Il Mulino inaugura con Giulio Busi la nuova collana “Storie di numeri”, curata da Umberto Bottazzini, vincitore nel 2006 del Premio Pitagora per la divulgazione matematica, fellow dell’American Mathematical Society che nel 2015 gli ha attribuito il Whiteman Memorial Prize. La serie propone un’esplorazione del pensiero umano tramite la storia – o meglio, le storie – dei numeri che, condivisi da culture e religioni diverse tra loro nel tempo e nello spazio, segnano tappe fondamentali nel cammino dell’umanità. “Numeri non solo per contare ma anche per raccontare”, come si legge nella presentazione del progetto editoriale.
Il primo volume non poteva che essere riservato alla cifra simbolica per eccellenza, quella che da sempre accompagna l’uomo alla scoperta di sé e del mondo che lo circonda. L’Uno. Il battito invisibile è il titolo del piccolo volume, tanto agile quanto denso, con cui l’autore apre la collana, che si preannuncia carica di spunti e visioni che dal passato possano guidarci nella selva del presente, lanciando sguardi sul futuro. La prima pietra, l’Uno, è posata: dalla penna di Busi scaturisce una ricerca che, come un sasso gettato in un lago, abbraccia diversi centri concentrici, racchiudendo in sé movimento e staticità, esplorazione e conoscenza.
Busi è un importante studioso di storia e religione ebraica e anche in quest’opera l’ebraismo, con i suoi rituali e la sua mistica, si affaccia a più riprese: ma non è che uno degli elementi che concorrono a formare un mosaico fatto di tessere interdisciplinari che sapientemente si uniscono nel disegno generale, dando vita ad altrettante occasioni di approfondimento. Nel saggio vi sono pagine dallo stile appassionato, coinvolgente e mai pesante, nonostante la vastità dei riferimenti che l’autore mette in campo, dalla Bibbia alla poesia di Rilke, da Susan Sontag a Leonard Cohen.
Il personalissimo viaggio alla ricerca dell’Uno parte dal quadro I Giocatori di dadi di Georges de La Tour, attraversa il deserto percorso da Mosé, esplora il significato ribelle dell’Uno nel logos greco, la promessa di liberazione della Bhagavad Gītā indiana e continua nell’Uno silenzioso del treno di John Cage. In rapidi quanto vertiginosi capitoli il saggio ci conduce dentro suggestioni e luoghi legati all’autore (una casa sul mare, un sogno), corre attraverso i secoli e le culture per esplorare la storia di un numero speciale, attributo divino e principio dell’essere, simbolo di astrazione per eccellenza e insieme concretezza immediata, che contiene in sé semplicità e moltitudine, razionalità e fuggevolezza.
Che cos’è, allora, l’Uno? Scrive Busi: “L’Uno è stupore, incompletezza, mistero. A tratti, in una grande sventura o in una gioia profonda, per caso o dopo avere cercato a lungo, ci rendiamo conto d’essere parte di un tutto che ci sovrasta, ci avvolge e, allo stesso tempo, si sottrae alla nostra comprensione. Lo sentiamo, il tutto, senza poterlo distinguere con esattezza. Sebbene non ci sia consentito misurarlo con la ragione, ci pare quasi di toccarlo, tanto è vicino, intimo. Ho immaginato questo libro come un viaggio alla sorgente nascosta, che presentiamo confusamente e che vorremmo, un giorno, raggiungere.”
L’Uno è, allora, al contempo punto di partenza, meta e, soprattutto, tragitto. E se è vero che l’Uno evoca innanzitutto unità, compiutezza e perfezione, se scaviamo nel profondo del suo significato e delle sue implicazioni filosofiche, religiose e umane, scopriremo con Busi che l’Uno è (anche) imperfezione, incompiutezza, tensione. E che proprio qui risiede la sua grandezza.