I Figli di Hypnos. Intervista ad Andrea Vaccaro

Secondo le Metamorfosi di Ovidio, Hypnos, dio del sonno, e fratello di Thanathos, la Morte, generò dalla Notte, molti figli: gli Oneiroi, che dalle sponde dell’oceano dell’ovest, in una caverna confinante con il dominio di Ade, inviano i sogni ai mortali attraverso due portali, uno di corno, l’altro d’avorio. Dal primo prendono forma i sogni veridici, dal secondo quelli ingannevoli. Morfeo, il Plasmatore li forgia; Fobetore, lo Spaventoso, sovintende agli incubi; Fantaso, l’Apparizione, duplica gli oggetti reali. Al mito classico attinse liberamente H.P. Lovecraft per il celeberrimo racconto da cui prende nome la casa editrice patrona in Italia del weird. Come il dio che la ispira anche la Hypnos Edizioni ha molti figli letterari. Ne parliamo con il fondatore e direttore Andrea Vaccaro.

Hypnos ormai rappresenta una realtà piccola ma ben consolidata nel panorama dell’editoria specializzata. Come è nata la casa editrice, come hai mosso i primi passi? È stato difficile farsi strada e quanto è cambiata la situazione nel corso degli anni?

L’idea della casa editrice nasce in seguito all’esperienza della fanzine Hypnos, in cui avevo convogliato la mia passione per il fantastico e la consapevolezza della pletora di opere e autori ancora in attesa di pubblicazione in questo campo. L’esigenza era di andare “al di là di Lovecraft”, non perché non amassi questo autore, tutt’altro, ma perché mi rendevo conto di tutto il materiale ancora in attesa di pubblicazione in Italia. La vera scintilla scoppiò quando lessi su una vecchia rivista Psyco il racconto “I ciceroni” di Robert Aickman (recentemente ristampato in Sub Rosa, 2018). Com’era possibile che un autore come Aickman fosse ancora quasi del tutto inedito in Italia? Io pubblicherò Aickman! E così è nata l’idea del progetto, che poi pian piano si è concretizzato nei primi due volumi della collana Biblioteca dell’Immaginario, Il Re in Giallo di Robert W. Chambers, e Il Gran Notturno di Jean Ray. L’idea era di puntare immediatamente a colmare le più importanti lacune del panorama editoriale italiano, e così ai primi due sono seguiti nella stessa collana i volumi dedicati a Fitz-James O’Brien, Stefan Grabiński e Aickman. Grazie al progressivo affermarsi dei social network e anche al pur ristretto pubblico conquistato negli anni precedenti con la fanzine, siamo andati avanti, prima inserendoci nel circuito delle fiere, poi nella vendita on line, prima con IBS e poi Amazon, sino a ottenere, dopo qualche anno, una distribuzione anche nelle librerie, non solo specializzate. L’altro grande passo è stata la collana Modern Weird, che per noi ma soprattutto per il nostro pubblico ha rappresentato una vera e propria sfida e novità. Il notevole abbassamento dei costi della stampa digitale (le prime stampe dei due volumi di esordio erano di tipografia, ma il passo alla stampa digitale è stato quasi immediato, vista anche la qualità di resa) e l’esplosione dei social network hanno portato negli ultimi anni a dare la possibilità a nuove realtà di affermarsi, creando così una cerchia di appassionati sempre più ampia, fattore di cui tutti attualmente beneficiamo. A ottobre festeggeremo il decennale della casa editrice, un traguardo comunque importante vista l’aleatorietà di molti progetti che nel tempo sono nati e morti nel giro di pochi anni. Si parla molto di professionalità o meno all’interno dell’ambiente della micro e piccola editoria, ed è in effetti un discorso importante, in quanto purtroppo spesso è proprio questa a mancare, nell’aspetto puramente letterario e artistico, o in quello più prettamente di gestione, nel marketing, e via dicendo. È difficile trovare nella microeditoria una vera professionalità in tutti questi aspetti insieme. Credo che oggi, ancor più di prima, due fattori siano fondamentali: il senso critico e il gusto. Nella pletora di pubblicazioni che oggi affollano il mercato, è importante impiegare il più possibile il proprio senso critico e fornire un prodotto che sia figlio di scelte ben precise e non un caotico assemblaggio di titoli. Al mese di giugno arriveremo al sessantesimo titolo cartaceo pubblicato, direi un bel traguardo, soprattutto per una casa editrice così specializzata come la nostra.

La tua scelta dell’horror e del weird è nata certo non da un calcolo ma da una sincera passione. Qual è il tuo rapporto col fantastico e con i vari sottogeneri che lo costituiscono: fantasy e fantascienza, per esempio, e soprattutto che differenza c’è – se c’è – fra weird e horror ? In questo caso Hypnos nel suo complesso è più orientata verso testi horror o weird?

Il mio primo approccio alla letteratura fantastica è avvenuto con la fantascienza: Isaac Asimov, Robert Silverberg, James G. Ballard, Philip K. Dick, sono stati gli autori che mi hanno “iniziato”, solo successivamente sono arrivati i vari Jorge Luis Borges, H.P. Lovecraft, William Hodgson, Aickman, e via dicendo. Tra tutti i generi codificati forse è il fantasy, inteso più strettamente come sword & sorcery, quello che ho meno frequentato, se non in quegli autori come Robert Silverberg, Michael Moorcock o Fritz Leiber, che già conoscevo come autori di fantascienza. Un “sottogenere”, se così vogliamo definirlo, che ho sempre amato e apprezzato è la ghost story, e quel tipo di letteratura dell’orrore che poi oggi definiamo in gran parte come weird, termine che all’epoca (parlo del periodo che va dalla metà degli anni Ottanta sino agli albori del nuovo secolo) non era ancora in voga. Come spesso accade, un termine, soprattutto quando si tratta di tentativi di classificazione dei generi, ha una valenza differente a seconda del contesto, temporale e geografico, in cui si sviluppa. Almeno nella mia mente, la letteratura dell’orrore e l’horror rappresentano due espressioni artistiche se non differenti in toto, quanto meno non coincidenti. Per fare un esempio banale, mentre la prima necessita dell’elemento sovrannaturale per definirsi tale, la seconda può prescinderne. Definirei autori horror Robert Bloch, Clive Barker, Stephen King, difficilmente farei la stessa cosa per autori come M.R. James, Aickman o Caitlín R. Kiernan, per cui al limite parlerei di letteratura dell’orrore se non meglio di weird. Così tra le grandi differenze tra letteratura weird e horror è che nella prima, troviamo come in molti casi (penso soprattutto ai classici del genere, Lovecraft, Hodgson, Clark Ashton Smith, ma non solo) sia presente quel “sense of weird”, che è tutto sommato parente molto stretto del sense of wonder più classico, elemento che invece è assente nell’horror. Detto questo ritengo che se il weird (e qui la definizione richiederebbe ben più spazio di un’intervista) può in certi casi incontrare l’horror (e in questo forse Ramsey Campbell ne è l’esempio più nobile), in gran parte delle sue altre espressioni ne è estremamente lontano. Credo che la nostra firma, “In Weird We Trust” risponda chiaramente alla tua ultima domanda, anche se ovviamente nel nostro Catalogo appaiono anche opere più improntate in cui horror e weird tendono a coincidere.

Quali sono le opere che hai pubblicato di cui sei più orgoglioso? Dovendo consigliare a un lettore cinque libri del catalogo quali sceglieresti?

Questa domanda mi viene fatta spesso, ma la risposta non è necessariamente sempre la medesima. Due sono le opere che più mi rendono orgoglioso di aver pubblicato: la prima è Der Orchideengarten, il volume antologico curato da Alessandro Fambrini, che primo non solo in Italia ma al mondo, ha riportato alla luce l’omonima rivista tedesca, sino a quel momento rimasta nell’oblio; un volume splendido anche da un punto di vista grafico e iconografico. Il secondo è Nuovi incubi, ovvero la traduzione del primo volume dell’Year’s Best Weird Fiction, di fatto la prima antologia pubblicata in Italia dichiaratamente dedicata alla letteratura weird contemporanea. Se parliamo di cinque titoli da consigliare a un lettore “ignoto” direi i romanzi La Casa delle Conchiglie, di Ivo Torello e Notte d’ottobre, di Roger Zelazny, due opere dalle mille sfaccettature, e che hanno tra le altre cose il grande pregio di poter appassionare sia il lettore navigato di weird che il neofita, le raccolte di racconti Il villaggio nero, di Stefan Grabiński e Sub Rosa, di Robert Aickman, e infine un numero della nostra rivista, Hypnos, che rappresenta al meglio il nostro progetto

Parlaci anche della rivista Hypnos che da quasi fanzine, già interessantissima nei contenuti ma minimale quanto a grafica, è cresciuta di anno in anno fino a diventare una delle più belle magazine in commercio. Un florilegio di autori fondamentali spesso misconosciuti o dimenticati al momento della pubblicazione, da Thomas Owen (che speriamo di rileggere presto anche in volume), a Thomas Ligotti prima dell’esplosione del fenomeno True Detective che lo ha portato alla meritata notorietà, da Robert Aickman (poi riproposto nella benemerita impresa della pubblicazione progressiva di tutta la sua narrativa breve in volume), fino, di recente, a personaggi noti soprattutto fuori del contesto letterario come Aleister Crowley.

Ti ringrazio per il complimento. La rivista richiede un grande lavoro alle spalle e rappresenta per noi non solo un fiore all’occhiello, ma anche l’unica e fondamentale opportunità per affrontare un discorso anche critico sul fantastico, con articoli, saggi, profili degli autori, recensioni. La narrativa è sempre il punto nevralgico della rivista (abbiamo pubblicato in dieci numeri 64 racconti di 52 autori differenti), ma sono forse i contributi critici a renderla un punto fondamentale della nostra produzione. Ogni numero presenta sempre almeno un autore del periodo classico del fantastico, uno contemporaneo straniero e uno italiano (tranne nel decimo numero, interamente dedicato al fantastico francofono), a rappresentare anche un po’ il nostro intento di voler esplorare tutte lo sfaccettare del weird, fornendo sì operazioni di recupero importanti, ma anche tenendo un occhio sempre attento a quel che succede al giorno d’oggi, come oltreoceano così in Europa. Tra gli autori “passati” nella rivista troviamo tra i classici moderni Leiber, Aickman, Tom Reamy, Claude Seignolle, tutti con racconti per la prima volta tradotti in Italia, autori contemporanei quali Kij Johnson, R. Kiernan, Laird Barron, Victor LaValle (in uscita sul numero 11), tra il meglio in assoluto della produzione weird odierna. Un racconto di cui vado molto fiero è “Gli eventi di Poroth Farm”, di T.E.D. Klein, presente sul primo numero della rivista e sino a quel momento inedito nel nostro Paese, e che considero una delle più belle storie weird degli anni Settanta e Ottanta. Infine, lasciami dire che gran merito del successo della rivista è da attribuirsi a Ivo Torello, il nostro art director, che ne cura l’intero impianto grafico e che di numero in numero apporta sempre nuove migliorie e idee, non ultima la straordinaria scelta di impiegare per copertina, titoli dei racconti e capilettera, una tecnica artigianale, intagli eseguiti su legno, dipinti e poi prodotti per la stampa, un lavoro pazzesco che, anche in questo caso, è frutto sia di grande capacità e professionalità, ma anche di una genuina e forse un po’ folle passione. Non a caso nelle varie fiere librarie la maggior parte delle persone che non ci conoscono e che si fermano al nostro stand lo fanno proprio perché colpite dalle nostre copertine, della rivista in particolare.

L’aspetto più importante della rivista è comunque il suo essere un’opera collettiva come nessun’altra. Lasciami pertanto ricordare le varie persone che negli anni hanno collaborato a più riprese alla realizzazione di Hypnos: Giuseppe Lippi, con i suoi splendidi articoli, Gino Carosini, autore di due fumetti presenti nei primi due numeri, Andrea Bonazzi, che ha curato per gran parte dei numeri la sezione relativa al weird contemporaneo, Laura Sestri, con i suoi articoli e traduzioni e che ormai è una delle collaboratrici fisse con la rubrica delle recensioni librarie, gli illustratori Cristiano Sili, con noi sin dal primo numero, Giuseppe Balestra, Elena Furlan, e ovviamente Ivo Torello, vero nerbo della rivista.

Una delle caratteristiche più interessanti di Hypnos è il suo guardare a 360 gradi sul genere senza barriere linguistiche o nazionali. Mai le scelte si sono fossilizzate sulla più ovvia e scontata tradizione anglofona ma hanno spaziato da quella franco-belga con Ray, Anne Salzman o più recentemente con l’ultimo numero di Hypnos rivista, il numero 10, a quella scandinava con i racconti lovecraftiani di Anders Fager, a quella germanofona – eccellentemente tradotta e introdotta dallo specialista accademico Alessandro Fambrini  – con classici come i racconti di Der Orchideengarten, il romanzo Alraune di H.H. Ewers e il progetto imminente sui racconti di Lemuria di Karl Hans Strobl. Vuoi spiegarci più in dettaglio? Pensi in futuro di continuare l’esplorazione eventualmente anche in altre aree linguistiche, quella ispanofona, per esempio?

Così come la casa editrice è nata dall’esigenza di vedere “al di là di Lovecraft”, così allo stesso modo ci sentiamo in dovere di esplorare anche nuovi lidi in un tipo di letteratura che per troppi anni è stata fortemente monopolizzata dalla tradizione anglofona. Se si esclude Il Re in Giallo di Chambers, di gran lunga il nostro bestseller, il titolo che ha venduto di più del nostro catalogo è stato Il villaggio nero, del polacco Stefan Grabiński, un autore straordinario, da annoverarsi a mio parere nel gotha della letteratura fantastica del Novecento, e che abbiamo per primo portato in Italia grazie allo splendido lavoro di Andrea Bonazzi. La nostra definizione di weird (qualora sia possibile “definirlo”, tanto sembra un ossimoro per un termine che fa dell’impalpabile e dell’indefinibile il suo marchio di fabbrica) è legata storicamente alla letteratura apparsa tra il 1880 e il 1940 sulle riviste specializzate dell’epoca negli Stati Uniti, ma quale sarebbe la sua definizione se considerassimo tutta la letteratura francofona, quella dell’Europa dell’Est, la letteratura ispanofona o di lingua tedesca, per fare solo alcuni esempi? Così il nostro interesse non può che spaziare tra le varie culture e, non a caso, oltre agli esempi che tu hai già citato, sul sesto numero della rivista abbiamo ospitato dei racconti dello scrittore giapponese Hoshi  Shinichi. La letteratura ispanofona, argentina in primis, ha una fortissima e consolidata tradizione nell’ambito del fantastico, anzi per diverso tempo è stata un vero e proprio “faro”. Di certo ci piacerebbe esplorare anche questa nuova strada, così come continuare con la tradizione scandinava o dell’Est europeo. Al momento abbiamo già diverse idee per quel che riguarda l’area francofona. Autori come Thomas Owen e Claude Seignolle sono dei veri e propri giganti del weird, sinora quasi del tutto dimenticati in Italia, e rappresentano una vera e propria “falla” nella nostra editoria di genere.

Riguardo ai narratori italiani, poi, Hypnos ha fatto molto. Il caso di Ivo Torello è significativo. Ma anche di molti dei racconti usciti dalle varie edizioni del Premio Hypnos e confluiti nei volumi che ne sono derivati. Chi sono gli autori pubblicati che apprezzi di più? Come ti sei mosso per reclutarli?

Qui il discorso ovviamente è molto delicato. Noi crediamo profondamente nella grande tradizione del fantastico italiano, e siamo convinti delle enormi possibilità e capacità degli autori italiani, ma allo stesso tempo siamo altrettanto consapevoli che solo una critica e una selezione seria e scevra da qualsiasi altra considerazione possa essere l’unica vera arma per far crescere i nuovi autori. Abbiamo pertanto istituito un concorso, Premio Hypnos, dedicato al racconto weird, che ci permette ogni anno di scoprire nuove voci molto interessanti e promettenti. Il vincitore del concorso viene pubblicato sulla nostra rivista, ma dopo qualche tempo ci siamo resi conto che oltre ai racconti vincitori molti altri sarebbero stati meritevoli di pubblicazione, e così sono nati i due volumi della collana Modern Weird, Strane visioni e Strane visioni 2, in cui sono stati raccolti i migliori racconti delle prime sei edizioni, diciotto racconti per volume che credo ben rappresentino le diverse sfaccettature del weird come viene recepito qui in Italia. Al momento, se si escludono i due volumi di Strane visioni, All’ombra dell’Antico Nemico, il volume che raccoglie le storie di un autore del primo Novecento, Giovanni Magherini-Graziani, e le pubblicazioni solo digitali di Spiragli, abbiamo pubblicato in cartaceo quattro diversi autori, ognuno “reclutato” in maniera differente. Il merito di aver scoperto Sergio Bissoli (Il Paese stregato, 2012) è da ascriversi a Giuseppe Lippi, una figura che è stata per me e per la casa editrice fondamentale, nonché un grande amico. Fu lui a propormi entusiasta l’opera di Bissoli e a curarne il mastodontico volume che ne è conseguito: un’opera straordinaria per intensità e sincerità, che rappresentano al meglio un tipo di fantastico che purtroppo ormai si sta sempre più perdendo. Per quel che riguarda Ivo Torello, che all’epoca era appena entrato nello staff della casa editrice come grafico, fu lui a mandarmi in lettura il suo romanzo, Predatori dall’Abisso. Era il 2012 e la casa editrice era nata da poco più di un anno, avevo letto e apprezzato un suo racconto apparso su Carmilla tempo addietro, ma ammetto che altrimenti come autore non lo conoscevo bene. Quando lessi il romanzo rimasi a bocca aperta, era la cosa più lovecraftiana che avessi mai letto dai tempi dello stesso Lovecraft. Il romanzo ha avuto un ottimo successo (Pietro Guarriello lo ha definito “il miglior romanzo weird da moltissimi anni a questa parte”). Sono stato dietro sei anni per avere qualcos’altro da lui e alla fine fortunatamente è arrivata La Casa delle Conchiglie! Per quel che riguarda Lukha B. Kremo, conoscevo già da tempo la sua produzione letteraria e sono sempre stato convinto che molte delle sue storie, pur partendo da un contesto prettamente fantascientifico, nascondessero in sé un animo genuinamente weird, e così lo contattai io direttamente per imbastire il progetto della raccolta che poi uscì nel 2014 con il nome L’abisso di Coriolis, che è a tutt’oggi il volume del nostro catalogo in cui più si fondono weird e fantascienza. Infine ho scoperto Cristiano Demicheli (Cronache dalla Val Lemuria, 2019) grazie proprio al premio Hypnos, al quale lui partecipò con successo risultando vincitore nel 2018. Rimasi molto impressionato sia dalla scrittura che dalla sua capacità di mescolare sapientemente diverse tradizioni letterarie dal fantastico alla Borges, alla letteratura umoristica fino alla più genuina ghost story, e quando mi disse che aveva nel cassetto altre storie nacque il progetto della Val Lemuria.

Quattro autori, quattro storie diverse, quindi per il futuro chissà!

Ultimamente hai varato una nuova collana, Novecento Fantastico, che inizia con una figura di primissimo piano: Roger Zelazny, più noto in ambito fantascientifico, con un suo romanzo meno noto e assolutamente weird, Notte d’ottobre. Ce ne vuoi parlare?

A Night in a Lonesome October, poi in italiano diventato Notte d’ottobre, è un romanzo che ho sempre amato visceralmente, erano anni che lo inseguivo e finalmente l’anno scorso sono riuscito ad acciuffarlo. Si tratta di una storia divertente, ma che ha in sé tutte le caratteristiche della migliore tradizione fantastica ed è un omaggio sentito alla letteratura e al cinema horror classico; ci sono sulla scena personaggi come Jack lo Squartatore, Rasputin, l’Uomo Lupo, Sherlock Holmes, ma allo stesso tempo i protagonisti sono altri, sono i loro famigli, una serie di animali che alla fine tirano le file della vicenda. La storia si ascrive al ciclo dei Miti di Cthulhu, ma il tutto appare in un’atmosfera quasi sospesa, un romanzo appassionante, pieno di verve, uno dei migliori volumi che abbiamo pubblicato. Lo stesso Zelazny lo considerava in assoluto tra i suoi cinque romanzi preferiti, e io non posso che essere della sua stessa opinione. L’edizione è arricchita da sei illustrazioni interne di Ivo Torello.

La tua attività nel campo del fantastico non si limita all’editoria: ti sei cimentato anche come critico in un’opera collettanea sulla narrativa fantastica italiana che ha suscitato qualche polemica. Come l’hai vissuta?

L’esperienza o la polemica? Scherzi a parte, Guida ai narratori italiani del fantastico (Odoya, 2018) è stata una bellissima esperienza, molto impegnativa ma anche piena di soddisfazioni. Ho avuto la possibilità di scrivere di autori che ho sempre amato e mi hanno formato e allo stesso tempo di esplorare nuove strade, scavare nei meandri bibliografici di altri autori. Sono felice che per la prima volta autori come Giovanni Magherini-Graziani o Giorgio De Maria siano apparsi in un ‘opera di questo tipo. Tra tutti, il lavoro fatto sull’opera di De Maria è stato quello che più mi ha dato soddisfazione, un lungo lavoro di recupero di analisi e recupero di testi, tra cui alcuni splendidi racconti pubblicati nella rivista Il Caffè. Penso possa essere una buona guida e che faccia quello che una guida deve fare, offrire degli spunti senza la pretesa di essere esaustiva. Sono certo che più si andrà avanti con gli anni più potrà essere apprezzata e diventare un buon punto di riferimento tanto per appassionati che per neofiti.

Cos’hai in cantiere? Puoi darci qualche anticipazione sulle prossime uscite.

I progetti in cantiere sono tanti, sia per i classici che per i contemporanei. Come accennato in precedenza, la prima novità importante sarà Lemuria, una raccolta di racconti di Karl Strobl, la mente dietro a Der Orchideengarten, curata e tradotta ancora una volta dall’instancabile Alessandro Fambrini, quattordici racconti da uno dei personaggi più controversi del fantastico tedesco del primo Novecento. Si tratta di storie molto varie tra loro, che riprendono vari topoi del fantastico ma in un’ottica del tutto originale. Succulente novità anche nel prossimo numero della rivista, che ospiterà due penne di primissimo piano del weird contemporaneo Lisa Tuttle, con uno dei suoi racconti più rappresentativi, “Sostituti”, e Victor LaValle con il recentissimo “Up from Slavery”, apparso l’anno scorso nella rediviva Weird Tales. Continua poi la serie delle avventure di Ulysse Bonamy, di Ivo Torello, con il terzo episodio intitolato Il maledetto paese che puzzava di pesce. Stiamo già lavorando anche alle prossime due uscite della collana Modern Weird, una delle quali sarà il secondo volume dei racconti del Mondo dei Culti di Fager, mentre per l’altra… lasciamo un po’ di suspense! Però un’anticipazione succosa in anteprima assoluta per Pulp Libri, c’è, ovvero la seconda uscita della collana Novecento Fantastico: si tratta della traduzione dell’unica raccolta di racconti pubblicata dal grandissimo e sfortunato Tom Reamy, San Diego Lightfoot Sue & Other Stories, undici toccanti storie da una delle più talentuose penne del fantastico statunitense, scomparso purtroppo prematuramente, in programma entro la fine del 2020.

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