Sarà per il suo pessimo carattere di pestifero piccoletto (“Short people got no reason to live… So I don’t want no short people ‘round here’” cantava Randy Newman, altro pestifero piccoletto…), sarà per le cifre spropositate che esigeva per i diritti sulle sue opere, ma fra gli scrittori americani importanti – aggiungerei “di fantascienza” se la specificazione non fosse nel suo caso troppo limitante – Harlan Ellison (1934-2018) resta nel nostro paese il meno conosciuto e il meno tradotto. Quindi molto bene ha fatto Franco Forte a dedicare uno dei volumi della bella collana Oscar Draghi della Mondadori proprio a lui, dando coraggiosamente spazio a un nome in realtà prestigioso ma non certo popolare, e raccogliendo finalmente insieme tutti i racconti ellisoniani pubblicati in italiano in edizioni ormai annose e spesso introvabili.
In Italia Ellison è probabilmente più noto come editor che come scrittore, si ricorda soprattutto la sua epocale antologia Dangerous Visions (Mondadori, 1991) del 1967, in cui raccogliendo le suggestioni dell’avanguardia britannica – l’inner space di James G. Ballard e degli autori raccolti intorno alla rivista New Worlds, come Brian Aldiss, Michael Moorcock o John Brunner – definì i connotati della New Wave statunitense mettendo insieme oltre agli inglesi, i più originali science-fictioneers americani come Philip K. Dick, Roger Zelazny, Robert Silverberg, Theodore Sturgeon, R.A. Lafferty, Fritz Leiber, Norman Spinrad, Samuel R. Delany, ecc. e dando spazio a temi fino ad allora proibiti come sesso, incesto, ateismo, antimilitarismo, antimperialismo, e chi più ne ha più ne metta. L’introduzione al volume, scritta da Isaac Asimov, parlando di seconda rivoluzione sanciva il passaggio del testimone dalla vecchia generazione, quella dei pulp e dell’epoca d’oro della fantascienza, alla nuova, contemporanea della guerra del Vietnam e della psichedelia. Seguì nel 1972 una seconda e meno fortunata raccolta, Again, Dangerous Visions, non tradotta in italiano, e ne fu annunciata una terza, mai pubblicata. Ellison resta così nell’immaginario, anche di chi non lo ha mai letto, come il capostipite della SF scomoda, arrabbiata, impegnata politicamente e stilisticamente dirompente e sperimentale.
Un pugno di racconti pluripremiati – Premio Hugo, Nebula, ecc. – pubblicati qua e là in ordine sparso, erano state finora le uniche vie d’accesso all’autore per il lettore italiano: titoli bizzarri e affascinanti come Non ho bocca e devo urlare; “Pentiti Arlecchino!” disse il Tictacchiere; La bestia che gridava amore al cuore del mondo; Alla deriva appena al largo delle isolette di Langerhans: latitudine 38° 54′ N, longitudine 77° 00′ 13″ O; ecc. Ben pochi avevano messo le mani sulle uniche tre raccolte complete uscite in italiano, due delle quali all’interno di collane da edicola, riviste storiche di fantascienza alternative alla più famosa Urania della Mondadori: le mitiche Cosmo della Ponzoni e Galassia de La Tribuna (testate e case editrici ormai cancellate nelle nebbie del tempo ma capaci di evocare brividi di piacere e meraviglia infantile in molti late Boomers). Sono altri titoli enigmatici e invitanti: Dolorama e altre delusioni (1966) e Se il cielo brucia (1978), che traducevano rispettivamente Paingod and Other Delusions del 1965 e From the Land of Fear del 1967. Infine Idrogeno e idiozia (traduzione di Shatterday del 1980), volume pubblicato da Fanucci nel 1999 nella presto abortita collana d’avanguardia Avant-Pop.
Finalmente è ora possibile ritrovare tutto quanto in un unico, monumentale tomo, accompagnato oltre che da un’introduzione del curatore Franco Forte, da una dettagliata postfazione saggistica di Sandro Pergameno e dalla bibliografia raccolta da Andrea Vaccaro. In qualche modo la narrativa di Harlan Ellison ha infine trovato il degno canale per recuperare tutti quei lettori che il suo non troppo fortunato destino italiano gli aveva finora per molti anni negato.
Interessante seguire Pergameno nella sua ricostruzione parallela della vita dello scrittore attraverso i suoi principali racconti (Ellison non è mai stato un romanziere, ulteriore motivo forse per la sua minore notorietà nel nostro paese che non apprezza particolarmente la narrativa breve). Ebreo, rampollo della upper middle class di provincia, lettore precoce e onnivoro, bullizzato fin da piccolo per la bassa statura, accumula una dose di aggressività e di violenza che si manifesteranno sia nella biografia che nell’opera letteraria. Espulso dall’università dell’Ohio per aver colpito il suo professore di creative writing che metteva in dubbio la qualità dei suoi primi racconti, si trasferisce a New York, dove, tra l’altro, per documentarsi sul mondo delle gang di teppisti su cui vuole scrivere, si unisce per mesi alla pericolosa banda dei Barons di Brooklyn: ne usciranno parecchie storie di strada come Web of the City, The Deadly Streets, Children of the Street e altre. Scrive di tutto: fantascienza, polizieschi, western, avventura, perfino soft porn. Dopo il trasferimento in California intraprende anche una prolifica attività di sceneggiatore di comics, cinema e televisione, tra cui episodi per The Alfred Hitchcock Hour, The Man from U.N.C.L.E., Star Trek, Twilight Zone, fino al più recente Babylon 5. Si sposa cinque volte e si guadagna nel suo ambiente, a suon di ceffoni e di cause legali, la nomea dell’irascibile piantagrane. Il suo pessimismo, spesso vero e proprio nihilismo, e un’asprezza abrasiva e talvolta sgradevole nell’esprimerlo, emergono nei suoi maggiori racconti: Non ho bocca e devo urlare, per esempio ha tutto il sadismo di un infernale incubo di Hyeronimus Bosch tecnologizzato; Un ragazzo e il suo cane, scatena furibonde reazioni da parte del Movimento femminista che lo accusa di misoginia e di machismo (la collega Joanna Russ dirà a proposito del film tratto dal racconto e sceneggiato dallo stesso Ellison, che vederlo era per una donna come per un ebreo vedere un documentario sui campi di concentramento nazisti); L’uccello di morte venne attaccato perché considerato blasfemo. Insomma non c’è racconto di Ellison che non abbia creato scalpore e contrasto non solo per le tematiche provocatorie ma anche per lo stile sperimentale, involuto, decisamente ostico che però pone la sua narrativa mille miglia lontano dalla fantascienza più ovvia, tanto da conferirgli una complessità più vicina al mainstream che al genere.
Eppure Ellison ha scritto anche racconti pieni di malinconia e di sentimento, racconti come Jeffty ha cinque anni, come Conta le ore che segnano il tempo, o come Il paladino dell’ora perduta, e che ha dichiarato: “Siamo creature minuscole in un universo che non è né benigno né maligno…è solo enorme e indifferente a noi, se non come anelli della catena della vita. E tutto ciò che abbiamo da interporre tra noi e l’irrazionale terrore di polli che corrono starnazzando qua e là, sono la saggezza e il coraggio. Ecco perché vi dico tutto questo, e perché scrivo per scioccarvi e farvi infuriare e terrorizzarvi. Per dirvi con amore e partecipazione che non siete soli”.
Harlan Ellison sta tutto in una sua vecchia foto risalente forse ai primi anni ’70: seduto fieramente davanti alla sua macchina da scrivere, ben consapevole e orgoglioso del suo ruolo, sfida con sguardo sprezzante l’obbiettivo. Davanti a lui un cartello vergato a penna proclama: I Don’t Work, I Write. Io non lavoro, io scrivo.