggi sta fuori misura. Dentro la Marca c’è ancora oggi una forte struttura, non solo di stile, capace di ampliare quell’antico occhio ciclonico esplorante un tempo la vasta Regione del senso e che oggi appare sempre più lacerata. E per questo bisognosa di poetiche di verità.