Com’è strano uscire, in un caldo pomeriggio d’agosto, dalle pagine di La storia segreta della Rivoluzione Francese, uscirne commossa e felice – e dispiaciuta. Non è finita solo la storia, ovvero il libro, ma sono finite anche certe speranze, certi slanci, certe convinzioni, certe illusioni. La giovinezza dei personaggi, e la nostra. L’idea di poter cambiare il mondo in un colpo solo, invece che a micropassi.
In inglese ci sono delle sottigliezze che noi non abbiamo: ci sono gli historical novel e ci sono gli historical romance. E solo i primi sono quelli in cui si cerca di rendere la vita reale, con i modi di pensare e di parlare, con le abitudini, e convenzioni e convinzioni, della società all’epoca in cui il romanzo è ambientato. Per noi c’è la generica categoria di romanzo storico, e con questo dobbiamo arrangiarci. Perché non gode di grande riconoscimento letterario, il romanzo storico.
Per fortuna, nel caso di La storia segreta delle rivoluzione francese, la sua autrice, vincitrice di due Booker Prize, rispettata nel mondo anglosassone per la sua grandezza e recentemente compianta (ci ha lasciato nel 2022), rappresenta una garanzia di qualità, serietà e bellezza. In Italia il libro era stato prima pubblicato in tre volumi, e ora è stato rieditato, sempre da Fazi, in un unico volumone di 1008 pagine. Non l’ideale per l’estate, verrebbe da pensare. Se non fosse che invece per molti di noi l’estate è quando finalmente si può leggere per ore senza interruzione, o interrompendosi solo per inseguire l’ombra e sgranchirsi le gambe.
Io questo romanzo l’ho trovato bellissimo. Come per tutti, anche per me la Rivoluzione Francese era una questione di storia studiata prima a scuola, malamente, e poi un po’ meglio all’università. Ma sempre con l’attenzione alla sua unicità e alle sue conseguenze. Pensate a quante volte abbiamo letto o sentito dire che “qui in Italia non abbiamo avuto la Rivoluzione Francese”, a indicare la mancanza di una “cultura borghese” che se ci fosse stata ci avrebbe fatto evolvere meglio e più rapidamente. E poi certo sapevo di Marat, Danton, Robespierre, e vagamente di Desmoulins. Ho anch’io negli occhi l’immagine di Marat ucciso nella vasca da bagno. E del terrore, delle fini sanguinose, delle ghigliottine, della giustizia sommaria e della fine di tutto con il colpo di stato di Napoleone.
Ma La storia segreta delle Rivoluzione Francese è un’altra esperienza. Innanzitutto, come alcuni commentatori britannici hanno sottolineato, usciamo finalmente dalla retorica dell’Ancien Régime e incontriamo i protagonisti della Rivoluzione. Invece delle residenze sontuose, delle dame con le crinoline, dei banchetti, delle carrozze, entriamo nella vita dei rivoluzionari, nel loro quotidiano oltre che nelle loro menti. Conosciamo le loro abitudini, le loro case, gli acciacchi, le rabbie, le amicizie e gli affetti. Nell’immaginarceli, via via dimentichiamo le iconografie tradizionali (spesso pure discordanti tra loro) e gli diamo il volto che secondo noi possono avere stante quello che dicono, quello che fanno.
Sono giovani, incredibilmente giovani. Ambiziosi, geniali, colti. Sanno che le parole sono tutto, e non si risparmiano. Scrivono, pamphlet e lettere e proclami, scegliendo le parole con cura ma anche con slancio e spontaneità. Camille Desmoulins, pioniere del giornalismo che vuole ribaltare il mondo, ci viene raccontato fragile e sentimentale, ma abile nel trovare “le parole per dirlo”, attento alle virgole, a ogni sillaba. Danton è un omone che arringa le folle e alle cui parole, pronunciate con forza e voce tonante, nessuno può resistere. È larger than life, ribollente di energia. Robespierre è rigoroso, incorruttibile, calmo, sempre pensoso, sempre al lavoro, ma anche affettuoso. Sono amici, loro tre, di quell’amicizia profonda e inattaccabile che nasce quando si è giovani e si decide che i propri ideali sono qualcosa di serio, concreto e per cui vale la pena morire. Sono determinati a difendere la rivoluzione che, quasi senza crederci, sono riusciti a mettere in moto. Sono anche disposti ai compromessi, ai necessari adattamenti dopo che la rivoluzione, sorprendentemente, ha avuto successo. E come tutti sappiamo resteranno vittime chi della propria intransigenza e chi della propria ambizione, e tutti comunque della follia della storia.
E finalmente ci sono le donne. Quelle vere, realmente esistite. Perché ormai si è capito, le donne hanno sempre fatto molto, e avuto molta più importanza di quella che è stata loro attribuita. Per cui dedicargli attenzione, cercare tra i documenti, dargli una voce e restituirgli lo spazio che gli è stato sottratto nella narrazione ufficiale è possibile. Basta volerlo. Ma più di tutto in questo racconto, che si svolge quasi sempre di notte o nelle prime ore del giorno, in una Parigi sporca, molto calda e molto fredda, si vede secondo me quello che una rivoluzione veramente è. Qualcosa di così complesso e articolato che, mentre si svolge, si fa fatica ad averne una visione d’insieme. Qualcosa di fragile, di incredibile. Così nuovo da non sapere che cosa farne. Desiderato ma imprevisto nel suo svolgersi.
E si capisce cosa sono gli uomini e le donne, quelli di allora e anche quelli di oggi, visto che per ogni generazione tutto ricomincia più o meno da capo. Capiamo il tormento e l’esaltazione, la tentazione e il cedimento. Quello che viene sottovalutato e poi si rivela fondamentale. Quello che viene capito ma non gli si può credere. Quello che proprio non ci si poteva immaginare. Vite veloci e pienissime, raccontate attraverso dialoghi che ti sembra di essere lì, ad ascoltarli mentre parlano, a riconoscere le voci, a sentire gli odori, a toccare la polvere, la carta. Davvero, sembra di viverla, la Rivoluzione Francese.
Hilary Mantel si cautela, nella prefazione all’edizione inglese e nella postfazione all’edizione italiana, su eventuali errori, interpretazioni, convinzioni sue trapelate nella stesura del testo. Che è il primo libro, il primo romanzo che ha scritto. Ma io vi dico, la perdono. Non tanto perché non sono in grado di cogliere errori o omissioni. Ma perché questa lettura è un regalo così grande. Avevo letto soltanto Al di là del nero, e ovviamente avevo in mente di leggere Wolf Hall (e lo farò). Avevo il ricordo di una scrittura particolare, come felpata. Che arriva da lontano e ci mette un po’ a farsi sentire. Ma che a un certo punto ti avvolge e quando te ne vai, costretta perché il libro è finito, ti manca quasi fisicamente. Tutto questo c’è già nelle 1000 pagine di La storia segreta della Rivoluzione Francese. Siamo fortunati, nell’avere tanta bellezza a portata di mano.