Giovanni Arpino è uno scrittore che nella seconda metà del Novecento, dal ’52 all’86, un anno prima della sua scomparsa, ha pubblicato molti romanzi che hanno lasciato il segno nella letteratura italiana. Forse poco compreso ai suoi tempi, nonostante il suo L’ombra delle colline si sia aggiudicato il Premio Strega – non so se a quei tempi il riconoscimento fosse privo di uno spessore qualitativo come a volte accade ai giorni nostri –, la casa editrice Cliquot ha deciso di ripubblicare il suo Un’anima persa, non accolto troppo favorevolmente dalla critica al momento della sua uscita, nel 1966. Invece ci troviamo di fronte a un signor testo, scritto con stile elegante quanto diretto. Non ci sono fronzoli, artifici letterari per compiacere il lettore, e se il suo debito di riconoscenza a Il dottor Jekyll e Mr. Hyde è evidente, del resto dichiarato anche dall’autore stesso, Arpino riesce a ripercorrerlo con originalità in una Torino inquieta e misteriosa, da sempre una città in cui convivono magia, segreti e ambiguità.
Ambientato negli anni in cui è stato scritto, l’autore lascia da parte la Torino operaia per immergersi nella parte della città più borghese. Tino, un ragazzo diciassettenne orfano di padre e madre, viene ospitato a casa degli zii, Galla e Serafino, per affrontare gli esami di maturità. Avendo passato la maggior parte della sua vita in collegio, Tino si trova in una realtà nuova: una casa grande ed inquietante – il fratello gemello dello zio è rinchiuso in una stanza a causa dei suoi problemi psichiatrici –, una zia parsimoniosa che rasenta l’avarizia, il marito apparentemente dedito al lavoro.
Senza entrare troppo nella trama per non rovinare la lettura, la forma del romanzo è il diario che Tino tiene dal suo arrivo, il 2 luglio, fino al 7 dello stesso mese, quando la situazione conflagrerà. Il doppio, la convivenza del bene e del male nello stesso individuo, l’alternarsi del giorno e della notte, della luce e dell’ombra ci accompagnano per tutto il viaggio e Tino scoprirà le contraddizioni di una famiglia che è la replica del mondo piccolo borghese dell’epoca. La vicenda si snoda apparentemente lineare ma a poco a poco le cose cominciano a cambiare, a disgregarsi, a deteriorarsi. E Tino non può che assistere, impotente, allo sfascio totale della famiglia, scoprendo verità inimmaginabili anche per il lettore: il suo ingresso nell’età adulta non sarà indolore.