Sono molte le imbarcazioni che Giusppe Marcenaro ha fatto salpare dal porto di Genova, prima di andarsene definitivamente, sorvolando la Lanterna verso le alture alle spalle di quella dimora – parte anch’essa di un mito, la cui soglia tutti nella città vecchia ambivano varcare – da lui abitata fino al 1° febbraio scorso. Battelli, scialuppe, agili e veloci, come foglietti affidati al planisfero della letteratura, recanti vite mai paghe del loro stesso vivere. E del loro scrivere. Tutte ombre, famose o anonime, che l’archeologo genovese dell’aere ha custodito dentro ai cassetti del mobilio e della mente e come sommo guardiano del “tempo ritrovato” ogni tanto affidava alle carte di giornali, riviste, e libri. L’ultimo, non testamento ma estrema lettera di commiato dai vivi e dai letterati del Novecento, è Sciarada.
Il gioco enigmistico diventa filologia del mondo a cui Marcenaro si è accostato fin dalla giovinezza, cercando e ricercando chi “sapeva”, chi teneva per sé i segreti di certi personaggi che emergevano – e al contempo sparivano – dall’orizzonte. Dino Campana, Camillo Sbarbaro, Eugenio Montale, Lucia Rodocanachi, Bobi Bazlen… mai troppo lontani dalle loro muse e amiche, fossero la ventenne tuffatrice librata sul mare di Genova (Esterina), le “allusive ombre” (Arletta, Clizia, Volpe), o le bellezze diafane levantine che Montale voleva e non voleva.
Genova-Trieste, rotta mistica dove le arie si incrociano e trasfondono – e confondono secondo un gioco mai smesso (soprattutto dal poeta “Eusebius”, peccatore veniale). I racconti sono temprati dall’infinità di documenti, ritagli, foglietti, lettere che costituiscono l’archivio del nostro, insieme alla biblioteca che, si spera, non s’inquieti per l’abbandono.
Impossibile riferire le squisite osservazioni raccolte nei numerosi libri a cui dovremo guardare per conoscere e riconoscere il catalogo messo su da “Pippo” (per gli amici) in 82 anni di vita. Ci perderemmo nel planisfero inarrivabile della letteratura. E la tettonica dei libri è perfino più complessa di quella terrestre. Se Montale additava Sbarbaro come un “estroso fanciullo”, il nostro autore scopre invece uno Sbarbaro capace di guardare verso Campana come fosse l’ombra di Baudelaire o un Rimbaud redivivo. Ma poi la libertà di leggere, anche rubando dai cassetti, è simile alla “libertà di fumo” spesso invocata da Marcenaro, proclamandosi “una persona come le altre” – al netto della sua indole a passeggiare a braccetto dei fantasmi vagheggiando vivacità in esclusiva dai soggetti amati e da lui riportati dove noi si possa almeno sfiorarli.