Com’è forse prevedibile, Fischi per fiaschi di Giorgio Mascitelli inizia con un personaggio che fischietta: Gian, detto John Ricchieri – il protagonista di un testo che ha le qualità del romanzo breve, o del racconto lungo, pur non essendo fino in fondo né l’uno né l’altro – non riesce a smettere di zufolare l’inno sociale dell’azienda per la quale lavora. Ci sono molti altri motivi e canzoni che Gian non può fare a meno di fischiettare, ma è significativo che il suo personaggio si caratterizzi fin da subito per questo tratto nevrotico, e che questo succeda entro i limiti di una narrazione che sembra, a tutta prima, rientrare chiaramente nei canoni della cosiddetta “letteratura aziendale”. Anche in questo caso, ovviamente, c’è di più: l’azienda dove lavora Gian detto John Ricchieri, infatti, lo sottopone ben presto a un esperimento, dai contorni non meglio precisati, che occuperà tutta, o quasi, la vita di Gian John e di chi gli sta intorno; a quel punto, l’ambiente e l’atmosfera vagamente fantozziani dell’incipit – come per necessario ancoramento di una narrazione sui generis come quella di Mascitelli a un immaginario collettivo tuttora radicato – lasceranno spazio a risvolti ben più inquietanti.
Prima di arrivare a questo punto, che appare come uno dei nuclei fondamentali del testo, chi legge batterà a lungo i sentieri della digressione: come già succedeva, ad esempio, nei racconti del libro precedente di Mascitelli, Notturno buffo (Effigie, 2016), la digressione è uno degli assi portanti della narrazione, spesso basata sulle tortuose elucubrazioni di Gian detto John. Non c’è alcuna traccia di intellettualismo, o di cerebralismo, in questo; anzi, dal punto di vista estetico, la scrittura di Mascitelli si attesta dalle parti dell’espressionismo italiano del secondo Novecento, mostrando, cioè, una vena a un tempo malinconica e grottesca.
Se questi ultimi elementi rientrano a pieno titolo nel mondo del protagonista, questo può essere osservato con un certo distacco critico – al di là, cioè, dell’inevitabile movimento di empatia generato da quel che, in apparenza, è l’ennesimo personaggio nevrotico della letteratura o del cinema – anche per la presenza nel testo di una narrazione che, in realtà, è multiprospettica e plurale. Alla moglie di Gian John, dal nome hoffmaniano di Coppelia, spetta ad esempio un intervento, breve ma significativo, nel capitoletto intitolato “Dall’unica pagina di cui consta il diario minimo di Coppelia”: al di là di certi illuminanti truismi e idées reçues (per citarne solo uno: “è la resilienza la virtù del nostro tempo e lo è perché inscritta nella natura”), Coppelia cerca di decifrare i comportamenti del marito, nel “tentativo di un discorso amoroso” che inframmezza la narrazione principale e prova a illuminarla di una luce diversa. Questo succede anche con “il narratore”, istanza narrativa che compare a più riprese, fino a una “Comunicazione ufficiale del narratore”, nelle pagine pre-finali, dove il giudizio sulla vicenda è piuttosto netto: “come narratore esprimo il mio dissenso più netto e la mia presa di distanza più totale dai comportamenti di Gian John, insomma io mi limito a raccontarli non certo a condividerli”. Non si tratta, in ogni caso, del tipico gioco metaletterario postmoderno – derivando, invece, da tradizioni letterarie differenti, e ad esempio, per un hoffmaniano come Mascitelli, dal doppio narratore della Vita e opinioni del gatto Murr – come mostra il “rammarico che alla fine Gian John si sia rivelato essere un luddista e quando uno va a parare nel luddismo, con lui non c’è più nulla da fare né da dire. Ecco, è proprio così: peccato che fosse un luddista”.
Tra le righe, si intende come l’autore, a differenza del “narratore”, trovi invece molto “da dire” del personaggio di Gian John e la sua storia e – contemplando senza pregiudizi l’opzione luddista come una possibilità, in funzione della sua gloriosa storia politica – si avvicini, per contro, alle tendenze ideologiche di un altro personaggio, “un RSU che fuma come una ciminiera”, nel continuo tentativo di sottolineare l’alienazione e anche l’inquietante deriva economica e politica dell’esperimento aziendale a cui Gian John e l’RSU sono stati sottoposti.
Una scelta che non può che rivelarsi adeguata al contesto editoriale – Mascitelli è anche il curatore della collana narrativa Sconfini della casa editrice DeriveApprodi, aperta proprio da Fischi per fiaschi e subito consolidata dal successivo titolo, I pruriti del giovane Letale di Paolo Gentiluomo – e, soprattutto, tempestiva – per l’inevitabile risonanza tra l’esperimento aziendale (che lasciamo scoprire a chi vorrà leggere) e il possibile, e anzi già presente, impatto delle intelligenze artificiali nel mercato del lavoro.
Mascitelli, infine, sceglie di non “salvare” il soldato “luddista” Gian John, evitando le retoriche dominanti in certa “letteratura aziendale” o, più in generale, nella “letteratura del lavoro” più agit-prop: l’incrocio tragicomico del mondo nevrotico e fischiettante del singolo con le profonde trasformazioni economico-politiche del sistema rimane un rovello aperto anche per chi legge. Anzi, come illustrano alcune citazioni occultate nelle righe finali del libro e provenienti dal Sogno del prigioniero di Montale, la storia di Gian John è, si parva licet, quella di un prigioniero del suo tempo: come in Montale, Gian John potrebbe dire: “ho dato uno sguardo attorno, ho creato / arcobaleni su panorami di ragnatele, / e ho immaginato petali lungo le inferriate del carcere, / mi sono alzato, e sono crollato / dove un minuto dura un secolo”, oppure, nel caso di Gian John: ho dato uno sguardo attorno, ho a lungo fischiettato, canzoni sempre diverse, etc. “E i passi e i colpi si susseguono continuamente, / e ancora non so se al festino sarò / vittima o carnefice. / L’attesa dura ancora, / e il mio sogno di te non è finito”. Portando su tutt’altro terreno l’allegoria di derivazione dantesca di Montale, l’attesa di una redenzione dura ancora, e anzi si avvicinano a grandi passi nuovi fiaschi, e cioè nuove sconfitte per le classi lavoratrici, ma il sogno – della letteratura, in questo caso: sempre che sia sostenuta da narrazioni anomale e digressive, e intrinsecamente non conformi, come quella di Mascitelli – non è finito.