Se Sudamerica non significa soltanto Argentina, Brasile o Cile, un’idea convincente di letteratura sudamericana non può di certo limitarsi alle letterature nazionali di questi Paesi – nemmeno con l’aggiunta, parimenti scontata, della Colombia/Macondo di Gabriel García Márquez. La casa editrice Gran Via ne dà prova ormai da molti anni, con un catalogo di traduzioni ricco e plurale, nel quale non manca l’attenzione per quei Paesi, come per esempio la Bolivia, che in Italia ricevono una saltuaria e spesso stereotipata copertura mediatica per le loro vicende politiche, ma che restano in buona parte fuori dai radar per la loro produzione letteraria e artistica.
Nel caso specifico degli autori di origini boliviane, Gran Via aveva già pubblicato Il nostro mondo morto di Liliana Colanzi (2017) e l’antologia Calles. Tredici racconti dalla Bolivia (2018), con la presenza di alcuni tra i pochissimi autori boliviani contemporanei tradotti da altre case editrici, come per esempio Edmundo Paz Soldán (La materia del desiderio, 2008, e Río fugitivo, 2015, entrambi per Fazi) e il più recente Rodrigo Hasbún (Andarsene, 2016, e Gli anni invisibili, 2020, per SUR). Dalla stessa antologia emerge ora il nome di Giovanna Rivero, con un volume di racconti accuratamente selezionati all’interno delle numerose pubblicazioni già all’attivo per l’autrice, nata a Santa Cruz de la Sierra nel 1972.
Come si dichiara nel colophon del libro, infatti, e come poi viene ribadito puntualmente in occasione di ogni racconto, con l’inclusione del nome del traduttore, Ricomporre amorevoli scheletri è un’antologia curata e tradotta dai partecipanti al laboratorio “Tradurre la narrativa breve”, organizzato da Gran Vía e diretto da Matteo Lefèvre, fra i più importanti traduttori italiani dallo spagnolo. Si tratta, dunque, del frutto di un’elaborazione al tempo stesso collettiva e di ogni singolo, che raggiunge pienamente i propri scopi restituendo un’immagine assai credibile e riccamente plurale della narrativa breve di Rivero.
Narrativa che si configura già in partenza come un caleidoscopio molto ampio, sia per le coordinate spazio-temporali che si vengono a delineare sulla misura dell’intera antologia, sia per i generi letterari attraversati dai singoli racconti. Per quanto riguarda il tempo e lo spazio delle narrazioni, queste ultime abbracciano passato, presente e futuro – indulgendo nei territori della distopia sci-fi con due racconti legati tra loro, “Passò come uno spirito” e “Ritorno”, nei quali compare a più riprese un Evo Morales trasfigurato in un’entità superiore, dai contorni non meglio precisati, denominata “l’Evo”… D’altra parte, si tratta di racconti che, dal punto di vista geografico, non sono unicamente legati alla rappresentazione della Bolivia contemporanea e nemmeno della sua particolare declinazione tropicale di Santa Cruz de la Sierra. Se la narratrice di “Emily” afferma, apparentemente in modo molto netto e in realtà con una sagace ironia, di essere riuscita a “emanciparsi dalle tare della cultura nazionale”, altri racconti valicano i confini della Bolivia, imitando, in principio, il percorso seguito dall’autrice, ora residente in Florida. Non si tratta, tuttavia, di un’imitazione pedissequa, né prevale per questo motivo un taglio autobiografico o testimoniale: quel che forse interessa di più all’autrice è la rappresentazione dell’intero continente americano, dal Canada alla Bolivia, di contro alle sue immagini di volta in volta parziali. Fanno inoltre capolino anche migrazioni non molto note su questa riva della “pozzanghera atlantica” – com’è chiamata in spagnolo – eppure storicamente e culturalmente rilevanti, come quella giapponese, in “Quando piove, sembra umano”. Forse uno dei vertici dell’intera raccolta, il racconto restituisce una convincente e complessa rappresentazione della cultura letteraria dell’haiku, a partire dallo splendido esempio di Natsume Seibi (1749-1817) dal quale è tratto il titolo: “Lo spaventapasseri / sembra umano / quando piove”.
Riguardo alla collocazione di genere dei singoli racconti, invece, si può certamente parlare di “fiabe nere” – usando la definizione adottata da Francesca Lazzarato nella recensione pubblicata su Alias il 19 luglio 2020 – pur tenendo in considerazione quei racconti che inevitabilmente sfuggono, almeno in modo parziale, a questa prima descrizione. Al gotico latinoamericano – un genere che, come ha notato Lazzarato, appare oggi in rapida e sorprendente espansione – di un racconto di vampiri come “Yucu” si può accostare “Pesce, tartaruga, avvoltoio”, dove il nero prevale nettamente sulla fiaba, in una spirale di crudeltà tra i personaggi che finisce per invischiare anche il lettore.
Si tratta, più in generale, dell’eredità del movimento letterario “McOndo” degli anni Novanta del secolo parte – al quale presero parte due autori probabilmente di riferimento per Rivero, pur nella loro reciproca diversità, come il conterraneo Edmundo Paz Soldán o anche l’argentino Rodrigo Fresán (recentemente riportato in libreria, con La parte inventata, da Liberaria) – e della sua rivolta contro l’appiattimento esotizzante della letteratura latinoamericana sul paradigma, già allora consunto, del “realismo magico”.
Più di vent’anni dopo, le stesse questioni sono riproposte senza ricorrere, nel bene e nel male, all’armamentario ideologico di un “McOndo”, portatore, all’epoca, di istanze chiaramente alter-globaliste già a partire dal suo stesso nome. Ora si tratta, come segnala il titolo stesso dell’antologia di Rivero – Ricomporre amorevoli scheletri – di osservare il radicamento di tali questioni nei corpi e nella vita psichica dei personaggi, manifestando in essi la volontà e la capacità di svincolarsi da etichette letterarie stereotipate e troppo semplificate. Nel dettaglio anatomico, che fa da contraltare all’apertura continentale, si può osservare – come ha segnalato Gianni Montieri nella sua recensione per Huffington Post del 23 luglio 2020 – come la letteratura sia in fondo nient’altro che la riproposizione di “desideri inconfessabili”, insieme ad “altri che purtroppo si realizzano”. Occorre forse ripartire da qui, dalla lettura di un’eccellente antologia come quella di Rivero, offerta da Gran Vía, per ricomporre non solo “amorevoli scheletri”, ma anche “amorevoli letterature”.