Dopo la scomparsa di Valerio Evangelisti, sulla spinta dell’emozione ma anche dalla necessità giornalistica di documentare quale sia stato il contributo dello scrittore e militante bolognese, sono stati pubblicati molti interventi. Uno dei più significativi è stato scritto da Luca Cangianti, collaboratore di Carmilla, la rivista online dedicata a letteratura, immaginario e cultura di opposizione fondata e diretta da Evangelisti, e reperibile su Jacobin Italia. Cangianti è riuscito a sintetizzare quale sia stato il progetto che Evangelisti ha declinato in aspetti solo apparentemente diversi come la narrativa, la promozione e la promozione della scrittura, la controinformazione, la militanza politica, la ricerca storica, la divulgazione, ovvero l’obiettivo di costruire un immaginario di classe in grado di opporsi a quello del capitalismo, del consumismo e della diseguaglianza e dell’oppressione. La costruzione di questo immaginario, secondo Evangelisti, erauna delle attività più urgenti su cui impegnarsi, proprio per opporsi in concreto a un sistema dell’informazione e della narrazione che è l’arma più potente del potere capitalista attuale, per opporsi a quella seduzione che induce gli oppressi, in molte occasioni, a sostenere e lottare a favore di una divisione sociale che li sfavorisce e per il mantenimento di un sistema di privilegi che metodicamente li esclude. A partire dall’Ottocento si era creato assieme alle lotte materiali del socialismo questo immaginario costituito da idee di cambiamento, romanzi, canzoni, quadri, fotografie e giornali che svolgeva il ruolo di definire ed esaltare la critica all’esistente e la prospettiva utopica. E non è un caso che, negli ultimi decenni, assieme alla mondializzazione delle politiche repressive si sia dispiegata una guerra di lunga durata proprio contro l’immaginario del socialismo, contro la sua storia e contro le idee che risiedono nella testa dei militanti. Evangelisti aveva chiaro che, assieme alle lotte sindacali autonome, l’autorganizzazione per la difesa e conquista dei diritti, la creazione di spazi collettivi autogestiti, lo sviluppo della solidarietà, la resistenza ci si dovesse impegnare nella difesa della storia contro la manipolazione della cultura mainstream, contro il politicamente corretto, contro i mastini della guerra. Oggi i segni di questo immaginario contemporaneo possiamo trovarli, oltre che nelle opere di Evangelsiti, nei film di Ken Loach, nella trilogia di Stéphane Brizé e soprattutto nel tragico capolavoro che è In guerra, o in Louise-Michel diretto da Gustave de Kervern e Benoît Delépine, in miniserie ispirate a romanzi, come Germinal diretta da David Hourrègue o La ferrovia sotterranea di Barry Jenkins; ma anche in romanzi dedicati ai vecchi e nuovi sfruttamenti documentati in forma narrativa nella collana Working class diretta da Alberto Prunetti per le edizioni Alegre, del lavoro dei Wu Ming, delle esperienze Solarpunk portate in Italia da Francesco Verso.
I corvi di Odino di Andrea Di Vita è un testo che interseca narrativa, storia e politica, riproponendo il lavoro sui piani temporali alla base del ciclo dell’inquisitore Eymerich. Passato, presente e futuro sono strettamente collegati non solo nei termini delle teorie della fisica, ma dal punto di vista esistenziale e collettivo, da qualcosa che è cablato nelle circonvoluzioni cerebrali degli umani. È la prospettiva del socialismo a pretendere questa visione del tempo, anche perché è la visione politica che pone la storia al centro degli strumenti di lotta. Per questo l’eterno presente del capitalismo contemporaneo, scandito e dilatato dalle tecnologie della comunicazione, dalla propensione del digitale a essere usato per la modifica all’origine delle informazioni, dall’utilizzo radicale della falsificazione è nemico della storia, perché deve costantemente nascondere la realtà dei rapporti di classe. E così è per la tensione più o meno mistica verso passati sempre più remoti, vendendo la merce contraffatta dei miti delle origini e teorizzando balorde circolarità degli eventi, come piace ai fascismi di ogni tipo. Così il confronto con la storia nei romanzi avventurosi, la lotta politica di ogni giorno sempre dentro le lotte più radicali, l’esercizio alla speculazione della fantascienza e la costruzione dell’utopia costituiscono la lezione politica e culturale di Evangelisti. In questo scritto a lui dedicato da Andrea Di Vita, quella che inizia come una ricerca di poco conto diventa improvvisamente urgente, data la cronaca di questi giorni… Tutto nasce da due notevoli coincidenze temporali: la prima è fra la vita dello Eymerich storico, la peste nera e la decadenza di Bisanzio, mentre la seconda è fra il primo Risorgimento in Italia e lo sviluppo della Massoneria negli Stati Uniti.
Domenico Gallo
I corvi di Odino
Un omaggio alla memoria di Valerio Evangelisti
– Professore, abbiamo bisogno del suo aiuto.
– Sì, il rettore mi ha avvisato, abbiamo parlato a lungo. Ma, mi scusi, lei di preciso chi è?
– Mi perdoni, so di sembrarle maleducato, ma a volte meno si sa meglio è. Si fidi del rettore: è in ballo la sicurezza del Paese. C’è la possibilità di un’emergenza.
– Abbia pazienza. io insegno storia delle Crociate. Non vedo cosa interessi…
– La prego, non insista. Lei è un esperto riconosciuto della tecnologia militare nel basso Medioevo. Abbiamo motivo di credere che la sua competenza torni molto utile. Conto sulla sua discrezione. Ho bisogno che lei mi confermi quello che abbiamo raccolto da noi, ma non è che da noi… ecco, abbondino specialisti come lei.
– Beh…
– Cosa mi sa dire di Bisanzio prima della conquista turca? Mi conferma che aveva un rapporto particolare coi Genovesi?
– Beh, sì, certo, si può ben dire così. Dopo il saccheggio veneziano con la scusa della quarta Crociata nel 1204, Bisanzio non si riprese mai completamente, fra guerre civili, congiure e assassini politici. Ma certo chiunque governasse avrebbe fatto di tutto per appoggiarsi ai nemici di Venezia. Si sa per certo che i Genovesi combatterono contro i Turchi quando questi alla fine presero la città, ma fin da molti anni prima avevano rapporti privilegiati. Tra l’altro, Bisanzio consentiva ai genovesi un comodo accesso alle colonie sul Mar Nero.
– Ecco, bene, lei mi ha risparmiato una domanda. Lo vede che ingraniamo già? Una di queste colonie era Caffa, una posizione ben difesa sulla costa settentrionale del Mar Nero, in Crimea, giusto?
– Corretto. Ma non era mica l’unica, avevano anche uno scalo in quella che oggi è Odessa. Posti strani, sa, pieni di gente di tutte le razze. Non ne sappiamo molto, in effetti.
– Non lo dica a me. E mi dica, cosa mi dice di Gotìa?
καὶ γνώσεσθε τὴν ἀλήθειαν, καὶ ἡ ἀλήθεια ἐλευθερώσει ὑμᾶς. La Scrittura è talmente chiara, nella Sua Luce! “E voi conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi”. Nell’abisso della Sua infinita misericordia Nostro Signore ha scelto di rivelare Se Stesso agli uomini abbassandosi a usare la lingua dei filosofi pagani di ieri e degli eretici di oggi. Non possiamo avere la presunzione di capire i Suoi motivi. Ma abbiamo il dovere di indignarci per la perversione di coloro che hanno prostituito i Suoi insegnamenti. La galea dei nemici di Aragona è stata catturata dalle fedeli forze di Ferdinando al largo della Sardegna, che quei ladri di decime ancora contendono al Re solo perché hanno sconfitto anni fa i ghibellini Pisani. Gli hanno già sottratto la Corsica che papa Bonifacio gli aveva destinato, ma la loro impudenza non ha limiti. Persino un nemico di Roma come quel poeta fiorentino li ha messi all’inferno e si chiede perché non siano dispersi per il mondo. Sulla nave hanno trovato dei documenti scritti parte in latino, parte nel volgare di quei mercanti e parte in greco. È stata certamente volontà del Cielo se il capitano della nostra nave si è preoccupato di mettere in salvo quei documenti e di farli avere ai miei confratelli. Ed è stato ancora meglio che i confratelli, che sono più bravi a pregare che a compulsare manoscritti, si siano dati cura di inviare tutto all’Inquisitore del Regno. Perché il pericolo è davvero grande.
– Gotìa? Ma Gotìa è il nome latino di quello che in greco è il principato di Teodoro. Era nella Crimea del sud, un thema.
– Thema?
– Sì, come dire, una suddivisione amministrativa. Un distretto militare, insomma, dell’impero bizantino. Inizialmente serviva per regolare l’arruolamento dei soldati. Il centro principale era Cherson, che poi venne progressivamente abbandonata per Mangup, un vasto complesso fortificato in Crimea, un gioiello adesso in rovina. Gotìa si trovò isolata dopo il sacco veneziano di Bisanzio del 1204, e si costituì in Stato autonomo. È un esempio di quello che le dicevo prima: oltre ai discendenti dei sudditi bizantini che parlavano greco, c’era gente che veniva dalla steppa, c’erano i goti che stavano lì dai tempi delle invasioni barbariche… è per quello che la chiamarono Gotìa.
– È vicino Caffa, no?
– Sì, in effetti sono entrambe in Crimea, anche se non vicinissime. Sa, sulla carta geografica la Crimea sembra piccola, non ci si rende ben conto delle distanze. SI trovarono alleate a combattere i Turchi l’ultima volta, Caffa e Gotìa, e caddero insieme. Nel 1475, s’immagini, ventidue anni dopo la caduta della stessa Costantinopoli, incredibile, se ci pensa…
– Ma non è da Caffa che è partita la peste nera?
Ex Oriente lux. Sono sedici anni che il morbo infuria. Il castigo di Dio è venuto dall’Oriente. Come già al tempo dei pagani, la peste nera ha falciato. Di un intero monastero è rimasto vivo solo un amanuense, e solamente quel tanto che bastava per pregare Dio per l’anima dei confratelli e per la sua, e per chiedere a Lui che qualcun altro finisse la miniatura cui aveva dedicato la vita. L’ira di Dio colpisce, ma non stupisce. I cristiani lasciano fiorire fra loro la mala pianta dell’eresia, osano trescare coi saraceni, lucrano sui traffici coi pagani, tollerano i giudei, prestano a usura il fratello al fratello, il figlio alla madre. Di questo parlano i fogli che ho fra le mani. Sono vecchio, forse. Ma non tanto da non riconoscere dove la vedo l’empia volontà di pervertire la Creazione. Picatrix non è stata la prima, e nemmeno l’ultima. Adesso ne ho la conferma.
– La peste? Sì, beh, è un fatto noto. Durante uno dei tanti assedi, i nemici lanciarono cadaveri di appestati oltre le mura di Caffa. Gli abitanti, terrorizzati, li buttarono subito a mare. Così non si sono accorti che oltre ai cadaveri in città erano entrati anche topi. Una pulce parassita del topo ospita il germe patogeno. Una nave rimpatriò da Caffa e sparse inavvertitamente il contagio in Europa. I morti si contarono a decine di milioni. In Europa il contagio cominciò verso la fine del 1346. Ma, mi perdoni, queste notizie le trova su Google e pure sui libri di scuola. Perché mi ha chiesto di Gotìa?
– Professore, mi sono comportato male. Ho giocato all’investigatore, non dovevo. Se le chiedo tanto, devo mostrare le carte. Si ricordi che conto sulla sua riservatezza. Le racconterò un sacco di cose che probabilmente saprà già, ma è necessario per chiarirle cosa vogliamo da lei. Vede? Quello che le sto mostrando è la copia di un documento scoperto dai nostri colleghi d’Oltreoceano. Ce l’hanno mandato e ci hanno chiesto di dare una mano. Le dirò, inizialmente non c’era urgenza. Un ricco signore di Nashville ha comprato una residenza dell’epoca della Guerra di Secessione, che lì vale una fortuna perché praticamente non ce ne sono più. Nel restaurarla, gli operai hanno scoperto un sotterraneo con un baule, evidentemente lasciato lì all’epoca. Un mare di carte. Tutta manna dal cielo per gli storici locali, perché molti documenti risalgono a ben prima della guerra. Fra questi, le pagine di un diario. Il diario di James Knox Polk.
– Scusi, e chi sarebbe…?
– L’undicesimo Presidente degli Stati Uniti d’America.
Estote ergo prudentes sicut serpentes, et simplices sicut columbae. Chi ha redatto questi documenti era uno astuto come un serpente. Che fosse anche candido come la colomba del versetto evangelico, ne dubito. Averli scritti in tre lingue è stato intenzionale. Purtroppo, la corda e il fuoco non hanno fatto parlare i marinai della galea, che chiaramente non sapevano niente. Quanto all’unico che sapesse leggere e scrivere, il comandante, è riuscito a darsi morte con un ferro nascosto prima della quaestio. Raccomandare la condanna al remo per quegli incapaci che non l’hanno perquisito a dovere è stato un piacevole sfogo, ma nulla più. Ho letto, ho riletto, ho sudato, ho pregato la Beata Vergine di farmi avere la grazia di un indizio. Ho solo capito – ho solo creduto di capire – qualcosa di innominabile; ma il testo è chiaramente cifrato, anche se scritto con parole in chiaro. E la chiave del codice non l’ho trovata.
– Adesso però glielo devo chiedere. Il documento è autentico?
– Oltre ogni ragionevole dubbio. Sono state datate con un buon margine di errore sia la carta sia l’inchiostro, e tre grafologi hanno indipendentemente confermato che si tratta di un autografo di Polk. Il documento – questa che le mostro è l’ultima pagina – risale al 1849, l’anno della morte. Polk morì a Nashville. Ha lasciato parecchie memorie, per così dire, “ufficiali”. Questo diario è una novità anche per gli specialisti, e contiene parecchie confidenze. Sembra che si volesse scaricare la coscienza. Il motivo per cui ce l’hanno mandato dall’America lo trova scritto al centro della pagina. Si legge chiaramente.
– Faccia vedere. Sì, si legge, è in maiuscolo. Si vede che era un segreto che gli bruciava.
ALMIGHTY GOD HAVE MERCY
SPARE AMERICA THE BOILS OF THE FUTURE
SHIP SENT TO GENOA
MAY FREEMASONS CONQUER MANDYLION’S KEY OF GOTHIA
LEST WHO SOWS GRAIN REAPS WHIRLWIND
Ecco che salta fuori Gotìa. Ma questa è una preghiera, no? “Signore Onnipotente abbi pietà. Risparmia all’America le ulcere del futuro” Dice proprio “boils”, “ulcere”, come la sesta delle piaghe d’Egitto, la pestilenza. Ma perché scrive “mandata la nave a Genova”? E perché teme che chi semina grano raccolga tempesta? La Bibbia dice “chi semina vento raccoglie tempesta”, no? Quia ventum seminabunt, et turbinem metent, è il profeta Osea. Un americano dell’Ottocento come Polk lo doveva sapere a memoria. E poi perché “grain”? In America mangiano il granturco,”corn”; “grain” indica tutti i cereali. E cosa c’entrano i “freemasons”? I massoni?
– Polk era malato, e di lì a poco sarebbe morto. Di colera. Però la scrittura è quella di un uomo ancora in forze. Lo vede, no, che la pietà divina che Polk invoca sta nell’evitare al suo paese “le piaghe del futuro”? Non parla mica del colera, che pure ai suoi tempi i medici conoscevano bene. In più manda una nave a Genova…
– …la città dove è custodito il Mandylion, il Santo Mandillo, l’icona miracolosa di Cristo. Icona dagli eccezionali poteri terapeutici, secondo la tradizione.
– Abbiamo fatto i compiti a casa, professore. Il Mandylion arrivò a Genova da Bisanzio nel 1362, portato dal capitano genovese Leonardo Montaldo. Lo ottenne in dono, o più probabilmente lo pretese per i servigi resi, dall’imperatore Giovanni V Paleologo. Ne ricavò in patria un tale prestigio che sarebbe diventato Doge. È stato il riferimento alle “piaghe future dell’America” che ha messo la pulce nell’orecchio a qualcuno negli USA, anche perché a parlarne come di un evidente pericolo era stato pur sempre stato un Presidente. Qualcuno che tempo fa senza fretta ci chiese, a titolo di favore personale, di vedere cosa ne ricavavamo fuori noi italiani. Lo sanno anche lì che Genova è in Italia. I Cavalieri di Colombo ci stanno pure per qualcosa.
– Sì, va bene, tutto molto interessante. Ma che c’entrano i massoni?
– La risposta è nella data, professore. Guardi la data. Cosa è successo a Genova nel 1849?
Erunt enim in hominibus et jumentis ulcera, et vesicae turgentes in universa terra. La Scrittura dice chiaramente che la peste è punizione divina per gli uomini dal cuore indurito, come gli Egizi del Faraone. Il documento descrive un modo diabolico per sventare la meritata punizione divina. Secondo l’empio che l’ha concepito, o meglio che ha ricopiato i suggerimenti dei diavoli cui ha sicuramente consacrato l’anima, è possibile seguendo un particolare procedimento coltivare una specie perversa di grano. Sinceramente rimpiango di non avere qui con me Fra’ Jacinto, adesso. Lui sarebbe stato in grado di aiutarmi a comprendere, a capire questo orrore. Mista al maledetto còlchico, i cui effetti nefasti lui e io abbiamo ben combattuto, la farina di questo grano infernale produce un pane che una volta mangiato può cancellare gli effetti della peste. Oppure moltiplicare i contagi, a seconda dei dosaggi adoperati nel corso del processo.
– Non è il mio campo di specializzazione, ma nel 1849 mezza Europa era in subbuglio.
– Sì, certo. Ma la nave di Polk fu mandata a Genova. Polk finì il mandato il 4 marzo 1849. Il primo aprile dello stesso anno Genova si ribellò ai Savoia. I Savoia repressero la rivolta nel sangue, fu un massacro. È un episodio poco noto del Risorgimento; ci furono combattimenti e saccheggi per un’intera settimana. Certo Polk non poteva prevederlo. Ma se davvero ha mandato la nave di cui parla nel diario a Genova negli ultimi giorni della sua vita allora la nave era a Genova quando è cominciata la rivolta. E si trattava di una nave militare, perché il Presidente degli USA non può dare tranquillamente ordini a una nave civile. È importante, perché uno dei comandanti sabaudi, il generale Avezzana, aveva il doppio passaporto sabaudo e statunitense. E persino su Wikipedia si legge che nella repressione a Genova Avezzana poté contare sui marinai di una nave da guerra USA.
– D’accordo. Io sapevo che Lamarmora – il comandante in capo sabaudo, Alfonso Lamarmora – era stato aiutato da una nave inglese. Ma ripeto la domanda: perché i massoni? Cosa c’entrano?
– Ma erano tutti massoni! Polk era massone. Alfonso Lamarmora era massone. Il suo collega e futuro primo ministro, Cavour, era massone. Ma soprattutto erano massoni Giuseppe Mazzini e Goffredo Mameli, che erano l’anima della rivolta. Massoni da una parte e massoni dall’altra.
– In effetti, che massonerie di appartenenze diverse siano arrivate anche a lottare fra di loro non mi stupisce. Per tutto l’Ottocento massoni francesi e inglesi si facevano le scarpe l’un l’altro. Napoleone si guardò bene dall’opporsi alla massoneria francese. La massoneria moderna poi nasce in Inghilterra nel Settecento, e da lì passa negli USA.
– L’ostilità fra Mazzini e Cavour era al calor bianco, non è un segreto. E la lotta fra sabaudi e rivoltosi infuriò particolarmente vicino all’Acquasola, cioè a due passi dalla chiesa dove è custodito il Mandylion.
– Vedo che davvero ha fatto i compiti a casa. In effetti Polk si augura che i massoni (immagino quelli “buoni”, quelli vicini alla sua loggia) “conquistino”, “conquer”, “la chiave del Mandylion di Gothia”. Ma allora non era il Mandylion di per sé a interessarlo. Del resto, le sue riproduzioni dettagliate erano pubbliche da secoli. Cos’è questa “chiave di Gotìa”? E cosa c’entrano i cereali? Perché Polk teme che qualcuno li sémini?
Vanitas vanitatum. So di stolti che cercano di catalogare i diversi modi di evocare gli spiriti. E di altri che si fanno beffe della dabbenaggine dei primi vendendo loro a caro prezzo libri di vani incantesimi. Li chiamano pomposamente Clavis Salomonis o in altro modo, ricoprendo coi nomi dei saggi del passato la vanità del presente. Come se la superbia dell’uomo non fosse più che sufficiente a trascinarlo alla dannazione eterna. E questa superbia ce l’ho davanti agli occhi. Per riservare a sé e ai suoi l’esclusivo accesso all’immenso potere che contengono, l’autore di queste pagine le ha disposte in maniera tale che solo avendo una chiave – altro che Salomone! – si possa ritrovare l’ordine esatto in cui il procedimento va svolto. Dispero ormai di poter investigare oltre.
– Sapevo che ci saremmo arrivati. Fra poco veniamo al motivo per cui l’abbiamo disturbata, professore. Lei mi chiede di Gotìa. Vede, quando abbiamo scoperto che la nave c’era davvero – un episodio di storia locale, in fondo, logico che in America non ne sapessero niente – ci siamo attivati. La traccia erano due: i massoni, e la Crimea, dove stava Gotìa. Abbiamo cercato quali massoni nella prima metà dell’Ottocento conoscevano i protagonisti dei fatti di Genova e bazzicavano dalle parti della Crimea. Ed è saltato fuori il nome più celebre di tutti. Giuseppe Garibaldi.
– Ma no. Garibaldi nel 1849 era a Roma a difendere la Repubblica.
– A fianco dei genovesi combattevano Mameli e Bixio, mandati proprio da Roma. Ma non è questo il punto. Prima dei fatti di Genova, nel 1831, il giovane Garibaldi era nei porti sulla costa settentrionale del Mar Nero, a Odessa e Taganrog, imbarcato sul “Costanza”. Suo zio, Antonio Felice Garibaldi, era viceconsole sabaudo a Kerc. A Taganrog Garibaldi venne in contatto con degli italiani che a loro volta lo misero in contatto con Mazzini. Diventa un adepto di Mazzini. E da quel momento anche un ricercato della polizia sabauda. Ci sono persino un monumento a Taganrog e un francobollo sovietico che lo ricordano. E in pieno Risorgimento, quando l’impresa dei Mille era di là da venire, un contingente sabaudo andò in Crimea proprio al comando di Alessandro Lamarmora, il fratello di quello che aveva comandato la repressione di Genova. In Crimea morì anche lui. Di colera, come Polk.
– Continui.
– La cosa davvero impressionante sono le coincidenze. Sono talmente tante che è difficile crederci. Il principale monumento di Taganrog è una scalinata neoclassica opera di un architetto sabaudo, Francesco Boffo. È lo stesso che realizza la grande scalinata di Odessa, quella del film di Eijsenstein. Odessa viene rifondata trent’anni prima dell’arrivo di Garibaldi da un ufficiale borbonico, De Ribas. Odessa si riempie talmente di napoletani che vi si compone persino “O’ sole mio”. De Ribas è massone; si appoggia a una loggia di San Pietroburgo. Glielo faccio notare perché pur di far dispetto alla Francia lo zar era in ottimi rapporti con gli inglesi, e dato che la massoneria è internazionale quello che sa la massoneria di San Pietroburgo lo viene a sapere anche quella di Londra e delle colonie americane. La massoneria predica la libertà d’espressione; in quegli anni la stretta della censura zarista sulla lingua e la cultura ucraine si fa pesante. Visto il favore di cui gode alla corte dello Zar per la sua opera, De Ribas è intoccabile. De Ribas vive a Odessa, ma soprattutto è contemporaneo del più famoso intellettuale ucraino di quegli anni, Grigorij Skovoroda. Un musicista e un poeta di genio, coltissimo; per il suo popolo, un mito. Skovoroda legge correntemente latino e greco antico. Viaggia vent’anni a piedi in lungo e in largo tutta l’Ucraina, di cui arriva a conoscere miti e tradizioni come nessun altro. La leggenda racconta che predice esattamente il momento preciso della propria morte, tanto da scavarsi da solo la tomba in anticipo. E qui vengo alla parte finale della mia storia, professore, quella che la riguarda. Lei cosa sa dei corvi di Odino?
Videmus nunc per speculum in aenigmate. In questa vita conosciamo solo immagini riflesse, come in un enigma. La destinazione della galea era Genova, e Genova è al di fuori del potere di Re Ferdinando. A quanto immagino a furia di rovinarmi la vista su queste pagine maledette, l’ordine esatto che ne decifra il contenuto è corrispondente all’ordine delle immagini che corredano una falsa reliquia che un Genovese ha portato in patria dall’impero dei Greci – o da quel che ne resta. La reliquia, dicono, è un ritratto di Nostro Signore che avrebbe eccelsi poteri terapeutici. E ce li ha davvero, se uno la usa per interpretare il manoscritto che ho fra le mani – e posto che uno metta a rischio la salvezza della propria anima per guarire il corpo mortale dalle infermità che lo purificano nella penitenza del dolore usando un artifizio da eretici. Per eccesso di diffidenza – tipico di quella genia taccagna che impesta il mare – l’icona ha raggiunto Genova seguendo un percorso diverso da quello della galea che portava questo manoscritto. La galea che abbiamo catturato.
– Odino? La principale divinità dell’olimpo dei vichinghi. I due corvi Huginn e Muninn gli stavano appollaiati sulle spalle. SI alzavano in volo la mattina e tornavano la sera, per raccontargli cosa avevano visto dall’alto. Così Odino era sempre informato di tutto: Huginn vuol dire ‘pensiero’ e Muninn ‘memoria’. Ma nelle metafore tipiche della poesia nordica, le ‘kenningar’, una battaglia viene spesso definita ‘festino dei corvi’, dato che sono loro gli uccelli che banchettano sui cadaveri dopo una battaglia. Il che sta benissimo, perché è Odino a decidere in una battaglia chi sarà il vincitore.
– Roba da vichinghi, appunto. Lei sa che l’imperatore di Bisanzio aveva una guardia personale di pretoriani vichinghi. E sa anche che la Rus’ di Kiev, la comunità politica all’origine della moderna Ucraina, l’hanno fondata i vichinghi. Quello che non tutti sanno è che secondo un direttore del museo dell’Ermitage, un luminare di numismatica e archeologia, von Koehne, i due corvi appollaiati sulle spalle di Odino sono raffigurati in forma stilizzata nello Trizub, il tridente simbolo nazionale dell’Ucraina.
– È lo stemma di quel battaglione di mezzo nazisti, come si chiama…
– …e non solo. È lo stemma dei seguaci di Stepan Bandera, che per gli ucraini è un eroe nazionale e un abominio per i polacchi – che i ‘banderisti’ crocifiggevano alle porte delle case. Ma soprattutto è lo stemma nazionale dell’Ucraina moderna. I cui colori sono il giallo dei campi di grano e l’azzurro del mare. E qui torniamo al messaggio di Polk, e al lavoro di consulenza che le vogliamo offrire.
– Ecco, in effetti… è tutto molto strano e suggestivo, ma detto così sembra un romanzo di quello scrittore, come di chiama, Valerio Evangelisti. Un po’… fuori le righe, insomma.
Sicut illi decem et octo, supra quos cecidit turris in Siloe, et occidit eos: putatis quia et ipsi debitores fuerint praeter omnes homines habitantes in Jerusalem? La Scrittura ci insegna che non dobbiamo giudicare. Chi muore non è necessariamente più colpevole di chi resta in vita. Così, Nostro Signore ci mostra le diciotto vittime del crollo della torre di Siloe a Gerusalemme, e chiede con ironia agli Ebrei se secondo loro quelle vittime erano più in difetto dei sopravvissuti. E come posso allora io ergermi a giudice, o Signore? Fra’ Jacinto e io ci assolvevamo reciprocamente prima di procedere alla quaestio dei sospetti di eresia; la forza della Tua Misericordia ci preservava così dal peccato. Ma qui la decisione è soltanto mia, o Signore. Se puoi, allontana da ma questo calice, ma sia fatta la Tua volontà.
– Come promesso, giocherò a carte scoperte, professore. Polk non è stato un Presidente qualunque. Sotto di lui gli USA hanno schiacciato il Messico dopo averlo provocato con una false flag, un incidente di frontiera combinato apposta. Cone i nazisti a Gleiwitz. La più grande espansione territoriale della storia americana: dal Texas al New Mexico all’Oregon. E uno così, negli ultimi giorni di vita, si preoccupa di mandare una nave da guerra in un paese lontanissimo che non ha mai visto e di cui non sa praticamente niente. E riempie l’ultima pagina del suo diario personale con una preghiera in cui chiede che chi semina i cereali non subisca disgrazie e che l’America non soffra la peste della Genesi, che in America non è mai arrivata – finora. Dall’altra parte del mondo e mezzo millennio prima c’è Gotìa, uno staterello conosciuto a malapena dagli specialisti che però evidentemente è la patria o comunque la terra di riferimento di un segreto. Un segreto che Polk collega al pericolo che chi semina cereali vada alla rovina. La chiave per svelare questo segreto si trova in una reliquia bizantina. Una reliquia custodita proprio nel posto dove il massone Polk – e a quanto pare anche gli inglesi – hanno mandato navi a schiacciare una rivolta guidata da massoni.
– E allora?
– Ci pensi bene. Gotìa è uno scampolo di Bisanzio. Il Mandylion è una reliquia di Bisanzio. A Genova ce l’ha portata un capitano genovese, uno che certamente andava per mare e conosceva Gotìa, non fosse che per il fatto che stava vicino ai genovesi di Caffa. Polk collega il segreto del Mandylion ai cereali. Gotìa sta in Ucraina, che praticamente è un unico immenso campo di grano che fornisce il mondo.
– Polk fa capire che se i massoni – perlomeno i ‘suoi’ massoni – non scoprono il segreto allora c’è il rischio che chi semina cereali raccolga tempesta. E teme per una peste in America. Ma il Mandylion parte per Genova…
– …alcuni anni dopo lo scoppio della peste nera. Dà da pensare, no? Come se in un impero morente e ormai incapace di mettere a frutto i propri segreti il nostro bravo capitano genovese si fosse preoccupato di mandare in patria un segreto che servisse contro la peste. Un segreto legato al grano, un segreto scoperto a Gotìa, un territorio bizantino lontano dal caos della madrepatria ma circondato da un oceano di grano. Cosa c’entra il grano con la peste?
– Beh, è un fatto noto che la segale cornuta attecchisca nei granai male aerati e in cattive condizioni igieniche. Può avere devastanti sull’organismo.
– In altre parole, la segale cornuta è una potenziale arma biologica. Ma la conosciamo, e sappiamo come renderla innocua. Supponiamo invece che a Gotìa, magari per puro caso, col passar degli anni si sia selezionata una sottospecie di grano o di un altro cereale che consenta lo sviluppo di un agente biologico, una muffa magari, qualcosa che alteri la propagazione della peste. Che so, rendendo sterili le pulci che la trasmettono.
– Magari con altre dosi la stessa muffa potrebbe aumentare la fertilità di quelle pulci. Così si potrebbe sopprimere o aumentare l’effetto del contagio a volontà. Un’arma biologica ideale, perché in ogni momento l’unico colpevole sotto i vetrini dei medici sarebbe sempre e solo la pulce.
– Perfetto, professore. Ci siamo capiti. Lei mi insegna che i bizantini non temevano confronti quanto ad armi segrete. Il fuoco greco non lo ha ancora saputo riprodurre esattamente nessuno. O per caso o dopo una campagna di sperimentazioni nei campi anno dopo anno, che i bizantini di Gotìa abbiano realizzato un’arma biologica è assolutamente plausibile. Se c’è un posto lontano da tutto dove si possono fare esperimenti col grano per generazioni quello è l’Ucraina. La madrepatria non era più in grado di utilizzarla, ma gli alleati genovesi sì, magari in cambio di qualche passaggio per nave verso lidi più sicuri. Magari il contagio da Caffa è partito con maggiore virulenza per un esperimento sbagliato, o un tentativo di copia finito male. Non lo sapremo mai.
– Sì, ma che c’entra il Mandylion?
Sit autem sermo vester, est, est : non, non : quod autem his abundantius est, a malo est. Il Signore mi dice di prendere una posizione chiara: sì, sì, no, no, perché ogni sofisma, ogni arzigogolo proviene dal male. Devo decidere. Cosa devo fare di questo manoscritto empio? Senza l’icona degli eretici a Genova esso è inutilizzabile; l’icona senza di esso, inutile – se non, certamente, a suscitare la pietà dei devoti. Se ora io preservo il manoscritto dalla distruzione, qualcuno in futuro potrà ripercorrere il percorso che ho iniziato. Potrà risolvere l’enigma e raggiungere un potere di vita e di morte sconosciuto ai mortali dall’epoca di Salomone. Già il popolo vocifera che i Milanesi hanno mantenuto insolitamente bassa la mortalità della pestilenza, e voci di mercanti dicono lo stesso del regno sulla Vistola. Se io il manoscritto invece lo distruggo, l’effetto dell’opera degli eretici sarà vanificato in eterno. Ma con esso, anche la possibilità di salvare innumerevoli vite, così come quella di condannarne altrettante altre: e tutte innocenti, o Signore!
– Oh, quella del Mandylion è la parte più facile. Si metta nei panni di quel genovese. Deve far giungere in patria il segreto di una cura per la peggiore malattia del suo tempo. E forse anche di molte altre: dopotutto, epidemie spaventose avevano già colpito l’Atene di Pericle e la Roma degli Antonini, ed è difficile che uno vissuto a Bisanzio non ne fosse a conoscenza. Ancora più importante: quella stessa cura può diventare un’arma invincibile. È essenziale che nessuno ne venga a conoscenza, tranne chi deve. Il mare è infestato dai veneziani. Come si può fare? Come si è sempre fatto, da che mondo è mondo: si divide il messaggio. I documenti che descrivono la preparazione dell’arma – la scelta delle sementi, del tipo di terreno, ecc. – scritti in forma cifrata, e il cifrario da un’altra parte, possibilmente in un luogo in cui nessuno si sogni di cercarlo: un’icona sacra… Si mandano a Genova separatamente l’icona e la documentazione, e il gioco è fatto. Più i fedeli si ammasseranno davanti all’icona taumaturgica, meno verrà da pensare a quanto davvero terapeutica potrà essere.
– E i massoni?
– Vede, professore, il Mandylion a Genova c’è. Ma i documenti, per qualche motivo che ignoriamo, non sono mai arrivati. Altrimenti la storia del modo sarebbe stata diversa, non le pare? L’icona ha mantenuto la devozione dei fedeli per secoli. Ma se le cose stanno come le ho detto, c’è un altro posto dove a dispetto delle distruzioni e dei secoli trascorsi la memoria delle cose avvenute si è mantenuta, magari in forma oscura e simbolica: l’Ucraina. Il territorio di Gotìa arrivava fino a Cherson. Fin dai tempi della Rus’ il simbolo del tridente ricorda i corvi di Odino, la duplice presenza di conoscenza e sterminio. Tre secoli dopo Gotìa un erudito gira per monasteri e legge gli antichi testi, Skorovoda, uno del posto, un innamorato della sua terra che ne conosce miti e tradizioni come le sue tasche. Si vede attribuire dai compatrioti addirittura la capacità di prevedere l’istante esatto della propria morte. Pia devozione, o ricordo di una taumaturgia dimenticata? Skorovoda vuole sopra ogni cosa che la lingua e la cultura della sua terra non siano schiacciate dalla censura. Incontra De Ribas, un massone, uno che ha fatto della libertà di espressione il proprio credo. La persona ideale per raccontargli quello che sa. De Ribas è ben introdotto negli ambienti che contano, si fa beffe della censura poliziesca, parla coi confratelli che la pensano come lui, questi diffondono quello che sentono fra i confratelli massoni dell’alleata Inghilterra. Stupisce poi così tanto che pochi decenni dopo in America i massoni sappiano del Mandylion?
– E Mazzini?
– Mazzini ha vissuto in Inghilterra e Cavour conosceva bene quel paese. Ma prima ancora, Garibaldi visita le stesse terre dove aveva vissuto De Ribas pochi decenni prima. I massoni di varie tendenze e logge in competizione sanno che c’è qualcosa di molto potente legato al Mandylion. Non l’icona in sé, ma qualcosa che una volta che lo si ha in mano si capisce se si usa l’immagine dell’icona. Quando a Genova si arriva allo scontro decisivo americani, inglesi, sabaudi e mazziniani cercano tutti la stessa cosa, senza trovarla. Allora si va a cercarla dove tutto è cominciato, in Crimea. Ma nemmeno lì si trova niente, anche se si trova il modo per bloccare i russi a Sebastopoli.
– Bene, caro signore. Lei mi ha raccontato una bella storia. Bellissima, dico davvero. Ora vuole finalmente dirmi cosa vuole da me?
– Professore, ma lei crede che la storia sia finita? Ma non li legge i giornali? Guardi che quando le dicono che tutti quei laboratori di biotecnologie messi su in Ucraina fanno solo ricerche di agraria è vero, sa? Le varietà di grano sono così importanti da studiare! Adesso in Ucraina c’è la guerra. Una guerra che rischia di diventare la Terza Guerra Mondiale. Ma molto prima di Giulietto Chiesa c’è stato un romanzo di Frederick Forsythe, “L’alternativa del diavolo”, che descrive proprio come un gruppo di ucraini spinga il mondo sull’orlo della Terza Guerra Mondiale per conquistare l’indipendenza del loro paese. Poi, in tempi non sospetti, sono venuti fuori due film, “Lord of War” con Nicholas Cage e “Inferno” con Tom Hanks. Il primo parla di un mercante d’armi ucraino protetto da oscure complicità col Pentagono. Il secondo è tratto dall’omonimo romanzo di Dan Brown e parla di una spaventosa arma biologica nascosta a Costantinopoli, l’antica Bisanzio. Per chi sa – o anche solo sospetta – come sono andate le cose sono coincidenze troppo strane. È come se chi sa abbia lasciato trapelare qualcosa per smuovere le acque. E le acque si smuovono quando i documenti non si sono trovati. Altrimenti, chi ce li avesse se li terrebbe ben stretti. E rimarrebbe zitto. Capisce che adesso l’urgenza c’è?
– Sì, ma…
– In questo paese lei è il massimo esperto di armi di quel periodo. E probabilmente non solo in questo paese. Le offriamo fondi illimitati, totale libertà di movimento, accesso privilegiato a ogni archivio possibile e immaginabile. Carta bianca, insomma. Per il suo onorario dica la cifra. Avrà tutto il materiale che le serve: si stupirà dei progressi che sono stati fatti. Certamente non siamo più ai tempi di Garibaldi. Ma ci dica dove sono quei documenti. O almeno dove potrebbero ragionevolmente essere. O ci dia anche solo una prova che sono andati distrutti. Una sola richiesta: faccia il possibile per fare più presto che può. Con l’attuale situazione internazionale, il nostro governo non vuole restare nell’incertezza.
– Dopo tutti i discorsi che mi ha fatto, le dirò che immaginavo una cosa del genere. Lei si rende conto che è assai difficile che io riesca dove tutti gli altri hanno fallito?
– Oh, ma a noi non serve tanto un successo. Serve soprattutto saperne quel tanto che basta da poter confondere il più possibile le idee agli altri. Non siamo mica i soli, sa?
Caedite eos. Novit enim Dominus qui sunt eius. Io sono un Inquisitore. So cosa devo fare. Seguirò l’esempio dei miei predecessori. Anni fa, il legato Arnaud Amaury di Sua Santità guidò spiritualmente la distruzione dei perfidi albigesi. Egli risolse saggiamente un dilemma simile al mio. Gli fu chiesto che fare coi prigionieri. Alcuni erano certamente sozzi eretici, ma altri erano verosimilmente buoni Cristiani presi in mezzo da una guerra che non era la loro. Non potendosi distinguere agli occhi umani il grano dalla pula, Arnaud decise: Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi. Negare la saggezza di quelle parole equivale a negare l’onniscienza di Dio, il che sarebbe bestemmia. MI fanno spesso capire che io, l’Inquisitore del Regno di Aragona, manco di umiltà. Riconosco che è vero. Faccio qui ammenda di questo peccato confidando nella misericordia di Dio e seguendo umilmente l’esempio di chi ha dimostrato una saggezza pari solo alla sua fede. Ignoro quanti innocenti periranno bruciando questo manoscritto satanico. So che la grazia divina ha braccia abbastanza larghe per accoglierli tutti nel Suo Regno. E so anche che il mio dovere è estirpare l’eresia e prevenire ove possibile la propagazione delle sue opere. Io, Nicholas Eymerich, dispongo quindi che questo manoscritto e quanto ad esso è pertinente venga bruciato. Quanto all’icona a Genova, saranno le anime salvate dalle preghiere elevate a Dio di fronte ad essa che mi ringrazieranno. Che gli sforzi di coloro che in futuro cercheranno di risolvere l’enigma siano puniti dalla loro stessa frustrazione e fallimento. Per Christum Dominum nostrum. Amen.