Una benda sull’occhio, in molti casi, può rendere alquanto interessante l’aspetto di una persona, collocandola in una zona interstiziale e misteriosa proprio come le isole presidiate dai pirati stevensoniani, circondate di luce, e al contempo impenetrabili al loro interno. Come se in quell’unico occhio si concentrassero tutte le possibili rotte della visione, gli eventi passati, i futuri. Non a caso chiudere un occhio, fare l’occhiolino, è un gesto che crea apertura nel gioco seduttivo.
Ma se a portare la benda sull’occhio è una bambina nata con un difetto alla cornea (forse correggibile, forse operabile), costretta dunque a esercitare pazienza e autocontrollo in un’età dove si frigna e si pestano i piedi, il discorso slitta verso altre direzioni, che hanno a che fare con la necessità di autodeterminazione da un lato, e riconoscimento dall’altro. Guadalupe Nettel, la talentuosa scrittrice messicana di Bestiario sentimentale e La figlia unica, ebbe in sorte proprio questo destino, raccontato nel romanzo Il corpo in cui sono nata, uscito per la prima volta nel 2014 in Italia per Einaudi, e ora ripubblicato da La nuova frontiera, con la traduzione di Federica Niola.
Durante le sedute analitiche trasposte nella sua opera autobiografica, Nettel narra in prima persona cosa significhi essere outsider per natura, riuscendo a descrivere se stessa con uno speciale sguardo introspettivo (assai prossimo alla sensibilità di un’altra scrittrice latinoamericana dalla vita nomadica, Clarice Lispector), quello di chi ha imparato a ribellarsi con intelligenza alle norme, a camminare sulle corde, e a trovare il luogo giusto per piangere: come davanti a un dipinto di Ximena, la ragazzina cilena nella quale si specchiava Guadalupe, datasi alle fiamme proprio nel palazzo di fronte, sotto il peso insopportabile della scomparsa del padre, vittima della desaparicion forzada.
Intorno a lei una complicata famiglia della middle-class messicana, sospesa tra conservatorismo ultracattolico e cultura sessantottina, con un padre in carcere, una madre ancora in piena fase individuativa e una nonna bigotta e accumulatrice seriale, con la quale vivrà durante l’assenza dei genitori, prima di trasferirsi insieme al fratello in Europa e di interfacciarsi con la cultura meticcia del meridione francese.
Attraverso le vicende personali e familiari, storicamente strette tra la morsa di Reagan e quella di Pinochet, il corpo di Guadalupe, unico vincolo attendibile con la realtà, arriva a prendere una nuova forma, lasciandole in eredità una lezione importante, da lei stessa messa in rilievo in una recente intervista: una commedia, è una tragedia più il tempo.