È sintomatico e tipico dell’invecchiare il fatto che le persone intorno a te, le figure che hanno creato il tuo immaginario, che hanno contribuito alla tua cultura e al tuo sapere, che hanno definito il tuo pensiero, a un certo punto cominciano a scomparire una dietro l’altra. Alla notizia della morte di Antonia S. Byatt (24 agosto 1936 – 16 novembre 2023) ho pensato: ma quanti scrittori sono morti quest’anno? Penso che in realtà ne siano morti più o meno come tutti gli anni. Solo che gli autori morti quest’anno sono stati significativi per me, e sicuramente per ragioni anagrafiche oltre che letterarie.
Ho amato davvero molto Byatt. Ho amato Possessione. Una storia romantica (1990), il libro con cui l’ho scoperta, il romanzo che l’ha resa nota anche al grande pubblico. L’ho amato così tanto che per anni è stato quello che suggerivo quando qualcuno mi chiedeva qualcosa di bello da leggere. Ho comprato l’edizione Einaudi quando è uscito, nel 1990, e sono riuscita a conservare quel volume, con la sovracopertina tutta sciupata, le orecchie e qualche macchia. L’ho prestato recentemente ma dicendo che ci tenevo moltissimo, e del resto l’ho prestato a un’amica molto precisa e attenta. Forse non lo presterò più. Sono pochi i libri che ho conservato per tanti anni, dato che penso che quello che c’è dentro sia molto più importante del vestito e quindi li presto senza pensarci, li lascio in giro, li dimentico. Ma ce ne sono alcuni a cui sono particolarmente affezionata, alcuni a cui tengo anche nella loro forma fisica. E Possessione è certamente uno di questi. Rappresenta un passaggio, con un prima e un dopo. Rappresenta una scoperta, una crescita, un’evoluzione. Anche perché dopo averlo letto, le altre opere della scrittrice le ho lette in originale. Sono piuttosto difficili e complicate, ma se ne apprezza ancora di più la capacità immaginativa e la ricchezza di parole, di suoni, di fraseggio. E l’inventiva, la cultura, la profondità. L’abilità, tutto sommato rara, di tenere insieme la conoscenza e il sapere con il racconto che fluisce e cattura.
Dopo Possessione ho letto la tetralogia composta da La vergine nel giardino, Natura morta, La torre di Babele e Una donna che fischia. Mi è dispiaciuto che questi romanzi non abbiano avuto il successo e il seguito del primo. Perché pur tenendolo tra i dieci libri che mi porterei su un’isola deserta, trovo che quello che la tetralogia cerca di fare, ovvero raccontare la condizione femminile e la sua evoluzione negli anni Cinquanta e Sessanta, sia prezioso e anche fondamentale. Non c’è nessuna o nessuno che l’abbia fatto, e nessuna o nessuno che l’abbia fatto così bene. Seguire la protagonista dalla sua giovinezza all’età adulta, seguendo insieme il cambiamento, faticoso e tormentato e ostacolato, del modo in cui le donne stanno nella società e vivono la loro vita, è affascinante per chi non ha vissuto quegli anni, consolante e tonificante per chi li ha vissuti.
Molto silenziosamente, con discrezione britannica e rigore letterario, credo che Byatt abbia dato un grande contributo all’emancipazione e alla crescita delle donne. Ritenendo lei stessa che la scrittura sia importante indipendentemente dalla sua appartenenza di genere, ma nello stesso tempo rendendosi conto che non è uguale – anche oggi – essere un uomo o una donna. Qualunque cosa si faccia, e dunque anche scrivendo.
In tempi complicati come quelli che stiamo vivendo, poter avere dei romanzi che danno alle donne il giusto valore, che riconoscono i ruoli e i cambiamenti, e che lo fanno con una scrittura ricca e magnifica, con una narrazione articolata e avvincente, con un’immaginazione instancabile, è qualcosa di cui essere davvero grati. So thank you very much, dame A. S. Byatt.