Libri da leggere ad Halloween (ultime novità direttamente da Stranimondi la kermesse milanese del fantastico alla quale quest’anno il vostro umile Inviato speciale non ha potuto partecipare personalmente… ma ci sono amici fedeli che lo hanno comunque adeguatamente rifornito…for your pleasure !)
Jean Ray, 25 Racconti neri e fantastici, Camilla Scarpa, Agenzia Alcatraz, pp.535, euro 22,00 stampa.
Nato a Gand nel 1887 e qui morto nel 1964, Raymond Jean Marie De Kremer, conosciuto sotto il duplice pseudonimo di Jean Ray o di John Flanders, viene definito spesso, con certa enfasi, il Poe belga. Probabilmente lo scrittore fantastico novecentesco più letto in area francofona, non è altrettanto noto in Italia dove la sua fama era fino a pochi anni fa limitata quasi esclusivamente al suo romanzo più importante, il fantasmagorico Malpertuis del 1943 – da cui fu tratto anche un film omonimo con Orson Welles protagonista, nel 1971 – un malpertugio che non è (solo) una classica casa infestata e maledetta ma, assai più originalmente, un ospizio per divinità del pantheon greco in rottamazione (libro da leggere assolutamente nella nuova edizione curata dalla stessa Agenzia Alcatraz nel 2022, con prefazione di Valerio Evangelisti). Oltre al romanzo anche i 25 Racconti neri e fantastici, erano stati già tradotti da Baldini e Castoldi nel 1963 e il volume, antologia del meglio del meglio della narrativa breve dell’affabulatore fiammingo selezionata da lui stesso, ha raggiunto cifre astronomiche sul mercato antiquario (io stesso ne possedevo gelosamente solo una fotocopia…). I librai malediranno la casa editrice milanese che in questi giorni rimette sul mercato in nuova traduzione il volume ad un prezzo finalmente normale. Chi ama il bizzarro, il surreale, il visionario non può non leggere questi racconti in cui c’è tutta la magia dello scrittore belga: le nebbiose cittadine portuali delle fiandre, le circonvolute architetture gotiche, i sonnacchiosi borghesi valloni sempre ben pasciuti di birra, e in mezzo a loro anche altro… Come ne Il vicolo tenebroso nella città vecchia presso il porto di Amburgo, dove è meglio non passare se non si vogliono incontrare le Strigi; o in La verità sullo zio Timotheus, in cui il giovane nipote ci informa di uno zio particolarmente strano e ingombrante, personaggio di indubbio carisma però: è la Morte stessa; poi Il salterio di Magonza, storia di esplorazioni marinaresche verso l’altrove, un altrove decisamente eccessivo in questo caso; o Il cimitero di Marlyweck, in cui un cimitero itinerante si sposta da solo andando direttamente a prendersi gli utenti a casa; o, racconto giustamente celeberrimo, Il Gran Notturno, dislocato su un piano di esistenza intermedio, luogo o entità che c’è e non c’è; e infine Storchhaus o la Casa delle cicogne, una vecchia magione misteriosa che è un vero e proprio organismo vivente con una stanza-stomaco in cui vengono digeriti i malcapitati abitatori. E ne ho ricordati solo alcuni, ma il lettore in cerca di deliri febbrili ne troverà molti altri…bon frisson !
William Fryer Harvey, La casa di mezzanotte e altri racconti, Elena Furlan, Edizioni Hypnos, pp. 180, euro 18,90 stampa.
Dopo La bestia dalle cinque dita e altri racconti del fantastico, pubblicato da Hypnos nel 2017, l’inarrestabile casa editrice di Andrea Vaccaro, conclude con questo secondo volume la presentazione di tutti i principali testi narrativi, nel campo del fantastico e del macabro, di William Fryer Harvey (1885-1937), scrittore inglese nella tradizione tipicamente britannica della ghost-story, certo meno ricordato di M.R.James, Walter de la Mare o Oliver Onions, ma non per questo di minore interesse. Dopo classici come The Beast with Five Fingers – da cui il film omonimo realizzato nel 1946 da Robert Florey con protagonista Peter Lorre – o August Heat – storia di due uomini e di un futuro delitto in cui uno dei due sarà la vittima e l’altro l’assassino – considerati dalla critica specializzata inglese minor masterpieces, e già inclusi e tradotti nel precedente volume, il lettore si confronterà qui con altre 13 storie non meno inquietanti. Dall’esordio dell’autore con Attraverso la brughiera del 1910, fino al tardo Il volo di Mrs. Barnard Hollis, pubblicato postumo nel 1951. Vi troverà anche, tra gli altri, il racconto La doppia vista del 1933, sorta di manifesto programmatico della poetica letteraria di Harvey: “Dopo la guerra mi sono cimentato di tanto in tanto con i racconti. Te ne darò un pacco per darci un’occhiata mentre sei qui. Sono una raccolta di stati d’animo e tempi verbali, ma senza troppa difficoltà si possono suddividere in racconti dell’occhio sinistro e dell’occhio destro, con un gruppo che forse rappresenta la visione binoculare. […] Ho una forte immaginazione visiva costituita da impressioni sensoriali ricevute attraverso gli occhi. Ma questi occhi non si somigliano. […] Che cosa faresti se […] gente di ogni tipo, messaggi di ogni tipo, si stessero intrufolando?”. Essenzialmente un problema di visione quindi: attraverso gli occhi, anzi attraverso uno o l’altro occhio, entra qualcosa in noi e allora… i brividi procurati da Harvey non derivano quasi mai da elementi soprannaturali o ultraterreni, ogni evento inspiegabile non esclude lo scioglimento razionale, purchè lo si accetti fluidamente come si accetta l’ipotesi opposta, il fascino più profondo del fantastico risiede, come sempre, nel grado di ambiguità.
Lisa Tuttle, Il flauto d’osso, Sabina Terziani, Edizioni Hypnos, pp. 301, euro 17,90 stampa.
Lisa Tuttle (1952) scrittrice statunitense trapiantata in Scozia, ha già pubblicato per Hypnos una notevolissima raccolta dei suoi più importanti racconti selezionati in persona da lei, Il profumo dell’incubo (2020), – di cui già ho scritto su Carmilla – a questa è seguito il romanzo breve La mia morte (Hypnos, 2021), e adesso questo secondo volume di racconti scelti, che spazia dal quasi fantascientifico Il flauto d’osso (vincitore nel 1982 di un premio Nebula per il miglior racconto americano di fantascienza), all’horror puro di Pezzetti vari o Le mani di Mr. Elphinstone, fino al più sfumato weird di Una casa in cielo o di La sposa del drago. La Tuttle, che era quest’anno l’ospite d’onore di Stranimondi, oltre ad aver scritto libri (e, senza voler goffamente infrangere la privacy, essere stata anche fidanzata) con George R.R. Martin, il celeberrimo autore di Game of Thrones, aver sposato poi lo scrittore britannico di fantascienza Christopher Priest (autore di classici come Inverted World o di opere saccheggiate poi dal cinema come The Prestige o eXistenZ, da cui i film di Nolan e Cronenberg), e aver poi divorziato, non ha mai nutrito alcuna soggezione o dipendenza verso le figure maschili e “patriarcali” con le quali ha avuto relazioni professionali o/e sentimentali, ma letterariamente – in quella grande, nobile e inossidabile tradizione che trova nella narrativa fantastica una chiave di lettura critica profonda sulla condizione femminile, da Anne Radcliffe e Mary Shelley fino a Margaret Atwood, passando per Shirley Jackson – è stata sempre una figura di grande indipendenza e originalità creativa. Nel campo della saggistica ha scritto una Encyclopedia of Feminism (1986) e come editor ha compilato almeno un paio di antologie dal tema delicato, Skin of the Soul: New Horror Stories by Women (1990), e Crossing the Border: Tales of Erotic Ambiguity (1998), l’ultima sul tema transgender. Il testo di riferimento The Cambridge Guide to Women’s Writing in English colloca, un po’ dogmaticamente, le sue opere nel campo della fantascienza femminista specificando che la Tuttle usa elementi narrativi della fantascienza e dell’horror per “drammatizzare aspetti della condizione umana e in particolare quella femminile”. In genere chi scrive, fino a prova contraria un uomo (“nessuno è perfetto”, tanto per citare il finale di “A qualcuno piace caldo” di Billy Wilder), è decisamente diffidente e dubbioso verso il femminismo dogmatico: niente paura, la strange fiction della Tuttle, quasi come tutte le opere di Shirley Jackson o molte di Margaret Atwood, è una narrativa problematica e intelligente, un’affascinante (e spietata) prospettiva femminile sulle cose e sul mondo, non un trattatello propagandistico. Fidatevi del parere di un povero maschio.
Leonard Cline, La stanza buia, cura e trad. Lucio Besana, Edizioni Arcoiris, pp. 235, euro 14,00 stampa.
Leonard Cline (1893-1929) è stato soprattutto un giornalista e autore di narrativa breve per i periodici americani, soprattutto Pulp. Questo romanzo è probabilmente la sua opera più famosa, fu lodata da H.P. Lovecraft nel suo saggio Supernatural Horror in Literature. Questo è il motivo dell’inclusione nella geniale collana La biblioteca di Lovecraft – dedicata alle letture preferite del Visionario di Providence – curata per Arcoiris dagli infaticabili Jacopo Corazza e Gianluca Venditti, e tradotta da Lucio Besana, uno tra i nostri scrittori e sceneggiatori horror più creativi. Come ci racconta Besana nell’introduzione, Cline pubblicò il libro nel 1927 e poco dopo uccise un uomo, durante una scazzottata tra ubriachi: il caro amico Wilfred Irwin, alcolizzato come lui, a cui piazzò una pallottola in testa per averlo brutalmente malmenato. Estremo come il suo autore, anche il romanzo descrive personaggi che regrediscono dalla condizione umana a quella belluina, in modo non troppo dissimile dalla trama del film Stati di allucinazione di Ken Russell (1980), liberamente ispirato alla vita del ricercatore e psichiatra statunitense John Lilly. Anche qui si parla di un esperimento di reminescenza mnemonica volta al recupero e al risveglio di ricordi, esperienze e entità ancestrali, pre-umane, da parte di un libertino disilluso, Richard Pride, votato come Faust alla conoscenza priva di limiti. L’evocazione alla superficie della coscienza di questi strati e stati sepolti, provocherà una mutazione non solo psichica ma anche fisica. Ci muoviamo in una dimensione tipicamente gotica: il narratore in prima persona, un po’ come quello di La caduta della casa degli Usher di Poe, giunge alla magione in rovina di Mordace Hall come assistente di Pride, viene insidiato e corrotto non da una ma da ben due femme fatale (fortunato…) e partecipa infine all’apertura della stanza buia, la memoria rimossa, il fondo della nostra mente condiviso con i nostri antenati ominidi e con le creature preistoriche da cui l’evoluzione ci ha separato. L’abisso della natura umana non ci squaderna la meraviglia del cosmo o delle profondità della psiche ma l’orrore della nostra condizione: qualsiasi espansione della conoscenza è male perché noi stessi, soggetto e oggetto di quella stessa conoscenza, non siamo che male. Sì, diciamo che è un libro decisamente tosto.
William Seabrook, Gli oscuri segreti di Aleister Crowley, cura e trad. di Gabriele Scalessa, Edizioni Arcoiris, pp. 258, euro 14,00 stampa.
Questa volta non si parla di narrativa fantastica ma di un’inchiesta, come potevano svolgerla i periodici scandalistici degli anni ’20, su una delle figure più sulfuree del panorama esoterico dell’epoca, il “mago” inglese Aleister Crowley (1875-1947), – scacchista, poeta, alpinista, tossico, sessuomane, profeta della nuova religione di Thelema – l’”uomo più perverso del mondo” come lo etichettavano – con sua somma soddisfazione – i tabloid contemporanei: dedito a “messe nere” a base di droghe, orge, sesso multiforme (etero, omo, perfino zoo, capre soprattutto), coprofagia, satanismo e chi più ne ha più ne metta. In realtà le cose erano probabilmente un po’ meno estreme e perverse di quanto mitizzato (con la stessa compiaciuta complicità del preteso protagonista che fomentava costantemente la sua pessima fama): non mancava una certa squilibrata forma di mistica e ascetica del disgustoso (ma in fondo anche il cristianesimo non ha visto Santa Teresa di Lisieux succhiare avidamente le pustole purulente e infette dei malati che teneramente assisteva?) e il presunto “satanismo” era in realtà un neopaganesimo – in equilibrio fra Nietzsche e la Decadence dell’estetismo di fine secolo – che intendeva resuscitare gli antichi Dei precristiani. Ma quello che davvero interessa l’autore del libro, amico e sodale di Crowley, non è tanto fare chiarezza sui riti esoterici crowleyani ma ingarbugliare ancora di più il sottile confine tra verità e invenzione e fornire un’ulteriore cassa di risonanza al mito maledetto di Master Therion, “La Grande Bestia 666”, come si faceva chiamare l’istrione britannico. William Seabrook (1885-1945), laureato in filosofia, giornalista, scrittore, viaggiatore, appassionato di occultismo, non meno estremista di Crowley: accusato dalla moglie di alcolismo e pratiche sessuali sadiche, morto per una overdose di eroina (forse volontaria), esploratore in Africa e in Asia fra i beduini e gli Yazidi curdi, i cosiddetti “Adoratori del diavolo”. Scrisse un libro, The Magic Island, (che La Biblioteca di Lovecraft annuncia da tempo di voler tradurre e pubblicare in italiano), sulla sua permanenza ad Haiti studiando il Vudù e approfondendo la figura dello zombi (a queste pagine si ispirò nel 1932 White Zombie di Victor Halperin con Bela Lugosi protagonista, il primo film di zombi della storia del cinema). Ossessionato dal cannibalismo che aveva osservato in Africa occidentale, tentò di partecipare ad un rito indigeno ma fu raggirato dalla tribù che gli servì invece carne di scimmia; ci riprovò a Parigi corrompendo un medico della Sorbona che gli vendette un taglio di carne umana presa dal corpo di un uomo morto in un incidente. Seabrook se la cucinò da solo a casa: “Era buona – commentò – sembrava vitello”. Cosa poteva scrivere di Crowley un tipo così ? Il libro, divertentissimo, è la raccolta dei 12 articoli apparsi su The Indianapolis Star nel 1923 con l’impegnativo titolo di Astounding Secrets of the Devil Worshippers’ Mystic Love Cult, Revealing the Intimate Details of Aleister Crowley’s Unholy Rites, His Power Over Women Whom He Branded and Enslaved, His Drug Orgies, His Poetry and Mysticisms, His Startling Adventures Around the Globe as the “Beast of the Apocalypse”. Insomma tutto un programma! Il volume è corredato dalle bellissime (e similmente truculente) illustrazioni tratte dai periodici su cui apparve il reportage e da una lunga e dettagliata introduzione a Crowley del curatore Gabriele Scalessa.
Non dubito che, con simili letture, il vostro Halloween sarà meno che perfetto: vi manca solo un “dolcetto o scherzetto” da parte del buon vecchio Michael Myers !…