Rinascimento, un mondo narrativo fatto di bellezza e desiderio, spesso ostentati in un culmine di realtà sanguigna mentre si tenta di trattenere la passione. Carni in cui è fin troppo evidente lo scavo del marmo e la stesura del colore per portare in luce un nuovo modo di “vedere”, di fare l’amore. Guardare, toccare, penetrare la superficie, la grande “scoperta” del Rinascimento secondo gli studiosi Giulio Busi e Silvana Greco che percorrono in questo volume ricchissimo d’immagini sostando sulle tappe principi del Quattro e Cinquecento italiano.
Cinque fasi iniziatiche per cinque capitoli: “Guardarsi”, “Parlarsi”, “Toccarsi”, “Baciarsi”, “Fare l’amore”: Amarsi è nido di un vero e proprio corteggiamento verso chi in quei secoli si corteggiava mentre tutte le forti ragioni venivano distillate in opere d’arte e resti letterari di fronte ai quali non si può che essere avvolti, provocati, e eccitati. Amori di generi mescolati, tra donne e uomini, tra donne e donne, tra uomini e uomini, in cui virtù, piaceri e godimento sono divulgati anche per stupire con immagini e lingua che intendono liberare la sessualità. Seguire il cammino degli autori permette la comprensione di atteggiamenti, astuzie, tratti pittorici che ci resterebbero oscuri, su cui casualmente sorvoleremmo colpevoli.
Nello specchio del desiderio, dove tutto inizia, le impavide su quella superficie riflettente si preparano alla società e soprattutto alla costruzione del sé. Là sono le dame e le modelle a vantarsi, fra allegorie e vere e proprie intrusioni promiscue, e dove gli uomini, d’altro canto, cercano la profondità dell’animo, al netto di differenze di censo non scevre di effetti anche malevoli. Tiziano, Bellini, Bordon, Veronese sanno togliere i panni a soggetti amorosi impudichi, dove gioielli rafforzano i tratti nudi dei corpi, i gesti soprattutto delle mani. E dallo specchio alle finestre aperte sullo specchio il passo è breve. Al balcone non s’affacciano amori impossibili, ma diversi stati sociali esposti, situazioni matrimoniali e qualche avventatezza concupita. Satiri e guardoni elogiano il proprio divorare con gli occhi le forme muliebri. Michelangelo non fa mancare nulla al corpo della sua Aurora (1524-27), per una volta rivolgendosi a figura femminile, che nulla della statua è celato alla vista.
Parlarsi diventa poi esigente sapienza, lungi dal mostrarsi indifferenti, poiché non basta aprire le braccia o inclinare il bacino al fine dell’invito carnale. Diversi i modi, parlati e scritti, che evidenziano le vie tortuose del desiderio, fra tragedie e trionfi, eloquenze di “oneste” e cortigiane. Ma la concretezza del toccarsi prende presto il sopravvento, diventa un cabaret dei sensi dove non si conoscono differenze fra ego femminile e maschile, e diversità di genere. Nel Parnaso (1496 ca.) di Mantegna e nel Gioco dei tarocchi (1548-51) di Dell’Abate è tutto un protendersi di corpi seminudi o vestiti, di malizie gestite con utilità. Chi allunga le mani ha nostalgia, e vuole diletto, non c’è che dire. In Apollo e Giacinto (1548-60 ca.) di Cellini la carezza appare quasi indifferente ma c’è, espressiva almeno quanto eloquente d’erotismo. La bellezza maschile s’esalta nel tocco, una specie di matematica amatoria affluisce nelle pressoché coeve “Veneri” di Giorgione (Venere dormiente, 1508-10 ca.) e Tiziano (Venere di Urbino, 1538), dove le mani più che coprire il pube lo accarezzano in evidente gesto d’autoerotismo.
L’ardore conduce al bacio, e se i baci “vengono dal deserto” come sostengono gli autori ricordando nel Cantico dei Cantici l’origine di tutto, all’elogio di tale pratica si aprono le porte della poesia, dell’arte, consapevoli che uomini e donne aspirano a quel che già vede preconizzato Botticelli in Venere e Marte (1485 ca.): il superamento del “platonismo” disincarnato. Leonardo non ha dubbi nel dire che la pittura valica in bravura qualsiasi cultore del bacio, azzerandosi l’eventuale gara fra amore fisico e desiderio pittorico. Ma forse il Maestro aveva la mente rapita dalla sua Monna Lisa, opera che tenne per sé fino alla morte. Invero la trasgressione è dietro l’angolo, Amarsi aiuta a imbattersi in particolari facilmente sfuggiti a sguardi superficiali, come l’aquila che lecca il polso del fanciullo compiaciuto (nel Ratto di Ganimede di Correggio, 1530 ca.) mentre lo solleva in aria. E che dire della giovane ninfa, sempre dipinta da Correggio (Giove e Io, 1530 ca.) nuda e abbandonata al bacio di Giove? Ma di bellezze sensuali e maliziose v’è abbondanza, da Pontormo a Bronzino, a Tiziano, Venere e Amore e Cupido sono ritratti in affannose messe in scena: dal bacio al toccare, l’”amorosa guerra” volge in pittura, scultura e letteratura il movimento inesausto del fare l’amore.
La fisiologia amorosa ampia i confini, per Busi e Greco è fonte insostituibile d’ogni gesto artistico umano, dove i giochi divampano nelle diverse discipline, e la scrittura mena fendenti d’ogni genere: da giostre di valore a leggiadrie e sfrontatezze, fino al culmine d’eloquenza scandalosa. Registri bassi e buone maniere letterarie s’intrecciano e sembrano operare come chiose a amplessi divini che Correggio, Leonardo, Rosso Fiorentino, Tintoretto, affidano alla nostra ammirazione. Il ruolo della mitologia vive nei corpi rituali, e trova in Gaspara Stampa indubbio piacere nostalgico: la notte sempre troppo breve contiene voci femminili e maschili che chiedono abbandonandosi, in attesa di un’alba propizia.