C’era una volta la fantascienza sovietica, genere letterario autonomo rispetto a quello che contemporaneamente fioriva negli Usa, e in debito verso Verne e Wells piuttosto che verso la cultura pulp. Questa fantascienza poteva contare su pionieri del calibro di Zamjatin, tra i padri dell’anti-utopia, e Bogdanov con il suo Stella rossa, di recente riproposto in Italia da Einaudi. Vennero poi la guerra fredda, la corsa allo spazio, da una parte la dottrina del realismo socialista e dall’altra il maccartismo. Per i lettori italiani è sempre stato molto naturale riconoscere la propaganda politica di osservanza ždanovista che ispirava certe opere d’oltrecortina, bollate in maniera sprezzante con l’etichetta di “lotta di classe nello spazio” – un po’ meno facile risultava riconoscere il becero anticomunismo che informava una parte importante della fantascienza che senza il minimo spirito critico veniva invece tradotta dall’America. Pensiamo per esempio a tutto il sottogenere della minaccia dallo spazio, le invasioni extraterrestri, soprattutto quelle opere in cui gli alieni si impossessano del corpo degli esseri umani, conservandone l’aspetto esteriore di un baccello. Tutto questo è stato il riflesso più importante della guerra fredda nella letteratura, con la metafora letteraria della separazione dell’umanità in due razze diverse in un remoto futuro (pensiamo a La macchina del tempo di Wells con i suoi Eloi e Morlock), la rappresentazione del timore e del sospetto verso la working class: fobia di sostituzione, timore di contaminazione ideologica.
C’era una volta la fantascienza sovietica, quindi, e nella fantascienza sovietica c’erano i fratelli Strugackij. Già soltanto definire una forma grafica univoca del loro cognome sembra un problema. Scrive il traduttore Andrea Cortese: “Tra le possibili varianti del cognome degli autori, si è deciso di adottare la forma ‘Strugatskij’ che è quella utilizzata nelle pubblicazioni in lingua italiana degli anni ’60 (Edizioni FER). Nel corso del tempo i fratelli sono stati via via presentati come ‘Strugatski’, ‘Strugatzki’, ‘Strugatsky’ (all’inglese) e ‘Strugackij’. Quest’ultima è la forma corretta secondo le regole di traslitterazione ancorché – di gran lunga – la meno intuitiva per il lettore.” Dopo di che ci si domanda: perché non applicare il medesimo criterio ai cognomi degli scrittori americani, per esempio, visto che alcuni non sono per nulla intuitivi: Creasey? Koontz? Van Vogt? Per quarant’anni ho sbagliato a pronunciare il nome LeGuin.
A ogni modo, la fantascienza sovietica. Tra gli autori più tradotti c’erano i fratelli Strugackij: Arkadij (1925-1991), redattore editoriale, e Boris (1933-2012), astronomo – forse perché si riteneva che l’understatement narrativo, che trasformava in capolavori di reticenza le loro trame complesse e originali, fosse un espediente per mascherare un’aspra critica al sistema socialista. La collana Fantascienza Sovietica delle edizioni FER, già citate da Cortese (solo sette numeri tra il ’66 e il ’67, di cui due titoli degli Strugackij) li pubblicava invece perché tra gli scrittori russi erano i soli che univano a una solida base scientifica una fervida immaginazione avventurosa.
C’erano una volta i fratelli Strugackij all’interno della fantascienza sovietica; adesso che le ragioni della guerra ideologica sono venute meno, è una piacevole sorpresa il fatto che l’editoria italiana li stia riscoprendo, grazie anche a uno zoccolo duro di fan che non li hanno mai dimenticati, e a nuovi lettori di generazioni successive sedotti dal loro stile. Il punto di partenza per chiunque voglia inoltrarsi nell’universo Strugackij è naturalmente Picnic sul ciglio della strada, originariamente tradotto su Urania con il titolo del film che ne trasse liberamente nel 1979 Andrej Tarkovskij, Stalker, capolavoro di quell’understatement estremo che rende il romanzo indigeribile a pochi, indimenticabile a tutti gli altri.
Nella narrativa dei due fratelli si possono operare tre suddivisioni stilistiche: romanzi “realistici” anche se di fantascienza, come il suggestivo Arcobaleno lontano (pubblicato in una traduzione ridotta almeno alla metà dell’originale) e È difficile essere un dio; romanzi dell’understatement come il citato Picnic e la serie Мир Полудня, “Universo del mezzogiorno” (Lo scarabeo nel formicaio e Passi nel tempo, quest’ultimo pubblicato in tutto il mondo con un titolo fedele all’originale, Le onde placano il vento); infine, opere surreali o fortemente simboliche come La chiocciola sul pendio, recentemente ripubblicato da Carbonio Editore (era già apparso per Urania Mondadori con il titolo Il direttorato), o Хищные вещи века, che si potrebbe tradurre come “Le cose predatorie del secolo”, anche se in tutti i paesi occidentali dove è stato pubblicato è apparso con il titolo L’ultimo cerchio del paradiso. A quest’ultima categoria appartiene anche Понедельник начинается в субботу, Lunedì inizia sabato (1965).
Scritto nei primi anni della loro carriera, Lunedì inizia sabato è una storia paradossale che presuppone che la magia funzioni, che sia reale anche nel nostro mondo. Il protagonista Privalov è un giovane programmatore elettronico di Leningrado che durante una vacanza in Carelia entra a contatto con manifestazioni inspiegabili, e viene assunto all’ISSTEMS, Istituto di ricerca scientifica e tecnologica per la Magia e la Stregoneria. Questo l’assunto di partenza di una storia ai confini del surreale, che mi ha ricordato i capitoli di Il maestro e Margherita ambientati nel presente della narrazione. Gli autori si lanciano in un tour de force di citazioni letterarie, musicali, etnologiche, cinematografiche, principalmente concentrate nella cultura russa, ma non senza riferimenti al resto del mondo, che ne rivelano le enciclopediche conoscenze.
Occorre dire che senza le preziose tredici pagine fitte di Note del traduttore sarebbe impossibile cogliere tutti i riferimenti, e il romanzo sembrerebbe solo una girandola paradossale di personaggi e situazioni, uno Hellzapoppin’ del magico fine a sé stesso. Lunedì inizia sabato non è certo il romanzo migliore dei fratelli Strugackij, ma rimane un tassello importante di una carriera letteraria prolifica e originale, anche se non sempre coerente.