Da tempo trovo che la parola “necessario” sia abusata, ma nel caso del saggio di Giulia Sissa è la definizione corretta. La docente di Antichità classiche e scienze politiche presso l’University of California a L.A. ci ha abituati attraverso i suoi precedenti lavori a uno sguardo limpido, chiaro ed estremamente articolato sulla realtà complessa del contemporaneo. Fu così anche per L’errore di Aristotele (Carocci, 2023), per citarne un esempio. In I generi e la storia, l’autrice compie un cammino di conoscenza e consapevolezza linguistica e storica del processo di emancipazione dal dualismo dei sessi attraverso le varie discipline. Si passa dalla filosofia alla fisiologia, dalla genetica alla giurisprudenza, alla sociologia dalla religione. Se il sesso viene identificato dalle caratteristiche morfologiche dell’apparato riproduttivo – quindi definite naturalmente – il genere è un qualcosa che va accettato e scandagliato nella ricerca propria e personale di ciascun individuo. Tale ricerca personale della quale Sissa ci riporta esempi illustri e ricerche sia teoriche che esperienze di vita, non si fermano mai al singolo ma vanno a collocarsi in una visione finalmente unitaria dell’abitare la Terra come popolo umano, fatto di persone con una identità riconosciuta e rispettata. Una coabitazione finalmente eudaimonica non più utopistica e finalmente volta alla ricerca vera della felicità e dello stare bene. Tra le varie testimonianze riprese nel volume il caso di Michael Lawrence Dillon, nato nel 1915 come Laura Maude e morto poi col nome di Lobzang Javaka, poiché realmente emblematico del viaggio di ricerca di autodefinizione e di aspirazione alla serenità.
Non stiamo parlando banalmente di teoria di genere, ma di un modo per poter capire e orientare il nostro futuro come società. Il genere è un modo per poterci pensare come esseri viventi, attraverso la preziosa indicazione delle differenze che permettono di proseguire nella valorizzazione delle singolarità andando ad abbattere le discriminazioni ingiuste e basate su status ormai obsoleti o semplicemente di comodo. A questo proposito i capitoli II, III e IV risultano illuminanti riguardo ai processi sociali di ammissione o di occultamento dei diritti: dai rapporti di forza tra i sessi (le leggi pensate per gli uomini dagli uomini, intesi come esseri umani di sesso maschile) alle raccomandazioni a livello comunitario riguardanti le applicazioni di leggi in Paesi nei quali non esiste ancora l’equiparazione dei matrimoni etero e omosessuali. In tutta la trattazione elemento imprescindibile è il corpo: biglietto da visita col quale si viene al mondo, che può essere incasellato in stereotipi e modelli e che talvolta diventa anche banco di esame della rettitudine o della depravazione umana. Allora il corpo è anche, al tempo stesso, giudice e vittima di una società che non è ancora venuta a patti con la complessità della forma come espressione, come ruolo e come essere completo. Il riconoscimento del sé.
Apparirà quindi chiaro al lettore quanto l’autrice anticipa in apertura: «il genere ci aiuta a descrivere attitudini e ruoli, identità» che si incarnano in un corpo che occorre riconoscere e che è il margine di manovra del mio essere. «Il genere è una cura creativa di sé». Come può essere più o meno ovvio, la storia della lotta femminista e dello spettro LGBTQ+ è uno dei motori non solo della riflessione, quanto anche dei momenti di presa di coscienza pubblica e quindi di disvelamento di una realtà che non viene nominata ma esiste: ricordarsi degli anni Settanta italiani attraverso il FUORI! del ’73 a Sanremo o il 4 dicembre del 1976 nel quale ventimila donne di ritrovarono a Roma per “Riprendiamoci la notte” rende conto di un cammino che si sta compiendo. Un cammino che dovrebbe portare a quello che l’autrice definisce «un futuro in cui i nostri desideri saranno sempre più riconosciuti e democratizzati, in nome di una giustizia ugualitaria. A ogni nuova possibilità saremo sfidati a riflettere, a deliberare e a decidere se stiamo rendendo il mondo un posto migliore per una vita buona». Un cammino a cui nessuno, a qualsiasi livello, con qualsiasi ruolo sociale non può sottrarsi.