Scriveva Lino Aldani, in uno dei suoi rari interventi saggistici, una recensione al saggio di Jung uscita nella rivista Oltre il cielo n. 75 del gennaio 1961 (Ein moderner Mythus. Vom Dingen, die am Himmel gesehen werden era stato pubblicato in origine del 1958 e quasi subito tradotto nel nostro paese per l’editore Bompiani, a cura di Silvano Daniele, nel 1960 con il titolo Su cose che si vedono in cielo), che lo psicologo svizzero si muove in questa sua opera tra posizioni di evidente ambiguità: indecidibile la realtà delle testimonianze, ciò che conta è la loro ricaduta come spie della psiche, la manifestazione di un’aspirazione umana frustrata – quella di estendere il proprio dominio allo spazio – che si estroflette nel fenomeno allucinatorio di uno spazio proiettato verso di noi, come un’immagine di desiderio che ci ritorna attraverso lo specchio della nostra visione.
Meraviglia e non meraviglia che una delle riviste pionieristiche della fantascienza italiana, dedicata essenzialmente al versante “hard” del genere oltre che all’ingegneria missilistica e all’astronautica, prestasse tanta attenzione all’opera di uno “scienziato dell’animo”, e tra quelli più eretici e meno “tecnofili”, specie nel suo ultimo periodo, come Carl Gustav Jung. Ma erano gli anni della corsa allo spazio, e il boom ufologico sembrava rappresentare il versante più immaginifico dell’euforia spaziale che attraversava la società dell’epoca. Aldani, che si rivela in questo suo scritto un buon conoscitore della teoria psicoanalitica, stigmatizza l’opera di Jung non tanto per le sue derive spiritualistiche (per quanto sembri convinto che dietro gli UFO vi sia una qualche consistenza di realtà, siano essi manifestazioni naturali “che la scienza per il momento non è in grado di spiegare”, oppure “macchine extraterrestri”), quanto piuttosto perché, incapace di assumere una posizione esplicita, lo studioso oscillerebbe tra “mancanza di chiarezza e una certa ambiguità d’espressione”.
Il realtà, come afferma Paola Di Mauro nella sua introduzione, “intenzione dello psicologo analitico svizzero, in questo scritto di tarda età, non era sostenere l’una o l’altra tesi circa l’esistenza reale o immaginaria dei dischi volanti, quanto studiarne le implicazioni psichiche attraverso il mito a esse collegato”. Scrive lo stesso Jung che l’UFO, “qualunque cosa sia, una cosa è certa: è diventato un mito vivente. Abbiamo qui occasione di vedere come nasce una leggenda”. E in effetti Il mito moderno prosegue, su un terreno diverso, il percorso già intrapreso da Jung con il suo Misterium conjunctionis (1955-56), a esso collocato vicino nel tempo: là, individuando l’alchimia come patrimonio di conoscenze simboliche e ridefinendo il mito come chiave privilegiata di accesso a nodi cruciali dell’animo umano, Jung cercava soluzioni alla scissione profonda del sé e tentava di delineare percorsi praticabili sulla strada della riconciliazione e della riunione degli opposti. La misteriosa iscrizione funeraria bolognese nota come Aelia Laelia ne rappresentava un esempio probante. A essa Jung dedica il capitolo intitolato “”L’enigma bolognese” nella sezione “Paradossi”, primo capitolo del ponderoso lavoro: forma estrema dell’enigma irrisolvibile e irrisolto, il paradosso si presta a esprimere la coincidentia oppositorum che è alla radice dell’unità primordiale, e l’Aelia Laelia, con il suo indovinello senza risposta, viene definita da Jung “culmine dei paradossi”. Ma culmine dei paradossi è, a maggior ragione, il mistero dei dischi volanti, e l’atteggiamento di Jung nei confronti di tale fenomeno è appunto paradossale, oscillando tra la sua negazione come realtà empirica e la sua parziale, seppur dubitosa accettazione. Il fatto è che Jung con i dischi volanti indaga la possibilità stessa del mito nel mondo contemporaneo – già dal titolo che impone al suo saggio – e ne analizza una delle forme che, per la sua indeterminatezza, può assumere il valore paradigmatico di proiezione non velata della psiche universale, manifestazione di un inconscio collettivo che, inattingibile nella sua sostanza, si estroietta tuttavia in forme che si adeguano ai tempi. La totalità perduta del mandala si integra così nella forma circolare del disco volante, che sostituisce e adegua ai tempi il rotundum del pensiero ermetico o delle filosofie orientali.
Insomma, gli UFO come prodotti dell’immaginazione esistono, e il pensiero li rende reali quanto qualsiasi altro oggetto in cui si proiettano archetipi. E reali come la letteratura che se ne occupa. Aldani concludeva la sua recensione con quello che appare come un invito: “Qualche pagina in più sull’argomento fantascienza non avrebbe guastato; anzi, proprio in questo campo dove la fantasia è libera da ogni costrizione, il mito poteva essere colto nei suoi aspetti più convincenti e suggestivi, molto più che nell’analisi dei sogni e dei dipinti”. La nuova edizione di Un mito moderno ha tra gli altri anche il merito di fornirci una sorta di risposta a questa obiezione aldaniana, con il supplemento pubblicato in appendice all’edizione americana del 1959 e dedicato alla disamina di una capolavoro della letteratura di fantascienza, The Midwich Cuckoos (I figli dell’invasione), un romanzo del 1957 di John Wyndham. Qui il vecchio psicologo rivela una sorprendente freschezza di sguardo: leggere il fenomeno UFO come una manifestazione dell’animo umano, come un’opera di fantasia e di invenzione, produce contraddizioni che si potrebbero sciogliere solo rispondendo in modo netto a quella domanda (esistono o non esistono?) che invece si lascia programmaticamente cadere, dichiarandola non decisiva, e aprendo però così il campo a una ridda di contraddizioni. Ma quando ci troviamo nell’ambito dell’invenzione acclarata, della scrittura fantascientifica, appunto, ogni limite cade, e il piacere dell’affabulazione favorisce una lettura rigorosa dei moti dell’anima, da cui tale affabulazione scaturisce e che li rispecchia. Pagine ancora oggi esemplari, che questa nuova edizione del Mito moderno (aggiornata di nuova traduzione, dotata di testo tedesco a fronte, ricca di apparati, con doppia introduzione e numerose appendici) presenta in modo impeccabile.
Gli UFO e il mito
Carl Gustav Jung, Un mito moderno. Gli oggetti che appaiono in cielo, tr. Paola Di Mauro, Scholé-Morcelliana, pp. 390, euro 23,50 stampa