Gustave Flaubert / Visioni d’eternità

Gustave Flaubert, La tentazione di sant’Antonio, tr. Bruno Nacci, Carbonio Editore, pp. 176, euro 16,50 stampa, euro 8,99 epub

Dietro la fascinazione di Flaubert per il demonico e l’occulto c’è la ribellione contro la sostanziale vuotezza della rispettabilità e del perbenismo borghesi. Per questo, quando a Palazzo Balbi si mostra ai suoi occhi il dipinto Le tentazioni di Sant’Antonio, attribuito a Brueghel, nella sua anima si fissa l’idea di trasformare quelle fantasmagorie pittoriche in prodotto letterario. Molti anni, e innumerevoli stesure, serviranno per completare l’opera. Anticipo di una sensibilità visionaria è Rêve d’enfer, immersione notturna di uno scrittore ancora sedicenne, alla quale nel 1839 segue Smar, sorta di preludio al testo che siamo chiamati a recensire.

Libro sotterraneo, orgiastico ed eccessivo, chambre secrète del suo autore, come ebbe a dire Baudelaire, nella quale dare sfogo alle proprie più segrete ossessioni. Il sipario si apre su sant’Antonio gemente, abbandonato da tutti, afflitto da un’esistenza che è martirio. Un caleidoscopio di immagini lo assedia. “Io non sono una donna, sono un mondo”, afferma la regina di Saba additando una tentazione senza limiti. Perché l’ossessione di Flaubert, il suo tema precipuo, è il desiderio inteso come febbre del corpo e dell’anima. Nelle fattezze di un ignoto straniero appare Simone Mago, il quale si vanta dei propri prodigi. Come in Hofmannsthal lo scenario è popolato da avventurieri e maghi, a volte rapiti da un’ebrezza dionisiaca, altre pensosi e saggi.  Flaubert condivide con il sommo poeta austriaco il senso dell’isolamento, il dramma dell’incomunicabilità e la fascinazione per una drammaturgia arcaica, fortemente chiaroscurata, popolata da figure allegoriche.

Il filosofo e mago Apollonio e il suo seguace Damide tessono il filo di improbabili narrazioni. Il mondo pagano, con i declinanti Dei dell’Olimpo, e il mondo cristiano, si intersecano tratteggiando paesaggi di indubbia suggestione. La fascinazione per l’antico Egitto anticipa l’ossessione per questo regno della polvere coltivata da Vasilij Ròzanov; fervori egizi che rimandano al diffuso esotismo dell’epoca. Un fulgore cinematografico ammanta le descrizioni, rigogliose di colori, di suoni e di odori. Antonio vola in groppa al Diavolo, e sembra prefigurare alcune inquadrature del Faust di Murnau. Il dialogo fra i due pone i quesiti essenziali, quelle domande che da sempre assillano il cuore e la mente degli uomini.

Il libro intero è un interrogativo al quale non c’è risposta. Antonio è l’uomo, stremato e smarrito in un universo del quale non riesce a misurare l’estensione, inaridito e consumato dal dubbio. Non a caso nelle ultime pagine compare la Sfinge, custode di inattingibili segreti. Anche Hofmannsthal, nella sua incessante rilettura del mito, si confronta con la figura di Edipo in rapporto all’animale prodigioso. Simbolo della natura caotica da cui origina tutto ciò che ha forma, la Sfinge è incessante divenire, abisso di morte nel quale precipitano le cose viventi. Popoli favolosi, incompiuti è inconsistenti come i sogni, rimandano ancora ai bimbi non nati della Frau ohne Schatten dello scrittore austriaco, o ai popoli immaginari di Michaux. Un bestiario inesauribile e terrifico anima la conclusione. Il lettore si muove al limite dell’invisibile, trascinato da un flusso visionario inarrestabile. Un delirio panteistico agita Antonio, un desiderio di essere nella creazione trascendendo la propria finitezza. Testo affascinante ed estremo, La tentazione di sant’Antonio appare come un tassello indispensabile per comprendere la figura di Flaubert nella sua spiazzante complessità.