Ci sono autori, pochi in verità italiani e contemporanei, in grado di creare un’aura di stima e sudditanza psicologica tale da sembrare così lontani dal lettore che si resta frustrati di non riuscire a capirli a fondo. Scrittori così bravi che persino una banale lista della spesa, se uscita dalla loro penna, acquista quel qualcosa in più. In questo saggio Piperno affronta un argomento già più volte trattato in precedenza, ma lo fa con estrema semplicità.
Due parti costituiscono il libro, che si apre con un aneddoto sui cento libri dell’umanità: un uomo, raggiunta la soglia dei cinquant’anni, decide di conservare cento dei suoi libri e disfarsi degli altri, a causa di un problema che molti di noi conoscono: lo spazio. Questa storiella in realtà non è altro che “un monito per i lettori compulsivi e i bibliomani bulimici, come deterrente al feticismo librario”. Ma chi è il libero lettore a cui Piperno si riferisce? È il lettore comune, sei tu, sono io, persone che amano la lettura e che ne traggono diletto e godimento, che sarebbero disposti a rinunciare a ben altri piaceri ma non saprebbero fare a meno di un libro.
Se nella prima parte del libro ci viene spiegato che il libero lettore ha solo diritti, come quello di iniziare un libro e chiuderlo se lo annoia, ci viene raccontata anche l’altra faccia della medaglia, ossia lo stato d’animo dello scrittore che passa la sua vita cercando d’ingannare il lettore, d’intrattenerlo, di fargli capire la sua opinione mettendoci la faccia dei suoi personaggi.
Nella seconda parte invece l’approccio è quello di un prestigiatore che cerca di svelare il trucco, analizzando otto figure fondamentali della letteratura, gli otto indispensabili. La genialità di Tolstoj nel presentare i personaggi creando un’attesa ipnotica che costringe il lettore a chiedersi “Ma questa Anna Karenina, quando avremo il piacere di incontrarla?”. Gli incipit raffinati e poetici di un Dickens che riesce a rendere l’atmosfera di una Londra piovosa quasi surreale e fantascientifica in Casa desolata. La capacità della Austen di creare con la sua ironia agrodolce un nuovo genere letterario che mischia la fiaba al romanzo, in cui il lieto fine non è per tutti. C’è poi la scandalosa Emma di Flaubert che preferisce una morte meno teatrale della sua collega adulterina Anna, e che il suo creatore ogni tanto sbeffeggia.
Non può mancare poi Proust con la sua ossessione per il tempo e per l’eterno imperfetto a significare l’eterna continuità. La semplicità quasi elementare di Stendhal che alla cura e all’estetica del testo preferisce divertirsi e godersi la vita, sperando in un successo futuro. C’è anche un nome italiano in questo elenco, ed è Svevo che con il suo Zeno ha dato voce ad un’interminabile seduta psicanalitica su carta con cui ha ottenuto un meritato successo, portandolo a ritirarsi a vita privata. Si chiude con Nabokov la lista degli indispensabili otto, e con la sua creatura più importante e famosa, Lolita. La scelta dell’argomento è stata ostica per ovvie ragioni ma con la grazia di un equilibrista lo scrittore russo è riuscito a saldare il suo debito morale dando vita a uno dei più tragici divertissement mai esistiti (vedi la fine prematura e catartica di tutti i personaggi rappresentati).
Questo piccolo gioiello è uno di quei libri da tenere sempre sul comodino e da consultare ogni qual volta si abbia bisogno di un abbraccio di conforto, e a ricordarci che non conta leggere molto e accumulare ma è fondamentale “aprire un romanzo per il gusto di perdersi ed essere trascinati altrove”. E se lo dice Piperno ci possiamo fidare.
6 Settembre 2017