“Le terre lontane sono così, sono proprio le terre dove io sono”
Hai Zi, Percorso lontano: sonetto per la neve d’inizio ’89 (1989)
Come lasciarsi andare ai versi di Hai Zi (nato come Zha Haisheng,1964-1989), poeta cinese contemporaneo morto suicida nel fatidico 1989 e oggetto di un vasto culto che supera le frontiere del grande Paese d’origine e senza alcun elemento riconducibile a fatti storico-politici o di cronaca noti?
Anche a questo risponde l’antologia, ottimamente curata e tradotta da Francesco De Luca che nella avvincente “Nota del curatore” e negli apparati scelti per accompagnare il testo di Hai Zi offre notevoli spunti critici e storico-culturali.
La comunione con la terra è uno dei tratti distintivi della poesia di Hai Zi. “Io / calpesto il prato / mi riconosco in un pezzo di terra nera purissima”, scrive in Vivo in un mondo prezioso (1985), dove il nero e la purezza segnano la volontà di stare dentro le contraddizioni della Terra. Il tempo naturale scandisce ancora ritmi e visioni del mondo umano. E tuttavia non vi si trova una ruralità nostalgica, siamo piuttosto davanti a una lirica della materia, della materialità del mondo: “il mio corpo è un dolce paese natio, rivi di sangue lo percorrono”, scrive in Alba (1987), mentre in Madrepatria (o cavalcare i sogni) (1987) l’io narrante si definisce “fugace amante della materia”. In atmosfere sognanti – velate di malinconia e infestate di ricorrenti immagini di morte – compaiono tigri, pesci, cigni, scorrono fiumi, si aprono rovesci, domina la figura del campo di grano. E Hai Zi dipinge tutto con un tratto di pennello intenso, marcato ma breve.
Le impressioni sono autunnali: l’autunno incombe come il tempo irrevocabile della fine imminente. Il Tempo è un altro elemento distintivo delle liriche di Hai Zi: figura del logoramento e della consunzione – “la polvere degli anni non ha confini” (Chiedo la pioggia, 1985) – esso si espande rivolto a un futuro che è eredità profonda: “sono un pozzo scavato ai posteri” (Sonetto: luna di notte, 1985). Per il poeta cinese siamo testimoni del tempo: delle sue lontananze, dei suoi confini, dei sogni. Gli elementi della terra, nella loro deperibilità, sono proprio le prove che portiamo con noi davanti all’eternità. Dentro quest’abisso tra finitezza e infinito – “Delle creature degli dei io sono la più mortale / il mio tempo / non tiene il passo della morte” scrive ancora in Madrepatria – si ingrossa la tristezza che dimora ovunque.
Non è facile parlare di Cina né di poesia cinese, in tempi in cui dominano un razzismo neanche tanto strisciante rafforzato dall’epidemia di Covid-19, boicottaggi e beceri complottismi geopolitici, in una lingua pressoché sconosciuta con il rischio di riprodurre forme di orientalismo estetizzante. Tuttavia, questa antologia intensa e struggente – che chiede continue riletture – ci getta dentro temi universali, mostrandoci come l’attaccamento al mondo vive in disarmante equilibrio con la sparizione del tutto. Ed ecco il ritornello di Hai Zi, ancora in Madrepatria: “come tutti i poeti cavalcherò i sogni” e continua: alla fine sarò gettato dagli dei del crepuscolo nel sole eterno”, un salto dell’immaginazione se non per scavalcare la morte, almeno per non smettere di cavalcare la vita, abbandonandosi al cambiamento.