Questo libro è una magnifica scoperta, un gioiello segreto, un mondo da scoprire. Abbagliati dall’immaginario americano, non ci accorgiamo dei tesori di letterature minori (minori per lo meno dal punto di vista della quantità di autori e opere). La letteratura di lingua serba, per esempio, è un vicino pressoché sconosciuto: eppure tra i suoi scaffali custodisce autori di una profondità stupefacente. Ivo Andrić è per bibliofili, Danilo Kiš è nel catalogo Adelphi, ma non si è mai arrivati a una ristampa. Il suo conterraneo Milorad Pavić (1929-2009), discendente da una famiglia di scrittori, fu quasi subito tradotto in inglese, e ancora oggi è conosciuto e apprezzato nel mondo anglosassone. In Italia arrivò a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, nel catalogo Garzanti, con i suoi tre titoli più fortunati: Paesaggio dipinto con il tè, Il lato interno del vento e questo straordinario Dizionario dei Chazari. A trentadue anni da quell’edizione, quest’ultimo torna in libreria per Voland in una nuova traduzione.
Si tratta di un libro magnifico, prodotto di un immaginario che fa sbiadire la maggior parte delle opere che si pubblicano sotto l’etichetta di “letteratura fantastica”. Il Dizionario, che dizionario non è, ma che può essere letto indifferentemente in maniera sequenziale, oppure saltando da una voce all’altra, viene introdotto da un prologo essenziale alla comprensione.
C’erano nell’alto medioevo i Chazari, popolazione il cui dominio si estendeva sulla costa settentrionale del Mar Nero e fino al Caspio; sappiamo che prima di essere cancellati dalla storia dalla nascente potenza russa, le classi superiori si convertirono all’ebraismo. Pavić imbastisce una complessa narrazione per episodi, incentrata soprattutto su questo fatto storico, ma con premesse esclusivamente narrative: nel VII secolo l’autorità più alta, il kagan dei Chazari, invita nella capitale i rappresentanti delle tre grandi religioni monoteiste del Mediterraneo per decidere a quale di queste l’intero popolo dovrà convertirsi. Arrivano un pope greco, un mullah e un rabbino; la vittoria nella competizione andrà a quest’ultimo, probabilmente per l’intervento della potente principessa Ateh.
Mille anni più tardi, nel corso della lunga guerra austro-turca, il destino di tre altri personaggi sembra ricalcare quello dei loro predecessori: si tratta del suonatore di liuto Yusuf Masudi, del nobile serbo Avram Branković e dell’ebreo Samuel Cohen di Dubrovnik. Tutti e tre sono uomini di cultura, e interessati alla “questione chazara”, cioè al mistero della conversione del popolo all’ebraismo. I tre sono intimante legati, dal momento che ognuno nelle ore di riposo sogna la vita degli altri; tutti e tre sono uomini di profonda cultura, autori di alcuni dei testi contenuti in questo Dizionario, e si riconoscono l’un l’altro nel momento in cui si trovano sul campo di battaglia.
Non è finita; nel tardo XX secolo si ritrovano, in un convegno scientifico a Istanbul, uno jugoslavo, una donna ebrea scampata alla shoah, e un egiziano che ha combattuto contro Israele, perché le vite dei protagonisti sembrano ripetersi come in un ricorso storico, o in un ciclo di metempsicosi: i ricercatori vorrebbero ricostruire un libro al centro delle loro ricerche, il Lexicon Cosri scritto da Cohen, Masudi e Branković e stampato in latino dall’editore Daubmannus nel 1691 in un’edizione di cinquecento copie, subito mandato al macero dall’inquisizione: ma forse due di queste si sono salvate dalla distruzione, e l’unica giunta fino a noi ha le pagine intrise di un veleno mortale.
Il Dizionario di Pavić è una ricostruzione di quello di Daubmannus, ma integrato con voci che raccontano gli anni successivi: un libro geniale, divertente e colto, ricco di richiami storici, costruito su un’immaginazione consapevole, potentissima e dal respiro internazionale. Per intendersi, c’è poco Ivo Andrić e molto Jorge Luis Borges, poco folklore slavo ma tanto Mille e una notte, senza contare l’onnipresenza delle Città invisibili di Calvino: ci sono cacciatori di sogni altrui, pappagalli che a secoli di distanza recitano poesie nella perduta lingua chazara, usanze folli, amori che durano oltre la morte, emissari di Satana, guerre di sterminio, saggezza e follia, un mondo che avrebbe potuto essere ma non fu mai.
L’opera è divisa in tre parti: il Libro Rosso, che riporta fonti di provenienza cristiana sulla questione chazara; il Libro Verde, fonti musulmane, e quello Giallo, fonti ebraiche. Naturalmente è articolato in Voci, con una serie di rinvii a altre pagine (molte Voci sono comuni ai tre libri); lo stato chazaro esce dal mito per entrare nel fantastico, in una continua girandola di fuochi d’artificio dell’immaginazione, un pot-pourri di leggende, storia, letteratura, invenzione originale, con personaggi indimenticabili, sogni che si mescolano con la realtà, in un monumento al passato e al presente dei Balcani e del Mar Nero che è difficile levarsi dalla mente.
Il Dizionario dei Chazari è stato scritto in due diverse versioni: “copia femminile” e “copia maschile”, che differiscono in un singolo paragrafo lungo una ventina di righe (per chi fosse interessato, si trova Nella voce “Schultz, Dorothea” del Libro Giallo, verso la fine dell’undicesima lettera, quella scritta da Istanbul l’8 ottobre 1982); Garzanti l’aveva in effetti stampato in entrambe le versioni, con copertine di colori differenti; Voland ha scelto la “copia femminile”, come indicato in copertina — decisione condivisibile perché il passaggio in questione è obiettivamente più bello in questa edizione, e nulla leva al significato dell’opera.