Antonella Selva, Cronache dalle periferie dell’impero, Il Girovago/Edizioni Nuova S1, pp. 160, euro 16,00 stampa
«Questo che avete tra le mani vuol essere un fumetto gramsciano (?!) ohibò, esiste?», scrive Antonella Selva nell’introduzione al suo ultimo graphic novel, Cronache dalle periferie dell’impero. È una domanda consapevolmente destinata a influenzare la lettura del libro, e dunque la facciamo nostra: può essere gramsciano un graphic novel? È gramsciana, quest’ultima prova della fumettista bolognese?
La risposta non può che essere affermativa: senza ricadere nelle aporie di molta produzione che si vuole «impegnata», le Cronache di Antonella Selva rivelano una più precisa ispirazione all’opera del filosofo e politico sardo, che è variamente presente nelle tre storie che compongono il libro: la costruzione di una strada sull’isoletta di Raasay, nell’arcipelago scozzese di Skye; l’esperienza mutualistica di Foum Zguid, in Marocco; e quella di SOS Rosarno, in Calabria. Questi luoghi sono le «periferie dell’impero» citate nel titolo dell’opera; qui la, presa di coscienza delle classi subalterne si traduce in un’azione che non ha soltanto ambizioni contro-egemoniche, ma cerca di operare a livello economico e sociale secondo logiche diverse da quelle implementate dalla dominazione neocoloniale degli imperi contemporanei.
Una simile narrazione, inoltre, ha il merito di riportare alla luce un aspetto decisivo nei processi sociali che oggi caratterizzano – come ben si legge, del resto, proprio nel graphic novel di Selva – tanto i centri quanto le periferie dell’impero. Pratiche (e non solo annunci o selfie) di solidarietà, che si contrappongono apertamente a un presente che ancor prima delle sue specifiche connotazioni politiche, o insieme a esse, denota sicuramente il predominio di discorsi e comportamenti antisociali. Sistematicamente oscurato dalle rappresentazioni mediatiche e circolanti nei social network, questo aspetto è sostenuto, da un lato, da interventi narrativi molto espliciti (e in alcuni, isolati casi un po’ troppo didascalici), e, dall’altro, dal ritmo serrato, non sempre lineare, ma non per questo meno unitario o godibile, delle singole tavole.
Le tre storie sono egualmente quadripartite: i titoli delle singole sezioni sono, invariabilmente, «La notte», «I sognatori», «Il sogno» e «L’alba». Quella che potrebbe sembrare una disposizione narrativa fortemente teleologica si diluisce, in realtà, in un quadro d’insieme che è costantemente da ricostruire, confrontare, mettere a frutto. Di particolare aiuto, in questo, risulta un altro stilema: alla narrazione al presente, sempre in bianco e nero, viene affiancata la narrazione, sempre a colori, del passato. L’uso notevolissimo dell’acquerello, spesso destinato a una tavola singola di particolare impatto, restituisce uno sguardo vivido e attento ai singoli dettagli, costruendo una policromia sulla quale lo sguardo – quello stesso sguardo gramsciano che talvolta s’impaluda in dibattiti minoritari e di difficile divulgazione – non può che distendersi e, infine, ritrovarsi.