Dopo una lunga assenza dalle librerie italiane, torna per Carbonio Editore nella cura e traduzione di Luca Crescenzi il romanzo a cui l’autore della trilogia I sonnambuli, candidato al Premio Nobel per la letteratura nel 1950 e considerato uno dei maggiori scrittori di lingua tedesca del Novecento, dedicò ben quattro versioni, arrivando poi quasi a rinnegarlo, ingiungendo a se stesso di “non pensarci mai, non parlarne mai”, come svela Crescenzi nella bella e interessante prefazione.
Richard Hieck, il protagonista de L’incognita, è un giovane matematico dal volto affilato e dal corpo robusto che dedica la propria vita allo studio, alla ricerca del senso del reale nelle formule e nelle teorie che occupano le sue giornate all’università e le sue notti al tavolo della cucina. E il nucleo fondante di questo sottile romanzo che intreccia formazione e filosofia è già tutto lì, semplice e potente come solo i grandi temi sanno essere: la dualità del corpo e della mente – così ben rappresentata dalla particolare fisicità di Richard – che rispecchia l’opposizione tra ragione e sentimento, giorno e notte.
Alla notte e all’oscurità apparteneva il padre di Richard, figura misteriosa e opprimente che, alla propria morte, lascia ai figli e alla moglie il compito di liberarsi dal buio avvolgente in cui la sua presenza li aveva trascinati. Se Richard sceglie a questo scopo la luminosità e la limpidezza della matematica, Susanne, la sorella che fisicamente gli somiglia più di tutti, si rifugia invece nella religione, mentre Otto, il più piccolo, tenta la via dell’arte, pur faticando di fronte alle difficoltà materiali che si affacciano lungo il suo cammino – peraltro le stesse che, a modo loro, devono affrontare anche gli altri fratelli. Broch, nel ritratto della famiglia Hieck, offre infatti al lettore lo spaccato di una famiglia austriaca sul finire degli anni Venti, alla vigilia di grandi cambiamenti e in preda ai tormenti esistenziali che coinvolgono nel passaggio generazionale anche un cospicuo ricambio di valori, dove la ricerca del sapere, che per Richard rappresenta il senso della vita, viene progressivamente svalutata in nome di un appagamento più concreto e immediato (“‘il mondo se ne frega del sapere, almeno il mondo di oggi… Lei non è un uomo moderno, Hieck’”, concluderà il disilluso collega Kapperbrunn).
La vera protagonista del romanzo, tuttavia, non è un personaggio, ma una sensazione che accompagna ogni pagina, ogni frase che appare costruita ad arte per farla emergere anche dove sembrerebbe assente; la vera protagonista è l’inquietudine, quel misto di tensione, di desiderio di avvicinamento e al contempo di repulsione che sottende a ogni azione o pensiero che miri alla ricerca di un significato oltre alle cose. L’inquietudine di Richard allora, a differenza di quanto affermato da Kapperbrunn, è il sentimento per eccellenza della modernità.
E così, ritornando alle origini del pensiero ma proiettandosi nel domani, Richard Hieck, con la sua vita ordinaria e unica, con la sua famiglia tipica e speciale, riporta nella letteratura le immortali domande della filosofia: il sapere e la conoscenza sapranno accogliere e comprendere la vita nella sua misteriosa totalità? E se la religione, con la sua tensione verso l’alto e l’immateriale può in qualche modo rappresentare un’altra faccia della matematica in una visione platonica del reale, dove possono collocarsi invece quei fenomeni che, per quanto un intellettuale dedito alla razionalità come Hieck possa tentare di minimizzare, esercitano tuttavia una forza attrattiva capace di muovere esistenze intere, come l’amore, o la morte? È forse la stessa idea di totalità a essere fuorviante, a non rappresentare altro che un’illusione?
Broch costruisce un’opera agile e acuta che racchiude nello spazio e nel linguaggio accessibile di un romanzo coinvolgente e appassionante le grandi domande sul senso stesso della vita e della sua conoscibilità da parte dell’uomo: “Dall’oscurità che ci ha generati procederemo in direzione di una nuova oscurità e le stelle che posano su un fondo nero scivoleranno sulla superficie di un’acqua scura emergendo nella sublime grandezza della morte. Tutto questo non è forse abbastanza?”