Una delle uscite più attese dell’anno è di certo questo tomo di Hanya Yanagihara: la nota autrice statunitense di origini hawaiane e sudcoreane torna alle tante pagine dopo il successo di Una vita come tante (2015 – 2016 in Italia per Sellerio) e dopo la riproposizione per Feltrinelli di Il Popolo degli alberi (2013 – 2020 in Italia). Impossibile dunque non fare un confronto con la materia di Una vita come tante, a cui questo libro è stato ampiamente collegato da critici e media, benché per certi versi completamente opposto. Il paragone cede già a partire dalla struttura: se Una vita come tante, nonostante il numero di pagine in quadrupla cifra, presentasse una struttura tutto sommato tradizionale, con le quattro storie dei quattro personaggi a intersecarsi per lunghe sezioni – con altrettanto ampi flashback ben circostanziati per un possibile parallelismo con la letteratura russa più nota – quella che fa tremare le gambe a chi non la conosce, Verso il Paradiso si divide in tre sezioni ambientate in tre secoli differenti, a cento anni di distanza l’una dall’altra.
Il comune denominatore è il nome della coppia protagonista (o che vorrebbe esserlo), David e Charles, con in più l’elemento destabilizzante di Edward a voler creare il più classico dei triangoli amorosi, centrando il tema dell’omosessualità e dell’apparente utopia di unioni libere anche nel 1893, così come nel 1993 popolato dal fantasma dell’AIDS e nel 2093, dai risvolti distintamente più drammatici.
Tralasciando la trama, per la quale in realtà non servirebbero molte parole, la materia che Yanagihara costruisce è stilisticamente ottima (e corredata da una buona traduzione di Francesco Pacifico) e orchestrata a dovere, inanellando momenti di pura introspezione a sviluppi fattuali, dosando la dinamica e rimanendo in un limbo di parole ben amalgamate, frasi dalla struttura complessa ma mai cervellotica, nevrosi studiate in ogni dettaglio, il vissuto dei personaggi a riverberarsi con garbo nel presente, che sia l’omosessualità, il rapporto difficile con i genitori, l’amore non corrisposto, la fiducia mal riposta, l’amore non consumato e il rapporto di coppia asimmetrico tra giovani e vecchi, tra bianchi e neri, tra ricchi e poveri. Squadernare la realtà pare un compito facile per Yanagihara, responsabile di una scrittura alta ma familiare, rinfrancante e spietatamente logica, benché mai affilata né tantomeno corrosiva. Non ci sarebbero motivi per non leggere questo libro, da cui si possono trarre varie lezioni su come scrivere un ottimo romanzo, capace di rivalere con grandi opere del presente e (soprattutto) del passato.
L’unico elemento indisponente è la generale assenza di picchi emotivi, e in questo caso il confronto con Una vita come tante è francamente perso in partenza: la spirale discendente nel puro dolore di Jude a cui è dedicata la seconda metà del poderoso volume precedente non lascia tracce in questa nuova fatica di Yanagihara, probabilmente troppo impegnata a ricostruire le vicende delle Hawaii o del pressante affetto di un nonno mai troppo emotivo per potersi permettere una caduta di questo genere, di chiara vulnerabilità e attonita emotività. Nonostante i frangenti in cui l’autrice potrebbe affondare il colpo, stilettare il lettore e avvinghiarlo tra spire dolorose ed emotivamente forti, questo non succede, evitando dunque di sporcarsi le mani di sangue per consegnare un prodotto perfetto ma forse un po’ chirurgico, emotivamente sterile e a tratti francamente troppo freddo per potersene innamorare o anche solo invaghire. Ciononostante, vista la pochezza qualitativa della maggior parte delle uscite editoriali degli ultimi decenni, chiuderemo con una famosa citazione di Andreotti, personaggio altrettanto freddo ma almeno spietatamente noto: “sono un uomo di mezza statura ma non vedo giganti intorno a me.” Nel caso di Verso il Paradiso ci sentiamo di condividere questa opinione, quanto mai ficcante.