Hans Rodionoff / Il falso e il vero Lovecraft

Hans Rodionoff, Keith Giffen, Enrique Breccia, Lovecraft. Memorie dall'abisso, tr. di Aurelia Di Meo, Rizzoli Lizard, pp. 168, 19.7x26.7 cm, cartonato, euro 19,00 stampa

Proviamo a immaginare che H. P. Lovecraft, figlio unico di Winfield Scott Lovecraft, rappresentante di argenteria, e di Sarah Susan Phillips, modesta erede di una borghesia fondiaria in declino, entrambi deceduti a distanza di vari anni presso il Butler Hospital, il manicomio di Providence, non abbia mai veramente inventato il Necronomicon, il libro maledetto attribuito nel suo corpus letterario all’”arabo pazzo” Abdul Alhazred. Immaginiamo invece che lo abbia effettivamente ereditato dal padre, a malapena conosciuto, guardiano auto designato della normalità anglosassone bianca contro le forze dell’Oscurità, assieme all’incarico di proteggere la nostra dimensione dalle schiere tentacolari di Cthulhu e degli Antichi. Immaginiamo però che tutto il resto  una madre iperprotettiva che desiderava al suo posto una figlia femmina, una nonna con il pallino dell’astrologia, un nonno che introduce il nipote al repertorio più dark dei fratelli Grimm – resti agli atti e riemerga attraverso lo spaventevole “Altro” che Lovecraft testimonia nei suoi romanzi e nei suoi racconti. Quello che otterremmo è un biopic che rimescola ostentatamente incubo e realtà, Arkham e Providence, fiction e biografia documentale. Come Lovecraft. Memorie dall’abisso, già tradotto in Italia da Magic Press e ora ristampato da Rizzoli Lizard. 

Basato su un ipotesi letteraria, il progetto
vede la luce nel 2003 per il marchio Vertigo, la divisione adult della DC Comic, grazie alla collaborazione di tre personalità artistiche dissonanti ma creativamente confluenti nel contesto ibrido del graphic novel. La mente dell’operazione in teoria è infatti Hans Rodionoff, sceneggiatore e dimenticata icona nel panorama indie anni ‘00: una horror comedy per Troma, un Man-Thing ante MCU, un tv  movie prodotto da Clive Barker, uno script per  Guglielmo del Toro mai diventato un film. Anche il progetto  di Lovecraft in teoria avrebbe dovuto avere un seguito e diventare una serie: lo annunciano nel 2019 nientemeno che Benioff e Weiss, i due dioscuri di Games of Thrones, nel delirio trionfale che fa seguito alla saga fantasy, ma  non se ne farà niente.  

L’adattamento per il comics book ricade invece su Keith Giffen, un veterano del supereroismo DC anni 80/90, padre tra le altre cose, con Roger Slifer, del mercenario cosmico Lobo. Giffen ha il polso e l’intelligenza pratica del fumetto popolare, la premessa fantastica non lo distrae mai dai binari e dagli obiettivi della narrazione. Ricodificato il mondo lovecraftiano in base alle coordinate infantili del piccolo Howard, lascia infatti che le forze “primigenie” si distribuiscano nell’ordine traumatico della sua opprimente quotidianità. L’arco degli eventi, che comprende la parentesi newyorkese, la nascita di Weird Tales e il ritorno a Providence, si concentra nella seconda parte del volume sul matrimonio con Sonia Greene, un’ unione nuziale a dir poco problematica, e durata in verità soltanto due anni, ma che nella fantasia ossessionata di Lovecraft si prolunga qui per altri cinque. Sonia getta la spugna e sceglie di vivere, nella sua fantasia Howard immagina di salvarla da se stesso. Come prodotto di una mente maniacale, che ha rinunciato ormai a confrontare con il mondo il suo personale ideale di Io, quella di Howard si trasforma in una realtà alternativa grazie alla penna e ai colori di Enrique Breccia, il terzo lato di questo triangolo autoriale, forse il più sontuoso e anarchico dei tre. Disegnatore visionario, assieme a Trillo e ad altri, Breccia è stato uno degli innovatori della movida fumettistica spagnola nel secolo scorso. Le sue tavole si proiettano con forza, e un’immaginazione fiammeggiante, oltre i limiti di una storia che a distanza di venti anni, assieme alle sue potenzialità narrative, mostra anche le sue crepe, indulgendo anche nei momenti migliori in un raffinato fan service. Senza imbarazzo, Breccia rimette invece al centro il vero tema che lo scrittore di Providence ha sempre rivendicato – la paura – e lo rilancia verso di noi, un secolo più tardi. 

Come osserva John Carpenter nella breve introduzione al libro, inutile chiedersi se questa operazione corrisponda o meno a un’operazione verità: «L’unica persona che potrebbe dirci se questa storia è un’opera di finzione oppure no è proprio Howard. Ma immaginate di averlo qui… Direbbe che è vera dalla prima all’ultima parola»