Tre sono i motori di questo romanzo di Giorgio Bona, piemontese, autore di interventi su “Thriller Magazine” e “Carmillaonline”: primo, il protagonista, un professore universitario italiano, slavista; secondo, uno scrittore russo dissidente, Venedikt Erofeev, ostracizzato dal sistema sovietico, alcolizzato e marginalizzato; terzo, un suo romanzo “maledetto”, boicottato e negletto anche dopo la fine dell’URSS.
Sembrerebbero elementi di un thriller, ma questa sarebbe una lettura scontata; in primo luogo, perché la trama e il ritmo contraddicono questa interpretazione “di genere”, e poi perché Venedikt Vasil’evič Erofeev esiste veramente, e il romanzo maledetto di cui si parla è il suo Mosca-Petuški (poema ferroviario), finalmente pubblicato anche in patria grazie alla Perestrojka, dopo essere stato “contrabbandato” all’estero diversi anni prima. Quest esistenziale, ricostruzione d’ambiente, omaggio alle sofferenze degli intellettuali russi, schiacciati dal conformismo del “realismo socialista? La lacrima della giovane comunista è forse un po’ di tutto questo; o meglio, diciamo che cambia direzione strada facendo.
Inizia all’università del Piemonte Orientale, dove il protagonista riceve da un collega russo, in procinto di tornare in patria, la copia di un libro di Erofeev in russo e la richiesta di farne l’argomento per un corso universitario. Mosca-Petuški, che esiste davvero e che i curiosi possono leggere in italiano in tre edizioni (Feltrinelli 1977, Fanucci 2003, Quodlibet 2014, quest’ultima tradotta da Paolo Nori), è la storia di un intellettuale alcolizzato, Venja (di ispirazione chiaramente autobiografica) e dei suoi viaggi sul treno tra la capitale e la città di Petuški, dove vive la sua ex insieme al loro figlio. Venja è stato licenziato dalla squadra di operai dove lavorava, per questioni legate indirettamente all’alcol; sul treno, si lascia andare con gli altri passeggeri a lunghi monologhi talvolta sconclusionati, ma che denotano una lucida amarezza per lo stato in cui il paese è ridotto. Dai suoi dialoghi con occasionali compagni di viaggio, caratterizzati da un’ebbrezza rabbiosa e disperata, emerge un quadro deprimente della vita quotidiana nell’URSS.
Il protagonista di La lacrima della giovane comunista (è il nome di un liquore russo) parte volentieri per Mosca, città che conosce bene e nella quale vanta amicizie che vuole rivedere. Se Mosca-Petuški è definito dall’autore, sarcasticamente, “poema in prosa” (è invece un testo chiaramente postmoderno), il romanzo di Bona parte come un bildungsroman, con episodi iniziali che sembrano epifanie di significati che però non si verificheranno più avanti, perché la trama subisce una torsione verso il thriller di spionaggio — dopotutto l’ambientazione è l’ex Impero del Male. L’intreccio si snoda in una Mosca amata e ostile, affascinante e respingente al tempo stesso, che della democrazia sembra avere adottato solo il guscio, il libero mercato, mentre la mentalità del potere e dei suoi sudditi è rimasta quella del socialismo-in-un-solo-paese, se non addirittura quella dell’autocrazia zarista.
L’autore riesce a padroneggiare una materia non facile, eludendo (non sempre) il rischio dello stereotipo, evitando facili prediche e ancora più facili condanne, sino al finale che è una delle parti più alte del libro. Chi fosse incuriosito dalla figura di Venedikt Erofeev può trovare nel web una quantità di documentazione soddisfacente. La sua parabola di repressione e autodistruzione è indicativa di quanto la cultura mondiale abbia perso per colpa dell’annientamento dell’intelligencija sovietica da parte di un potere immobilista, conservatore e irrigidito in dogmi oscurantisti.