Giorni di un futuro presente

Possiamo ancora parlare di futuro o soltanto provarne nostalgia? Sì se sapremo governare le AI e la tecnologia secondo Kai-Fu Lee e Chen Qiufan ("AI 2041"). Si ma non saremo soltanto noi umani a raccontarlo per Giorgio Griziotti, autore del sorprendente "Cronache del Boomernauta", una favola speculativa sul crollo del post capitalismo e il risveglio di Gaia prossimo venturo.

Possiamo ancora pensare al futuro o soltanto provarne nostalgia? Da angolature che più diverse non si potrebbe, due volumi accostati dalla concomitante pubblicazione italiana, provano a farlo, cioè a immaginarlo, richiamando in servizio e rinnovando anche forme narrative inconsuete, insolite, disusate, almeno rispetto alla narrativa fantastica corrente.

Il primo è Ai 2041. Scenari dal futuro dell’intelligenza artificiale (Luiss University Press) di Kai-Fu Lee e Chen Qiufan. Lee è un noto futurologo e un tecnologo, autore tra le altre cose di Ai Superpower, ipotesi di scenario sull’evoluzione dell’intelligenza artificiale e sul confronto geopolitico tra Usa e Cina; Qifan è un apprezzato autore nel panorama della fantascienza cinese dell’ultimo decennio, con un indubbio talento per le short story. L’idea qui è di raccontare in 10 episodi le nostre società una volta radicalmente trasformate dalle AI e da una nuova generazione di  piattaforme digitali. Ogni episodio è composto da un racconto di Qiufan e dal successivo “spiegone” di Lee su motivi tecnici come il machine learning federato, l’image recognition, ecc provando ad estrapolare dallo stato dell’arte un punto di ricaduta realistico di qui a 20 anni, cioè nel 2041 del titolo. Ogni capitolo prende le mosse da una “criticità” che emerge dagli ormai onnipresenti companion digitali in qualche angolo del mondo, non solo in quello economicamente più avanzato ma, con specifico riguardo, quello oggi emergente in India, Pakistan, Brasile, ecc. A titolo di esempio citiamo tra questi temi: la scomparsa della privacy, le discriminazioni sociali sottese ai data set, l’uso politico del deep fake, gli incidenti provocati dai sistemi a guida autonoma e, financo, i limiti delle AI generative nel dispensare la felicità all’ 1% più ricco e potente della terra.

Il contesto di ciascun racconto abbozza la quotidianità e la “qualità umana” del nostro prossimo futuro, sottolineando anche la persistenza di un “folklore tecnologico” erede della cultura locale. Non di meno, la “crisi” innescata nel prologo della narrazione, una volta venuto alla luce il nocciolo del problema, viene immediatamente demandata al debugging in chiave tecno sociale e alla sua soluzione, invariabilmente a lieto fine: il bicchiere, inizialmente mezzo vuoto, si rivela mezzo pieno e, infine, tende a traboccare di ottimismo nelle conclusioni di Lee. Poco sorprendentemente, in un futuro così roseo, la crisi climatica compare solo in due occasioni. La prima è un classico del revenge ecologico: lo scienziato pazzo che, dopo aver perso moglie e figlia in un incendio a seguito del riscaldamento climatico, vuole vendicarsi della specie umana promuovendone l’estinzione, sfruttando questa volta la potenza di calcolo del primo computer quantistico (spoiler: la prima cosa che fa è crackare i bitcoin).  La seconda volta siamo invece tra le ipotesi del futurologo cinese: secondo Lee nel 2041 l’energia sarà infatti ormai una commodity, praticamente gratuita e, ovviamente, completamente rinnovabile. Il futuro descritto in 2041 assomiglia qui a una versione con caratteristiche cinesi dell’ ideologia californiana degli anni ‘90: ci si ritrova in un futuro senza più la piaga della scarsità economica – e quindi senza più guerre, povertà, ecc – forse soltanto un po’ più centralizzato di quanto piacerebbe ai libertarians americani e regolato dietro le quinte da illuminate agenzie nazionali e sovranazionali. È un mondo ottimistico e inclusivo,  ispirato dalla tecnologia e dall’ingegneria sociale, non certo privo di contraddizioni ma più ricco di soluzioni all’altezza – anzi in genere una spanna al di sopra – dei problemi che ne potranno derivare.

Dal punto di vista narrativo, l’esperimento di Kai-Fu Lee e Chen Qiufan appare come un unicum che non va confuso, ad esempio, con la fantascienza hard, con l’ossessione per i dettagli tecnici di un Arthur Clarke o con il world building di un Kim Stanley Robinson. Se la fantascienza, anche “dura”, estrapola dal presente e ci parla delle nostre società, attraverso il dispositivo narrativo del “futuro”, qui la premessa è, all’opposto, invece candidamente futuristica: raccontare la nostra vita prossima ventura in quanto determinata dalla evoluzione prevedibile della tecnologia, lasciando l’impalcatura sociale il più possibile così com’è, saldamente ancorata allo status quo. La “quota fiction”, affidata alla penna brillante di Chen Qiufan, nell’economia del libro rimane infatti funzionalmente didascalica.
Nella tradizione occidentale questo tipo di premesse erano piuttosto comuni nella protofantascienza a cavallo tra Otto e Novecento, in un’epoca contrassegnata dalla seconda rivoluzione industriale, quella dell’elettricità, e dal positivismo filosofico. Romanzi come Le Meraviglie del duemila di Emilio Salgari o Parigi nel XX secolo di Jules Verne provavano ad immaginare le società del secolo successivo e sono oggi per lo più ricordati  per le “scoperte” che hanno o non hanno indovinato. Intendiamoci: né Verne né, tantomeno, Salgari, erano dei futurologi di professione per come li intendiamo oggi, né la Cina odierna è di certo l’Europa della Belle Epoque; fa pensare quindi come due società così diverse, e le rispettive classi dominanti,  possano condividere, a distanza di oltre un secolo, una tale esplosione di ottimismo e di futuro, in una rinnovata volontà di potenza tecnologica.

Tutto all’opposto, in Cronache del Boomernauta (in uscita per i tipi di Mimesis il 3 Novembre), del milanese Giorgio Griziotti, ingegnere informatico, autore di diversi saggi sul capitalismo digitale, il futuro è avvicinato attraverso la parabola spazio-temporale della favola speculativa.  Se il titolo richiama espressamente l’Eternauta, il “viaggiatore dell’infinito”,  il narratore dell’omonimo capolavoro a fumetti di Héctor Oesterheld e Francisco Solano López, l’arco e la tecnica della narrazione non possono non ricordare anche un altro capolavoro della letteratura speculativa del ‘900, Gli ultimi uomini  (Last and First Men) di Olaf Stapledon.  Come nel romanzo dell’inglese generazioni di umani  si rincorrono qui fino al crollo finale della civilizzazione (distante in questo caso solo qualche secolo e non 10 milioni di anni) e i soli personaggi sulla scena della catastrofe non sono individui ma figurazioni antropologiche del dominio, della sopravvivenza o della lotta, cellule impazzite nella ben più ampia figurazione del non umano, della biosfera e di Gaia. Insomma della “natura”, tutt’altro che indifferente. E se  il narratore – il Boomernauta –  può ricordare l’Ultimo Uomo di Stapledon, si tratta in questo caso  dell’ultimo Boomer, alter ego ironico  e controfigura generazionale dell’autore,  testimone, suo malgrado, della fine dei tempi. Non è un “umano del futuro” ma semmai del recente passato che non passa, storicamente situato tra tic e categorie mentali di un generoso ex militante novecentesco, appena uscito dalla sua capsula temporale.

Come anticipa il sottotitolo – Gaia e le meta tecniche selvagge – Cronache del Boomernauta parla di Antropocene e  Capitalocene ma questa volta per raccontare tutto quello che volevate sapere e che nessuna fiction climatica vi ha mai raccontato prima. E, tanto per tagliare corto, nel libro anche la “crisi climatica” si scopre ben presto solo il sintomo di una più vasta e radicata  “setticemia di Gaia”, un virus memetico altamente infettivo  che gli ominidi si trasmetterebbero dall’alba della preistoria. Il petrocapitalismo e l’economia del profitto rappresenterebbero soltanto la punta dell’iceberg e l’apice di questa epidemia che ha infettato ogni gradino della civilizzazione e del progresso tecnologico. Il virus non coincide infatti con la tecnica “in sé” ma ha molto a che fare invece con la sua astratta generalizzazione predatoria che ha portato gli umani non solo a sottomettere la maggioranza dei loro simili ma a minacciare anche la totalità dei meno simili: animali, piante e tutta la gamma del vivente giù fino ai protozoi.

Nel racconto del Boomernauta, la strategia segreta dell’élite tecno economica e post neoliberista del futuro punta a fuggire quanto prima verso lo spazio, lasciandosi alle spalle un pianeta spolpato e condannato. Mentre il piano prende forma dovrà però puntellare una macchina del controllo sociale ormai allo sbando, riconfigurando continuamente se stessa grazie a un doping tecnologico sempre più massiccio e granulare (informatica quantistica, gamification sociale, ingegneria transgenica,  sorveglianza multispecie..). Al declino degli imperi fa riscontro anche la nascita di sempre nuovi corpi di polizia e di pronto intervento globalizzato per presidiare le risorse strategiche in giro per il mondo. Generazione dopo generazione, a questa razza padrona si oppone solo la Sfera Autonoma, la comunità multiforme erede degli hacker, degli ecowarriors e degli antispecisti dei nostri giorni, pronta a risorgere dopo ogni sconfitta come l’araba fenice. Grazie alle interfacce multispecie che gli attivisti “autonomi”, non immemori di Donna Haraway, riescono ad hackerare, emergono possibili alleanze animali per mitigare il virus e dare finalmente tregua al pianeta. L’esito di questa tardiva apertura non sarà però quello che ci si aspetta: il vasto regno del non umano rivelerà infatti tutta la sua agency, diventando il vero (e ultimo) protagonista della storia.

Senza personaggi di scena in cui il lettore possa immediatamente identificarsi, al di fuori del narratore Boomernauta, Griziotti costruisce la sua fabula traendo la materia narrativa direttamente dal magma della parabola umana, nel momento in cui questa torna a sprofondare – e per un attimo,  forse, a riconoscersi – nel fango della sua storia naturale.  E la modella sui corsi e ricorsi che, attraverso continue invenzioni fantascientifiche, scandiscono la catastrofe dell’antropocentrismo e avvicinano la resa finale con Gaia. In un countdown rassegnato,  la specie umana scopre così di non poter essere la soluzione al problema rappresentato da se stessa. Davanti al risveglio del vivente e alla sua ineffabile biotecnologia anche la nostra limitata consapevolezza appare ormai come un pezzo dimenticabile sulla scacchiera del carbonio. Come osserva Giuliano Spagnul nella prefazione “siamo nel limbo della sospensione del tempo e nel surreale delle città deserte d’inizio epidemia, in cui molte ipotesi sul futuro iniziano a vacillare”.  Insomma un gran bel libro.