Due smemorati Rosencrantz e Guildenstern si ritrovano chissà dove, a tirar monete, ed esce sempre testa. Stupefacente. O forse qualcosa non va. Oppure no. Perché per ogni tiro la probabilità che esca testa è la stessa che quella che esca croce.
Personaggi secondari sotto il riflettore, scampoli trascurabili nella trama della tragedia più famosa del mondo, i due cercano di riacchiappare i fili imbrogliati dai grandi che li circondano. Confusi da Amleto, ingannati da Claudio, imbarazzati da Polonio, Rosencrantz e Guildenstern cercano di afferrare velocemente la situazione, riuscendo per lo più a capire di non aver capito, non solo Amleto, ma il mondo tutto. E non sono confusi solo loro: attraverso la loro confusione diviene sempre più chiara quella dei personaggi più famosi, talmente concentrati su di sé e sulle loro trame da diventare incapaci di vedere ciò che accade intorno a loro. Solo l’enigmatico Attore itinerante, una figura che vaga fra diversi livelli narrativi e diverse identità, sembra essere in grado di capirci qualcosa, ma, come la sua natura, sono indefinibili anche le sue intenzioni e alleanze, che suggerisce e nega fra battute allusive e frasi sibilline.
Nel migliore stile dei tristi buffoni del teatro dell’assurdo, Stoppard crea due personaggi complementari, incompleti da soli e incompleti insieme, interscambiabili e caotici. Dialoghi veloci e paradossali iniziano con una risata per finire a suggerire un abisso. È un’opera che sfugge a una classificazione di genere classica: Stoppard stesso la definì una commedia, ma negli anni è stata definita una tragicommedia, e persino una tragedia. I suoi personaggi sono ignari pagliacci in mondo creato da altri, incomprensibile a loro come a tutti noi, piccoli individui che vagano brancolando nella semi-oscurità di un mondo manovrato da persone più grandi le cui motivazioni ci sfuggono e governato da leggi che capiamo solo a metà: la fisica, gli ambigui significati della lingua, le leggi della probabilità, il concetto stesso di identità, tutto finisce nella divertente ma inquietante rete della loro confusione. Sono personaggi insignificanti per tutti, tranne che per se stessi, e l’autore sembra voler fare un’affermazione politica rendendo protagonisti i piccoli uomini intrappolati negli intrighi dei potenti, che, almeno in questa commedia, rimangono ai margini.
Erano gli anni Sessanta, quando un giovane e coraggioso Stoppard rappresentava la sua pièce basata su un capolavoro ritenuto quasi intoccabile, e in puro spirito sessantottino l’autore spiega come la sua opera sia poco definibile e non definitiva, e come non debba essere presa troppo sul serio. Nell’interessante nota che precede il testo nell’edizione di Sellerio, Stoppard racconta come gli allestimenti da lui diretti cambiassero a seconda del contesto, come non ce ne fosse uno uguale all’altro, e incoraggia una libertà quasi anarchica di regia.
Un’opera particolarmente adatta agli amanti di Shakespeare e del teatro dell’assurdo, ma molto divertente anche senza una conoscenza approfondita dell’Amleto. Chi lo conosce più a fondo però potrà apprezzare l’abilità con cui Stoppard usa la tragedia originale per i propri fini, tornando in chiave riveduta su tematiche e aspetti critici.
Esiste anche un’ottima versione cinematografica del 1990 con Gary Oldman, Tim Roth e Richard Dreyfuss, scritta e diretta da Stoppard stesso.