La poesia non salva la vita, e la pornografia mediatica – come qualità curativa della psiche – sale al trono di regina delle fandonie. Ma la grande poesia del Novecento a cui si rivolge Giuseppe Genna, in cui lui ha viaggiato in prima persona, ha spesso dato strumenti umani agli umani ancora presenti sulla Terra perché contrastassero l’ostilità di un Secolo. E dunque appena poche pagine dopo l’inizio del suo diario degli eventi, dopo che Yara è sparita nel nulla e tutto il territorio di Brembate di Sopra è blindato, e tutti hanno paura e tutti pregano, Giuseppe fa riemergere dal ricordo la natura emozionale e lo spessore linguistico della realtà in Montale: i versi di Falsetto, trasposti in prosa, accarezzano i tredici anni di Yara. Anni che la minacciano, nube che “a poco a poco in sé la chiude”, Yara “abbattuta tra le braccia di chi l’ha afferrata”. Per tutti molte sono le cose che non si vedono, in quel 26 novembre 2010 di nevischio e freddo, a mezz’ora da Bergamo, e stanno per decollare le astrazioni dei kilobyte di un tempo che solca la geografia del luogo attraverso le vaste aree delle celle dei telefonini e le tracce delle videocamere di sicurezza: atomi volano nell’atmosfera gelida. Yara minacciata non c’è. Ma “la guardiamo noi della razza di chi rimane a terra”.
Nel cratere della contemporaneità Genna trascrive giorno dopo giorno quel che vede e sente, mentre le famiglie italiane sono invase dalla pornografia mediatica dei mass media e lo sciame di uomini donne e cani turbinano dentro e fuori il percorso che la ragazzina avrebbe potuto fare da casa al campo sportivo. Nausea degli abitanti e dei cronisti, in ogni angolo della cittadina l’informazione esonda, e annega nei bar e nelle case, fra caffè e alcol. Genna entra e esce dalle colpe di un’umanità fatta di padri, poliziotti e sostituti procuratori: tutti incrociati mentalmente sulle probabilità di ritrovare viva Yara. Fedeli alla sua vita. Ma tutti sprofondati nel limbo di settimane che sono un tempo che s’espande come l’universo. Sono queste le pagine del libro che fanno di Brembate un’Isola dove si respira con fatica, dove nessuno sa: “Nessuno ha visto Yara, nessuno l’ha rapita, nessuno si è tradito, nessuno sa che fine ha fatto”. Ma dagli schermi TV sciama una calca di “chiunque”, ingrossa il palcoscenico ingorgato da coloro che gonfiano i nostri incubi. Il bombardamento risucchia a Brembate, scrive Genna.
Fino a quando, il 26 febbraio 2011 l’aeromodellista rinviene Yara. In un campo già setacciato a lungo nei mesi precedenti. E la scena successiva si riempie di personaggi come se tutto fosse girato da Kubrick. Il tempo e lo spazio diventano per sempre quelli di una grande Y, che perseguitava e ora è tutto “ciò che resta di lei”. In quel punto preciso, da quello scricciolo esanime capace di sovvertire il senso del male nella mente di tanti, parte la più estesa campagna di ricerca dei profili genetici mai concepita al mondo. Un costo finanziario elevatissimo, avanguardia pura della nostra investigazione. E Genna: “Sono i campioni del positivismo italico. È quel poco di illuminismo che resta alla nazione”. Potrebbe essere l’origine della banca italiana del DNA. Chi è abituato a qualcosa del genere? Chi polemizza? Chi sarebbe favorevole?
In un andirivieni di nomi e scarti, intere genealogie si trasformano in trascrizioni interlocutorie o decisive di un mondo genetico, un intero mondo invaso dall’Isola lombarda. Il procedimento di scrittura di Genna diventa la somma dei suoi materiali, una dimensione di realtà messa strato su strato un libro dopo l’altro, da Catrame (1999) in poi, varcando il secolo, stracciando i tendaggi di un “tempo devastato e vile”. Walter Siti ha scritto che un autore forte ha nella visionarietà la sua condanna, e se mai come in questo libro il coinvolgimento visivo di Genna ha raggiunto l’acme, lui stesso confessa che si tratta di un “danno collaterale” ma di cui ha bisogno perché nella forma bisogna essere coinvolti fino in fondo. La realtà è come una pietra, al pari della poesia (ancora Montale), che sta nel pieno della propria oggettività come un granello di sabbia. Il mondo non è sbagliato, siamo noi, sbagliati, a darne un’immagine sbagliata. I sensi sono gli elementi anomali e fuori scala nei confronti della realtà.
L’arresto avviene velocemente un pomeriggio del giugno 2014, è la visione istantanea di un trauma posteriore al tabù del crimine. Le prove sono nello spazio dell’Isola bergamasca. Un carico indiziario pesante, ma l’uomo sfugge sempre alla verità della matematica. Di fronte al mistero, scrive Genna, nessuno risponde. Prova pena per i punti deboli, ma quasi sempre la prevalenza leopardiana si fa sentire. Difficile negare (ma Siti lo fa) che l’Italia si sia fermata dal momento della scomparsa della ragazzina dal sorriso “luccicante” (per via dell’apparecchio), difficile confrontare il processo con le migliaia di analisi fisico-chimiche sui DNA, si tratta pur sempre di un assedio, genetico e umano. Dai neon dei laboratori ai neon dall’aula di tribunale. Luglio 2016: colpevole. La scienza, le debolezze, e lei: Yara è lì. “Torneremo qui sempre, per sempre, le cose non ci lasceranno andare via, le benedette cose”.
29 marzo 2020. A distanza di dieci anni ancora nello stesso territorio, nessuno da nessuna parte, il contagio è ovunque, un groviglio di DNA o RNA denominato Covid-19 ha trovato in tutta l’Isola, in tutto il capoluogo, la più vasta bolla di un’infezione fin qui sconosciuta. Il libro si chiude nella visione estrema con cui Genna aveva descritto in Reality la fredda avanzata del patogeno lungo le vie aeree da Wuhan all’intero pianeta. Il DNA in forma di virus vola ovunque e la mappatura genetica s’espande a milioni di tamponi. Il virus infuria, i morti un fiume. La punizione non è distratta, Genna insiste: c’è una ambigua continuità del male in questo (quanto mai esteso) rilancio a distanza di dieci anni: il male è non visibile, il male rendeva non visibile Yara. Si cercavano molecole in aria e sulle cose, sugli umani, lo stesso avviene ora. Genna ancora una volta guarda, entrandoci dentro, i fatti atroci dell’uomo contro l’uomo.