Questo è il terzo libro importante di Giorgia Tribuiani. L’hanno preceduto una raccolta di racconti intitolata Cronache degli artisti e dei commedianti (2008, Tespi editore) e Guasti (2018, Voland). Blu si distingue per l’accento posto sul conflitto tra i parossismi della personalità e le scelte dell’anima.
In questo ultimo romanzo veniamo immersi in un viaggio radicale. Sarà utile, prima di iniziare la lettura, porsi una domanda. Mi ricordo cosa sentivo a sette anni? A diciassette?
Se proprio uno non se lo “ricorda” e preferisce millantare edulcorazioni, inizi pure a leggere e vediamo se la ragazzina gli farà saltare i nervi. Questa è la scommessa dell’autrice: invitarci a entrare nel bosco di notte.
Ma prima di tutto bisogna digerire – e le dosi sono corpose – la seconda persona singolare. Si dà voce a una creatura che tenta di scomparire, ma in silenzio sta urlando.
Ginevra pensa che deviare il dolore sia un modo per eliminarlo, ma purtroppo non sa lanciare lontano.
Lo getta dentro Blu, il suo doppio buono, quello passivo.
La seconda persona singolare tiene Blu sotto un riflettore acceso su ogni sospiro. Tribuiani marca stretto il lettore, frastornandolo un poco, perché – ricordiamolo – la ragazzina deve fargli saltare i nervi. Non certo per fargli abbandonare il libro. Piuttosto per invitarlo a togliersi i tappi e chiedersi se Blu non stia strepitando su qualcosa che ci riguarda da vicino.
I genitori le danno questo nomignolo eletto, Blu, un giorno felice e spensierato. Come non incarnare il nome che ti danno genitori che ancora si amano? Il nome le rimane addosso, anche quando l’amore è finito.
I genitori non sono garanti dell’amore, anche se te lo promettono, anche se ti chiamano ancora Blu. Ma il nome sopravvive, creando una schizofrenia micidiale. Lei, Ginevra, è una bambina che deve sopportare e riparare i guasti. Il padre si è risposato presto, e la nuova moglie ha una figlia, più piccola di Ginevra.
Ginevra Blu deve confortare la madre che – rimasta sola, grande lavoratrice e super comprensiva – la adora. Deve proteggere la sorellina che le è estranea e le ruba il padre. Deve amare il nuoto perché vince le medaglie, anche se il padre non può entrare negli spogliatoi ad asciugarle i capelli, ed è l’unica bambina che deve farlo da sola. Deve ricambiare l’amore asfissiante di Roberto, tanto ottuso da non accorgersi che lei non lo desidera.
Di tanto disagio Blu si dà la colpa. Si ritiene responsabile del dolore degli altri e pensa che attuare rituali ossessivi sia un modo per espiarlo. “La ferita è feritoia”, un canale, una relazione. Certo, li vorrebbe vedere morti, i suoi cari legami. Che liberazione.
Ma è sbranata dal giudice della purezza, mentre la rabbia gonfia. Talvolta si vendica. Chiama “Prosciuttona” la sorellina, che sua sorella non è, e per tutta la vita ne subisce la vergogna. Fino a quando, molti anni dopo, prova a scusarsi. “E Lea scoppia a ridere. Una risata finta, non divertita: una risata che ti prende in giro. Madonna, Blu, chi ti si incula!, e tu non riesci a replicare; tu ti aspettavi rabbia ma non per questo, dolore ma non questo, tutto ma non questo, poi Lea ti dà le spalle e dice Adesso lasciami dormire, fuori c’è tutto un mondo per le tue seghe mentali”.
Ma dov’è la porta per questo mondo?
Nell’arte. Blu disegna meravigliosamente. Disegna volti, soprattutto il proprio, continuamente, e continuamente lo cancella. La professoressa d’arte la stima, e un giorno porta la classe a vedere una performance . L’artista performativo è una donna, dentro una vasca da bagno, e chiede una cosa al pubblico. La scelta della performance art fa il doppio con il “Teatro delle crudeltà” di Antonin Artaud, citato in esergo al libro. La sua forza concettuale, enigmatica e pericolosa trova in chi guarda la sua compiutezza. Ginevra Blu viene fulminata. Ecco una casa dove abitare in libertà. Tutto quello che a Blu manca come l’aria, la donna nella vasca sembra averlo realizzato.
Scatta così un transfer persecutorio (verso la donna nella vasca), che è anche seme di un processo di rinascita. Bugie, uccisione dei valori donati dai genitori, fuga, disillusione, morte psichica.
Non ci sono infanzie e adolescenze senza dramma. Ci sono racconti falsi, o rimossi, per negare il male oscuro che ci ha pervaso, anche da ragazzi. Tribuiani va nella direzione opposta. Stanare i vermi che camminano sotto l’ombelico, e invitarli ad andarsene per sempre. Blu è coraggiosa. Con tormento impara a conoscere se stessa, come fa un vero guerriero. Quale mitra frantumerà il vetro anti-proiettili sotto cui vive?
Forse una foliazione più breve avrebbe giovato a enfatizzare la guerra cruenta che si gioca in queste pagine. Sotto condanna permanente della seconda persona singolare, la voce gioca su dinamiche che vanno dal forte al fortissimo. Ma ricordiamo che le scuse per tornarsene indietro, dal bosco di notte, sono troppe, e occorre una gabbia stretta e bassa, per costringerci a procedere.
L’introspezione di Blu è estremamente affilata. Le voci che la dilaniano sono sovrapposte, come in un presente bloccato, in un vortice polifonico di dissonanze insopportabili e linguisticamente efficaci. Complimenti alla scrittrice che ha maneggiato materiale sottile ed esplosivo, arrivando ad un finale perfetto.
Buona passeggiata nel bosco. Vietato portare torce.