Gli otto uomini di Richard Wright nel segreto dell’esistenza

Richard Wright, Otto uomini, Racconti Edizioni, trad. Emanuele Giammarco, pp. 281, euro 18,00 stampa, euro 7,99 epub

Otto uomini in otto racconti, otto vite incastrate e prigioniere nelle maglie del sistema del razzismo occidentale: in questa raccolta postuma, pubblicata nel 1961, Richard Wright (1908-1960) ci porta dalle campagne dell’Illinois alle grandi città del sud e del nord degli Stati Uniti, ma anche a Kumasi, a Parigi, a Copenaghen. Dalla dura vita dei campi, ancora troppo simile allo sfruttamento centenario delle piantagioni, alla fatica del sopravvivere urbano, per le strade e al di sotto di esse. Si tratta quasi un’indagine sulla discriminazione e sulla segreta esistenza dei tanti e delle tante vittime di pregiudizi, raccontata da molte voci e punti di vista diversi.

Uno degli otto, innocente, è ricercato dalla polizia per omicidio: stanco di scappare, scende a nascondersi nelle fogne. Grande pensatore, questo personaggio senza nome sbircia dai sotterranei la vita che continua senza di lui: un coro gospel, volti pallidi che si divertono nel cinema e, ancora come oggi, la violenza della polizia, fraternità gonfia di potere e omertà. Due poliziotti lo faranno precipitare, “oggetto perso nel cuore della terra”: perché nonostante l’abolizione della schiavitù, gli afroamericani sono ancora assimilati allo statuto di oggetti che aveva dato loro il Code noir, insieme di leggi che ne regolavano la deportazione e l’asservimento nelle piantagioni caraibiche e del sud degli Stati Uniti dal 1685.

Nell’ultimo racconto – chiaramente autobiografico, quasi un flusso di coscienza che l’autore di “Black Boy” (Ragazzo nero, Einaudi, 2014)  porta alla luce – la voce del narratore è rotta dalle ingiustizie viste e vissute a causa di un’America cieca e violenta, in adolescenza perenne, distolta da quello che conta perché impegnata a giocare al consumismo, a farsi bella e leggera, a dimenticare che siamo noi a fare il sistema e noi siamo tutto ciò che serve per cambiarlo.

La raccolta sfonda quella parete di silenzio che circonda le persone al contempo prese di mira e rese invisibili. Uno dei procedimenti che rendono enorme questa agile raccolta, è quello di cambiare punto di vista e far prendere la parola a chi ha il potere. Così, c’è un portiere d’albergo nel porto di Copenaghen che non è razzista, certo, ma… arriva un cliente nero, troppo nero, grande, troppo grande e qualcosa scatta nell’anziano portiere che non è razzista, ma. Così egli non vede l’ora che il cliente d’albergo riparta e si lascia andare a sogni di vendetta per lavare quel sentimento di oltraggio provato alla sua sola vista. Sogna una morte violenta per quell’uomo, violenta e accidentale. In quei confusi sentimenti, in quel sognare la sottomissione ultima dell’altro, riaffiorano le maglie del razzismo sistemico che tuttora fonda le società postcoloniali. Perché, come ha affermato il militante afroamericano Stokely Carmichael: “Se un uomo bianco vuole linciarmi, è un suo problema. Se ha il potere di linciarmi, il problema è mio. Il razzismo non è una questione di attitudine; è una questione di potere”.