Dopo aver letto questo romanzo, la prima cosa che mi è venuta in mente è cosa risponderemmo a dei giovani nati dagli anni Novanta in poi, noi che abbiamo vissuto i cosiddetti “anni di piombo” e magari orbitato in uno dei tanti movimenti di estrema sinistra nati in quel periodo, che ci chiedessero cosa sono state e perché sono nate le Brigate Rosse. Non è un argomento semplice da affrontare, e lungi da me unirmi a coloro che semplificano il fenomeno con slogan ed epiteti. Non si trattava di “compagni che sbagliano”, di delinquenti o criminali, di “semplici” terroristi o di individui fuori di testa.
Giuseppe Culicchia, torinese del 1965, dopo averci parlato del cugino Walter Alasia in Il tempo di vivere con te, brigatista morto a venti anni in uno scontro a fuoco con la polizia, ci racconta ora la vita della zia, Ada, la madre di Walter. Il piccolo Giuseppe, che passava parecchio tempo delle sue vacanze con loro, li considera come un fratello maggiore e come una seconda mamma. La bambina che non doveva piangere, edito nella collana Strade Blu di Mondadori, oltre a narrare la storia straziante di Ada, unita al figlio da un immenso affetto reciproco, cerca di fare chiarezza sulle ragioni per cui in Italia, negli anni Settanta, questo gruppo ha rivendicato la rivoluzione armata come unico mezzo per colpire un potere autoreferenziale e ingannevole. Il racconto parte dagli anni Trenta, quando nasce Ada da un padre ammaliato da Mussolini e che non parte per la guerra solo perché riformato. Nonostante abbia partecipato alla marcia su Roma con le camicie brune, a fine conflitto riesce a cavarsela per non essersi macchiato di alcun crimine contro i partigiani.
“L’amnistia Togliatti” del 1946, che includeva anche il reato di collaborazionismo con fascisti e nazisti, invece di riportare la pace sociale fu il primo vero tradimento dei valori della Resistenza. Ed è da qui che secondo Culicchia partono i vari perché della nascita delle Brigate Rosse: si passa per la strage di Portella della Ginestra per poi attraversare gli anni a venire con stragi di Stato, con la complicità delle trame nere, e gli attentati di matrice fascista – la strage di Piazza Fontana il punto di svolta –, orchestrati da un potere che alimenta la strategia della tensione per riaffermarsi nel tempo.
Nel 1951 Ada conosce Guido Alasia, che è stato internato nel campo di Mauthausen, si sposano e lei si trasferisce da Nole Canavese, il suo paese d’origine, a Sesto San Giovanni, chiamata la Stalingrado d’Italia per la presenza massiccia di operai che lavorano nelle fabbriche. Anche Ada comincia a lavorare, e si trova di fronte a una realtà inquietante: turni massacranti, luoghi di lavoro insalubri e pericolosi, padroni a cui tutto era dovuto. E da qui nasce la sua voglia di ribellione, si iscrive al PCI e alla Cgil, organizza scioperi e rivendica tempi e ambienti di lavoro, oltre a salari, più umani. Dal matrimonio nascono due maschi, Oscar e Walter, e l’espansività, la sensibilità e il carattere aperto e giocoso del secondo fa nascere tra di loro un rapporto preferenziale, quasi simbiotico. Arriviamo agli anni Settanta, le rivendicazioni operaie si fanno più pressanti, la richiesta di giustizia sociale scende sempre di più in piazza, gli abusi del potere divengono sempre più evidenti e arroganti – non bastano più i depistaggi – e le Brigate Rosse intraprendono la lotta armata.
L’amore di Ada verso Walter non vacilla neanche quando lui entra in clandestinità dopo la militanza in Lotta Continua. Sarà la sola a cui lo confida. La madre all’inizio cerca di dissuaderlo per paura dei pericoli cui andrà inevitabilmente incontro, ma Walter le spiega i motivi della sua scelta che sono gli stessi rivendicati da Ada in fabbrica come nella vita: da quel momento vivrà sempre nel terrore che accada qualcosa di irreparabile a quel figlio con cui condivide tutto. E la tragedia si compie il 15 dicembre 1976, quando la polizia fa irruzione nella loro casa: nello scontro a fuoco, oltre a Walter Alasia, appena ventenne, muoiono il maresciallo Sergio Bazzega e il vicequestore Vittorio Padovani. Da quel giorno Ada sopravviverà per nove lunghi anni martoriati dalla ricerca di dare un senso alla scomparsa del figlio, per poi morire di crepacuore. Di lì a poco, la colonna milanese delle BR sarà intitolata a Walter. E per rispondere alla domanda iniziale, a chi mi chiedesse informazioni su quel periodo lo inviterei a leggere il romanzo di Culicchia: crudo, romantico e commovente. Senza retorica né vittimismo ma pieno di amore, analisi lucida e profonda di un’esperienza che ha fatto breccia sul movimento operaio e studentesco e sull’opinione pubblica molto più di quanto si sia mai voluto ammettere.