Han Song / Fantascienza con caratteristiche cinesi

Han Song, I mattoni della rinascita, tr. Lorenzo Andolfatto, Future Fiction, pp. 406, euro 16,15 stampa, euro 4,99 epub

“Il futuro possibile in Cina potrebbe essere il seguente: l’enorme popolazione del paese si riunirà come una vera grande famiglia in una grande macchina gestita dal governo.” Han Song – uno dei “tre generali” della science fiction cinese, assieme a Cixin Liu e a Wang Jinkang, e sicuramente il più enigmatico – credo potrebbe sottoscrivere l’affermazione di James G. Ballard che siccome la finzione è già dappertutto, compito dello scrittore è semmai quello di inventare la realtà. Come quelle di Ballard, del resto, le sue storie possono ricordare la freddezza un po’ autoptica di chi non intende “svelare” la psicopatologia del presente dietro a fatti inconsueti, perché in fondo basta descriverla per come già appare, soltanto mimetizzata in un futuro contiguo al nostro e persino ovvio. Il sadismo di “Caccia alle belle donne” – un parco a tema erotico, con cacciagione umana alla mercé di misogini danarosi, reso possibile dai progressi dell’ingegneria genetica, può magari ricordarci Il richiamo del corno di Sarban (1952; Adelphi, 2015), con cacciatori nazisti e prede mutanti femmine, salvo il fatto che questa non è affatto un’ucronia ma la nostra linea temporale che dietro l’angolo ci fa già l’occhietto.

Il paragone con Ballard però finisce qui. Han Song è uno scrittore che nella sua originalità fondamentalmente usa la fantascienza come piattaforma narrativa matura, per raccontare il post human “con caratteristiche cinesi”.   Nei suoi racconti puoi nascere su un Boing e passare la vita a domandarti se esiste qualcosa al di fuori dal tuo 747. O puoi nascere in Cina dove il governo riesce a raddoppiare la produttività grazie a un farmaco che di notte trasforma milioni di cinesi in operosi sonnambuli. I suoi personaggi sono individui medi, maschi insicuri, soli ma mai veramente disconnessi dalla dimensione della collettività, che presto o tardi li richiama a sé attraverso i fili spesso disturbanti del potere, della memoria, della magia o  della scienza, davanti a una catastrofe che ha trasformato una comunità in un surreale bazar del soprannaturale per turisti del dolore (nel racconto che dà il titolo all’antologia, “I mattoni della rinascita”) o a cerimonie del lutto di un passato che il procedere della civilizzazione ha reso indecifrabile (“Le tombe del cosmo”).
Malgrado alcune sue opere risultino ancora impigliate nelle maglie della censura, almeno in madre patria, Han Song concilia il suo lavoro di scrittore con quello per la Xinhua, l’agenzia di stampa statale cinese. A differenza di un Cixin Liu, che ha ridato lustro alla fantascienza hard riposizionando le coordinate di genere all’interno rinascita politico-culturale della Cina, in perfetta sintonia con il suo governo, Song indaga i risvolti più oscuri e paradossali del “futuro manifesto” cinese, destinato a rimpiazzare presto o tardi l’incumbent americano con il suo “inspiegabile” mix di confucianesimo e capitalismo di stato. Su questo anche Han non ha dubbi ma qualsiasi lettura patriottica risulta qui annullata da una vena scettica, con forti dosi di humor nero, che ha semmai più a che fare con la visione meditabonda del profeta, per non dire con la buddità letteraria.

Come osserva Chiara Cigarini nelle note di questa splendida antologia edita da Future Fiction, che raccoglie racconti di Han Song dal 1991 al 2014: “Autore in-between, inteso come attraversatore di frontiere spaziali (che separano la Cina e il mondo) e temporali (quel passato, presente e futuro che nella sua produzione coesistono), Han oltrepassa anche il confine – sempre più sottile che separa scienza e magia (..) e sfumando la razionalità fantascientifica nell’irrazionale, individua nel misticismo una cifra stilistica ed estetica che gli permette di riportare la fantascienza cinese alle sue origini fantastiche.”

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