La guerra si avvicina al terzo mese e nessuno di noi ormai ricorda più la battuta di non so quale ministro russo che rispondendo al primo ministro tedesco Scholz disse con umorismo macabro: la guerra non inizia di mercoledì. Te l’aspettavi questa guerra?
Nei tempi e nei modi no. Pensavo che gli attori politici non fossero pronti, come anche l’opinione pubblica russa. Le contraddizioni in Ucraina erano enormi e destinate a esplodere ma pensavo che ci sarebbe voluto del tempo, forse qualche mese, perché le tensioni giungessero all’acme. Putin ha preso una decisione che ha sbalordito tutte le cancellerie (a parte forse la Casa Bianca) e ha portato il conflitto in tutta l’Ucraina malgrado la Russia stia dimostrando di non poter reggere economicamente un’occupazione di vaste aree territoriali. Per questo l’ho definita “un’incerta avventura”.
Nel tuo libro ricostruisci la storia dell’Ucraina dalla fine dell’Unione Sovietica ad oggi, che Paese ne esce? In particolare mi ha colpito il fatto che hai messo in rilievo l’alta conflittualità con continui scioperi operai e manifestazioni contro il carovita proprio durante il governo Zelenskyi…
Si tratta di qualcosa che pochi sanno perché le agenzie e la stampa mainstream hanno coperto questo aspetto, ma in Ucraina ci sono state molte lotte sociali e sindacali anche in questi ultimi anni. Il paese si è dimostrato sin dalla sua indipendenza nel 1991molto vivace politicamente. Anche per questo definirlo “nazista” è assurdo e azzardato. Varrà la pena ricordare anche quanto è successo (e in parte sta ancora succedendo) in Kazakistan dove un’insurrezione popolare a gennaio è stata stroncata nel sangue (225 morti) proprio con le forze di intervento rapido russe.
Tu hai un osservatorio privilegiato sulla Russia (dove vivi abitualmente) e sui Paesi confinanti quindi volevo chiederti le ragioni interne dell’agire di Putin o come molti commentatori occidentali e specialmente italiani pensi che l’agire di Putin sia in sostanza una reazione all’allargamento della Nato e alle politiche degli Stati Uniti?
Solo in parte. Naturalmente in Russia – non solo tra le élite ma anche tra la gente comune – esiste una sindrome dell’accerchiamento prodotta dai sanguinosi tentativi francesi e tedeschi di soggiogare il paese, ma la scommessa del presidente russo si basa essenzialmente sull’idea che senza l’Ucraina o una porzione significativa di essa, la Russia non possa tornare ad essere una grande potenza mondiale. Da questo punto di vista la mobilitazione generale è lo strumento principe per il regime di Mosca per alimentare e approfondire la guerra. Qualcuno si aspettava la chiamata alle armi già per il 9 maggio, ma potrebbe giungere più avanti tra qualche settimana o qualche mese. E cambierebbe ancora una volta le caratteristiche della guerra. Ora molti giovani russi, in queste settimane, si sono rifugiati nei paesi del “vicino estero” come l’Armenia per evitare l’eventuale reclutamento ma è evidente che l’arruolamento forzato potrebbe portare anche a proteste e diserzioni massicce.
Lasciando da parte la geopolitica che molte volte è solo un altro modo per rendere assolute le ragioni dello status quo, come hanno reagito la gente ucraina, i ceti popolari o operai, le donne, le realtà antiautoritarie?
C’è stata una forte ascesa del nazionalismo che in parte ha assunto i tratti dello sciovinismo. Era per certi versi inevitabile ma Zelensky, da questo punto di vista, si è dimostrato abile nel tornare ad essere il punto di riferimento di gran parte del paese. La sinistra – se si può ancora usare questo termine senza essere fraintesi – è potenzialmente vasta ma manca da troppo tempo di organizzazione e coesione. Sia i principali gruppi marxisti, sia quelli libertari si sono schierati in gran parte e a diverse gradazioni, per una posizione “difensivista”. Molti compagni e attivisti si sono organizzati nelle “unità territoriali” armate. Ritengono che il cuore di questa guerra resti una faccenda legata alla disgregazione dell’Ex Urss in cui la Russia tenta di tornare a giocare un ruolo espansionistico e colonialista e che vada quindi sconfitto in ogni modo. Anche alleandosi con Zelensky e la Nato. Si ritiene che per i movimenti di sinistra e anarchici dell’est non ci sarà futuro se Putin non subirà una netta sconfitta in Ucraina.
Anche in Russia e Bielorussia ci sono movimenti contro la guerra e anche di sabotaggio della stessa e un numero abbastanza rilevante di fabbriche o istituzioni che vanno a fuoco o di “incidenti”… Ci puoi raccontare qualcosa di più?
Il fenomeno dei sabotaggi in Russia e in Bielorussia sono abbastanza significativi. In Bielourssia più volte le linee ferroviarie sono state bloccate per sabotaggi fisici e anche informatici. Si tratta di un aspetto importante perché buona parte delle truppe e della logistica russe passano dal paese di Lukashenko. In Russia si sono moltiplicate le azioni di sabotaggio a sedi dei distretti militari, aziende legate al settore bellico e così via. Per certi versi era inevitabile visto che in Russia vivono quasi 3 milioni di ucraini (spesso anche con il passaporto russo). È stato registrato anche un vistoso fenomeno di diserzione in aprile quando una guarnigione di 300 soldati osseti che combattevano in Ucraina ha abbandonato il fronte ed è tornato a casa perché non voleva fare da carne da cannone.
In Russia colpisce l’alto numero di scioperi causati dalla crisi legata all’embargo. Pensi che queste persone, questi lavoratori lottino solo per il proprio posto di lavoro e salari decenti o che in qualche modo mettano in relazione questa condizione con la guerra in cui li ha portati Putin?
Ciò non sta avvenendo direttamente perché i russi sono abituati a profonde crisi economiche e sociali e in tal caso reagiscono immediatamente con il più classico “prima sopravvivere”. Per cui abbiamo avuto i fenomeni di accaparamento dei beni di prima necessità e ridefinizione dei propri budget di spesa. Il giornale Kommersant ha segnalato che gli hotel russi si attendono un 30% di ospiti malgrado di fatto non si possa viaggiare all’estero. Tuttavia più le sanzioni faranno sentire il loro peso, probabilmente tra 6-9 mesi e più il potenziale di protesta e ribellione inevitabilmente crescerà.
Molte forze politiche di sinistra o studiosi dei Paesi dell’Est hanno accusato le forze pacifiste di essere “colonialiste”, di non comprendere che l’Ucraina non è solo il luogo su cui si scontrano due super potenze e di non riconoscere la loro soggettività e il loro diritto all’autodeterminazione. Che ne pensi?
Penso che anche se è vero che esiste in questa guerra – e più in generale – un aspetto di “liberazione nazionale” dall’espansionismo russo, dal giogo neoimperiale, il fattore centrale di questa guerra sia lo scontro interimperialistico tra le grandi potenze che utilizzano l’Ucraina (e soprattutto gli ucraini) come campo di battaglia. Detto questo in generale è assolutamente legittima credo la difesa territoriale dei propri luoghi di vita, di lavoro, culturali e storici. Sono contrario all’ingerenza della Nato ma non contrario a forme diversificate di resistenza all’occupante.
Il tuo libro è in ristampa e ha avuto un gran successo inoltre stai facendo presentazioni continue in tutta Italia. Che pubblico incontri? Che tipo di reazione hanno le persone a questa guerra?
Fino a pochissimo tempo fa utilizzare un linguaggio “rivoluzionario”, riaffermando la categorie marxiste – certo rielaborate creativamente alla luce dei mutamenti che costantemente avvengono su scala globale – era quasi impossibile. Venivi considerato a dir poco “desueto”. Ora un vasto pubblico è disponibile a recepire una lettura di questa guerra materialista e classista. Si tratta di un momento da non farsi sfuggire per far ripartire una prospettiva socialista degna di questo nome, internazionalista e contro tutti gli imperialismi.
Come finirà? Alla fine del tuo libro scrivi una frase che ci dà speranza pensando alla possibilità di una Ucraina indipendente democratica e fuori dalla Nato e di una Russia democratizzata.
Non ho la sfera di cristallo. Ci sono troppe varianti, oggi difficili da valutare anche perché l’informazione è blindata e soprattutto dai fronti ci sono troppe poche notizie. Sicuramente si scontrano grandi interessi e grandi apparati ben più forti dei movimenti contro la guerra che per ora sono stati in grado appena di sussurrare. Ma sono convinto che siamo alla svolta e gli effetti di disastrosi della guerra e delle crisi riporteranno alla ribalta “la questione sociale” irrisa al tempo del neoliberismo. In questo quadro in Occidente ma anche in Ucraina si faranno strada voci fuori dal coro. Certo, c’è il rischio che il nazionalismo e lo sciovinismo – e il tifo per uno dei due campi in lotta – riesca e soffocare l’anelito a una società giusta e umana. Ma non per questo cambiano gli obiettivi di chi milita per l’idea che “l’emancipazione dei lavoratori dovrà essere opera dei lavoratori stessi”.