Lo specchio sonoro è il primo romanzo della scrittrice inglese Heidi James edito in Italia, benché l’autrice abbia alle spalle la pubblicazione di altri tre libri di narrativa. Protagoniste del testo sono tre donne (Tamara, Claire e Ada) le cui vite, separate per luogo ed epoca, troveranno infine una convergenza; il lettore seguirà le vicende di ognuna di esse in ambientazioni che andranno dal Galles della Seconda Guerra Mondiale alla Londra contemporanea e di inizio anni Settanta passando per la rivoluzione indiana. Il tempo in cui le protagoniste sono immerse è una dimensione liquida e modellata dalla soggettività: le esperienze vissute, i traumi, i traguardi e i cambiamenti sociali appaiono come un apparato accessorio rispetto a un’identità femminile che riverbera dalle generazioni passate. È soprattutto il personaggio di Tamara a farsi carico di esprimere la molteplicità di soggetti che abitano la vita di una donna e che ne condizionano l’esistenza; con tecnica mirabile James conduce il lettore in una mente assediata da voci che si sovrappongono e guidano il personaggio verso il compimento del suo destino.
La struttura, basata sull’alternanza di brevi capitoli (di volta in volta dal punto di vista di una delle donne), incentiva la lettura, e, nonostante si tratti in un certo senso della classica tecnica adottata nei “romanzi d’appendice”, l’originalità è da ricercarsi non nella sospensione dell’azione (meccanismo per cui alla fine del capitoletto il lettore non sa se l’eroe si salverà o meno, modalità spesso usata anche nelle serie tv) ma in una certa sospensione emotiva, un momento evocativo che riverbererà nelle vicende delle altre donne. Il meccanismo che traina la lettura non è dunque dettato dal rincorrere la soluzione di un mistero (che pure, in un certo senso potremmo dire si nasconda nella storia), ma è l’ascolto di una eco nelle vite delle protagoniste, spesso avvertita dal lettore anche attraverso delle spie narrative, quali apparizioni ricorrenti di oggetti (spesso irrilevanti) nelle vicende delle tre donne e che contribuiscono a connotare scene di banale quotidianità con una luce fantasmatica.
L’attribuzione dell’aggettivo “femminista”, riportato nella fascetta, è adatta all’opera e probabilmente utilizzata per far leva su un pubblico attento a un certo tipo di tematiche. Ma se i temi femministi più organici al dibattito pubblico – come la minore libertà delle donne rispetto agli uomini in determinate epoche storiche e il peso di convenzioni sociali nell’ambito della vita matrimoniale – delineano un conflitto orizzontale tra generi senza che la narrazione assuma toni lacrimevoli, è quando l’autrice scende in profondità che vengono toccati temi spesso taciuti o controversi: il rifiuto della maternità e l’ambiguo rispecchiamento che intercorre tra ruolo di madre e di figlia, ruolo mutevole a seconda che si guardi l’ascendenza o la discendenza, ma che, in ogni caso, rende le donne anelli di una catena in cui passato e futuro sono forze concorrenziali alla compressione e all’annullamento del presente. Alla simbolica uccisione del padre si sostituisce quella della madre, ma si tratta di un processo che porterà con sé una coazione a ripetere in quanto, in questo caso, l’annullamento del soggetto antagonista implica l’acquisizione dello stesso, senza possibilità di sintesi.
Se l’autrice utilizza uno stile allusivo e fa ampio ricorso a ellissi per quanto riguarda l’oggetto della narrazione – per esempio nell’ambito di episodi di abusi all’interno della vicenda – senza mai cedere nemmeno per un istante alla tentazione di dover spiegare quanto narrato e riuscendo di fatto a restituirne la percezione, rimanendo ben ancorata al punto di vista del personaggio, l’indirizzo interpretativo del testo nel suo complesso è segnalato in modo esplicito dall’epigrafe di Jacques Derrida e dal ringraziamento finale a Mark Fisher. La dimensione “hauntologica”, ovvero la definizione di presenze attraverso delle assenze, è quella scelta dall’autrice per rappresentare un andamento della storia non lineare, in cui ogni generazione divora la precedente e ne è al contempo divorata, restando sospesa in un “tempo fuor di sesto”. Il concetto, che fino a oggi è stato evocato a livello visivo con fotografie e video, individuato con chiarezza nell’ambito musicale da Retromania di Simon Reynolds, indagato a livello sociologico da Fisher e filosofico da Derrida (Spettri di Marx), trova finalmente una sorprendente, inaspettata ed efficace rappresentazione narrativa con Lo specchio sonoro.