Giuseppe Cambiano / Su e giù per il pensiero: un’avventura umana

Giuseppe Cambiano, Filosofia greca e identità dell'Occidente, il Mulino, pp. 792, euro 50,00 stampa, euro 27,55 epub

Oggi che alcune università americane hanno tolto Platone e Aristotele dal piedistallo dei “Classical Studies” è forse il momento giusto per riscoprire come, tra alterne fortune, la filosofia dell’antichità greca risulti fittamente intrecciata alle vicissitudini del pensiero occidentale. E ciò proprio al di là di quella dubbia definizione di “classici”, che resta invece un prodotto culturale piuttosto recente della nostra civilizzazione che, a partire da Vico in avanti, si staglia apparentemente libero da incrostazioni e prende forma nella coscienza delle élite come nel discorso pubblico. Una costruzione storica, insomma, che poggia su l’enormità di un corpo storiografico fuori scala e tutt’altro che univoco o monolitico, l’invenzione di una tradizione di cui questo meraviglioso volume, come chiarisce già nel sottotitolo, intende appunto raccontare le straordinarie “avventure”.

Quello di Giuseppe Cambiano, già ordinario di Storia della Filosofia Antica a Torino, oggi professore emerito presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, è infatti un viaggio non nella filosofia greca ma nella complessità storica della sua eterna esegesi, nel suo aderire, attraverso tre millenni, alle istanze e alle appropriazioni dei grandi cambiamenti religiosi e sociali che la vedono coinvolta, di volta in volta, come modello, fonte autoritativa o fondamenta teoretica. La storia di un pensiero divenuto termine di confronto obbligato per aspiranti eredi e discendenti e fatto oggetto, da Severino Boezio (V sec.) – braccio destro di Teodorico e per molti secoli a venire ultimo degli eruditi a saper leggere e tradurre correttamente il greco – a Friedrich Nietzsche, di un’ermeneutica senza fine, che ha contribuito a definire la nostra identità di occidentali.

Se l’origine del termine filosofia (φιλοσοφία), in passato attribuita a Pitagora, e probabilmente successiva, si perde nella notte della filologia antica, i suoi contorni non sono meno incerti: ancora nel ’700 la figura mitologica di Ermete Trismegisto ricorre nelle dispute filosofiche come una fonte accreditata, similmente a Orfeo, Zoroastro e Mosè stesso in quanto sapienti e teoreti.  Il ponte tra la saggezza mitica dell’antico Egitto e dei Caldei e quella dei greci, che gli succederebbe rilevandone il testimone, è del resto un elemento che emerge attraverso i secoli nell’elaborazione del mito e del pensiero greco, favorita in parte dall’incertezza delle fonti e dei testi apocrifi, non meno che dalla convenienza più o meno interessata degli anacronismi.  Vanno in questo senso le tendenze del “diffusionismo”, le narrazioni volte a rimarcare gli scambi dell’antica Grecia con L’Egitto e l’India, e ad accreditare, ancora alle soglie dell’età moderna, i viaggi e gli incontri a Oriente di Talete, Pitagora e Platone. E, d’altro canto, il confronto dei greci con il confucianesimo (Leibnitz) e le Upanishad indiane (Schopenhauer) tornano a riaffacciarsi negli orizzonti del pensiero occidentale, con la “globalizzazione” indotta dai viaggi e dall’espansione coloniali.

I greci, ben più di Seneca e Cicerone, hanno posto al Cristianesimo, analogamente all’Islam – a cui si deve in gran parte la riscoperta, la traduzione e l’esegesi dei testi che oggi grazie agli arabi siamo nelle condizioni di leggere – il problema teologico rappresentato dai filosofi pagani, nati prima di Cristo e, più in generale, quello del rapporto tra conoscenza naturale e fede. Per oltre un millennio il dibattito in Europa ruota, in pratica, su come conciliare il sapere non rivelato di Aristotele e Platone con la Bibbia o il Corano. Platone, secondo il quale il mondo ha un’origine e la materia è ben distinta dal suo creatore, gode dei favori di Agostino e dopo di lui di molti teologi della cristianità, non esclusi l’”eretico” Campanella e il riformatore Calvino, che ne apprezza l’idea dell’anima come riflesso divino, a differenza di Lutero che dei filosofi dell’antichità farebbe comunque volentieri a meno. E del resto, riflettendo su Socrate e Cristo, molti secoli dopo anche il giovane Marx non manca di sottolineare gli elementi di platonismo nel cristianesimo. D’altro canto Aristotele, che nega l’immortalità dell’anima, benché apprezzato per la sua Logica, non è inizialmente molto ben visto, fino a quando Tommaso d’Aquino, via Averroè, non lo impone al mondo europeo attraverso la scolastica. E le cose si complicano nel XV secolo con l’Umanesimo e con la visione sincretica della prisca theologia di Pico e Marsilio Ficino, dove neoplatonismo, pitagorismo, ermetismo si fondono con la Kabbalah ebraica, le pratiche magiche e la rivelazione cristiana.

All’alba della scienza moderna, ancora Copernico, per meglio assediare il geocentrismo aristotelico, deve rendere omaggio nel De revolutionibus, alla tradizione dell’antico pitagorismo e a Aristarco di Samo che duemila anni prima proclamava ai greci il movimento della terra. E lo stesso Cartesio deve fare i conti con il determinismo di Democrito, a cui il suo meccanicismo viene inizialmente paragonato, per renderlo più accettabile. L’autorità della tradizione, e in particolare dell’aristotelismo brandito dalla scolastica e poi dalla Controriforma cattolica, è del resto la bestia nera del metodo scientifico iniziato da astronomi come Galilei e Keplero. Il più netto di tutti nella disputa è Bacone che, al riparo dalle grinfie dell’Inquisizione, nega la conoscenza a priori e rimette tra i suoi idoli l’eclettismo filosofico, inteso come eterno rimestare e attingere all’autorità del passato.

Le avventure continuano con l’Illuminismo, che fa picking nella “culla della filosofia” greca, interessato soprattutto a recuperare i temi della sua Etica (Condillac, Voltaire). E continua con il romanticismo e la filosofia della storia che ricolloca i filosofi greci rispetto all’evoluzione dello spirito che si è espresso diversamente in arte, religione e nel mito. Sullo sfondo il confronto con la “nuova Atene” in lingua germanica e il “Nuovo Aristotele” della modernità, Hegel, ma anche con la Grecia del presente storico, in lotta con i turchi per l’indipendenza. Una prospettiva che il giovane Nietzsche arriva a sparigliare, assieme al razionalismo del suo tempo, con la sua visione “gioiosa” di Eraclito e dei presocratici.

È questa, naturalmente, solo una traccia, tagliata a sciabola e decisamente caricaturale, e non solo sul metro dell’erudizione di Cambiano, di quello che qui si intende per “avventure” della filosofia e che la lettura di Filosofia greca e identità dell’Occidente attende solo di offrivi.